Prologo

22 1 0
                                    

"L'inferno è vuoto,
tutti i diavoli sono qui" La tempesta di William Shakespeare

Se April avesse dovuto descrivere il dolore avrebbe parlato di un albero.

Il dolore pulsava e si nascondeva dentro di te, infilandosi nei buchi e nelle cavità del tuo corpo proprio come le radici di una pianta.

Nel caso di April, era un mal di testa ricorrente che recentemente si era fatto continuo.

April odiava i mal di testa perché amava pensare, cosa che con essi le riusciva praticamente impossibile.

Il dolore faceva vergognare la ragazza poiché la riduceva a un bruco chiuso nel suo bozzolo, o a un serpente strisciante nella sua tana sottoterra.

Non sapeva quando era arrivato né quando l'avrebbe abbandonata, fatto sta che per lei la differenza tra sole e luna e tra un giorno e l'altro era quasi inesistente. Un filo sottilissimo come quello che separa la vita dalla morte.

Il ticchettio degli orologi le faceva male e quindi aveva ordinato alla servitù di portarli via dalla sua camera da letto.

Non sapeva che ore erano, dove si trovava e a stento chi era.

Però c'era qualcosa che non andava...

Qualcosa di sbagliato.

Forse avrebbe dovuto avvisare qualcuno. Alzarsi dal letto, aprire la porta e avvertire gli altri.

Ma di cosa?

April aveva trovato un modo per non pensare e far diminuire il dolore alla testa: chiudeva gli occhi e immaginava un paio di stivali camminare sulla sabbia di una spiaggia.

Le scuole degli stivali lasciavano impronte perfette che non venivano mai trascinate via dall'acqua salmastra.

Le scarpe camminavano all'infinito senza mai fermarsi con un passo lento e costante.

La giovane si soffermava sulle impronte finché non cadeva in un sonno senza sogni per poi risvegliarsi e vivere l'incubo della realtà.

Era un metodo abbastanza stupido e precario ma funzionava più dei medicinali e erbe che continuavano a farle inghiottire dalla mattina alla sera.

Una mattina o forse sera o forse notte si sentì il clangore del portone di legno della stanza reale e spuntò Isabelle.

Quando la vide April pensò che fosse veramente una ragazza abbastanza normale per essere la sorella di una ragazza così strana come lei.

Elle si mosse con disinvoltura e la sorella constatò che era in abito da caccia.

Le sorrise e poi si mosse così vicino a lei da farla spaventare.

Forse vuole dirmi un segreto? pensò April.

Isabelle non parlò consapevole del fatto che la facesse stare male e le diede un bacio sulla guancia bollente per la febbre.

April provò a ricordarsi cos'era successo a sua sorella per ritrovarsi un diadema coperto di pietre colorate sulla testa ma proprio non ci riuscì.

Isabelle ispezionò la camera da letto di April e poi si voltò per uscire.

Evidentemente era solo venuta per un saluto veloce.

Il cigolio della porta quasi la fece svenire per il dolore, mentre guardava Elle salutarla un'ultima volta con lo sguardo e andarsene via.

Quando lo spazio compreso tra quattro mura in cui si trovava il corpo dolorante di April divenne silenzioso come un cimitero ella cominciò a guardare il soffitto bianco come un coniglio delle fiabe.

Immaginò gli stivali camminare sulla sabbia e le loro impronte finché poté vederli anche ad occhi aperti.

Quando un fulmine le colpì la fronte ormai la sorella Isabelle doveva già essere a metà della Foresta Celata.

April lo avvertì come dell'acqua ghiacciata eppure rovente come la lava di un vulcano.

Arrivò dritto dritto alla mente come se qualcuno le avesse sparato in mezzo agli occhi.

April rimase sconcertata nel capire che era un ricordo. Ed era forse il segreto che doveva urlare a tutti.

Si liberò dalle coperte e si allontanò dal sontuoso letto a baldacchino dove negli ultimi mesi era stata.

Quando il freddo la colpì sospettò per un'istante di essere morta ancor prima di aver raggiunto la porta.

Sfortunatamente non era così.

Corse verso la maniglia e la girò con uno strattone. I suoi piedi toccarono il pavimento di marmo e si ritrovò nel lungo corridoio del palazzo reale.

Davanti a lei non c'era nessuno se non una domestica bassa e grassoccia dal viso paonazzo ma dolce e simpatico.

Vento. Muro. Montagna.

Le parole le vorticavano in mente ed erano cosi pesanti che April pensò di cadere con la schiena sul pavimento.

Non ce la faceva più. La testa le rimbombava come se fosse sotto i colpi di un martello. I polmoni le bruciavano come una casa in fiamme. E i suoi occhi versavano lacrime calde sul suo viso.

Doveva fare presto. Si sentiva come un assassino che scappa dalla casa della vittima con le guardie alle calcagna.

Si rivolse alla donna pasciuta a pochi metri da lei.

Apri la bocca ma senza emettere alcun suono. La domestica si girò verso di lei meravigliata del fatto che avesse percorso tutta quella strada nelle condizioni in cui era.

La stanza si capovolse e il soffitto finì sotto i suoi piedi.

"Principessa April cosa state facendo qui?" Chiese con un sussurro che tagliò in due la testa della principessa.

"Smettetela di... " bocchegiò con il peso sulla lingua di un segreto che sapeva solo lei.

Svenne e cadde a terra come fanno i corvi quando vengono uccisi.

I rinnegati di FloresDove le storie prendono vita. Scoprilo ora