#1 pomeriggi produttivi e scommesse

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Eijiro Kirishima's point of view


Tutta la faccenda che cercherò di raccontare ha inizio in un tiepido pomeriggio di settembre. 

Avete presente, no? Uno di quei pomeriggi in cui alzarti dal letto sarebbe un peccato, e crogiolarsi nell'aria fresca del congelatore è quasi d'obbligo. Uno di quei pomeriggi vuoti che a ripensarci dici "cazzo forse avrei dovuto fare qualcosa di decente", ma che al momento ti godi al massimo. Ti godi al massimo il tuo essere equiparabile ad un bradipo invertebrato, perché in fondo sai che non interessa a nessuno.

Perché se un diciottenne con i capelli rossi si concede una giornata off nessuno può dir nulla, no? 

Se solo il diciottenne in questione non fosse un futuro eroe, forse.

Ma tornando a quel pomeriggio.

Il mondo attorno a me era buio e quasi morbido, mi lasciava leggere carezze nell'anima e mi cullava dolce nel sonno. Da quanto tempo stavo dormendo? Non ricordavo un cazzo, e sinceramente non mi interessava. A stento riuscivo a ottenere quel briciolo di coscienza che mi permetteva di capire che stavo russando piano. In quel momento volevo solo e soltanto crogiolarmi in quel buio accogliente che era il mio subconscio.

Avevo la lieve consapevolezza di non meritarmi quel pisolino. 

Sentivo il peso del libro di trigonometria sullo stomaco, probabilmente abbandonato a se stesso mentre cercavo di leggerlo e fingevo di capirci qualcosa, che mi ricordava che avrei dovuto star facendo i compiti. La matita che stavo utilizzando per segnare le cose importanti invece era caduta mezz'ora prima, provocando un piccolo tonfo acuto.

Oltre a queste certezze, il mio corpo si rifiutava muoversi o anche di carpire altre informazioni riguardo ciò che mi circondava, ma mi sentivo al sicuro. Forse è da scemi dire così, perché tutti teoricamente avrebbero dovuto sentirsi al sicuro mentre il sonno si impossessava di loro, mentre era comodi su un letto in un dormitorio maschile del liceo più sorvegliato dell'Asia

Ma io mi sentivo al sicuro perché sapevo con assoluta certezza di star usando la sua coscia come cuscino, sentivo sotto di me la pelle nuda della sua gamba che mi sfiorava e la sua mano calda appoggiata tra i miei capelli scarlatti. E tutte queste certezze mi bastavano per sentirmi al sicuro.

Bakugou Katsuki, perché alla fine è di lui che stiamo parlando, con le sue mani calde e le sue gambe nude, mi proteggeva sempre, in ogni caso, indirettamente. E io in cambio avevo il permesso inaudito di dormire nel suo letto, sulle sue cosce. Come in quel momento.

Avevo il piacere di baciarlo, di accarezzarlo e di amarlo, con quel pizzico di esplosioni e parolacce che lo caratterizzavano. Perché, potete dire quello che volete, ma di certo Bakugou Katsuki non era un tipo di persona comunemente reperibile.

E non solo come aspetto fisico, capiamoci. Non solo con il suo bel metro e settantaquattro di muscoli e virilità, non solo per i capelli platino così inusuali per uno stato come il Giappone,  e non solo per quella mazza da baseball che aveva al posto di voi-sapete-cosa.

No, assolutamente.

Bakugou Katsuki era una reazione chimica altamente letale composta per la maggior parte di pugni e calci nei coglioni, accompagnati da una bella dose di occhiatacce e insulti di vario genere, con un aggiunta di malizia e un pizzico di peperoncino. Perversione q.b.

E' infatti la sua voce roca e bassa a svegliarmi definitivamente da quella sottospecie di letargo in cui ero rimasto intrappolato. Parlava con il suo solito borbottio a metà strada tra il carino e lo scazzato che riservava solo a me, alternandolo a urli isterici e rarissime frasi dolci. E lo dico per esperienza, perché io non me ne ero mai accorto, di come cambiava tono di voce con me, prima del giorno n cui Kaminari me lo fece notare come una cosa ovvia, palese. Qualcosa mi molto simile a un "bro ma che quirk hai usato per farti trattare così dal chiwawa incazzato?" o simili.

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