Parte 1 senza titolo

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Le sue dita sono lisce, come ancora giovani, mentre le mie sono rugose come la corteccia di un albero. Il suo volto è altrettanto liscio, quasi troppo. Sembra di guardare una delle bambole in camera mia. I suoi occhi azzurri come il mare si spostano sul mio viso, lucidi come perle. Sorrido. Mi mancava quello sguardo. Improvvisamente, però, i suoi connotati scompaiono e mi trovo a guardare il volto scuro di una delle mie bambole. 

Sento le guance rigate dalle lacrime. Avrei voluto che quello non fosse un sogno. Avrei voluto che mio marito fosse ancora qui. Mi metto con calma a sedere sul bordo del letto. Purtroppo, il tempo sta passando in fretta anche per me. Ma almeno presto potrò raggiungerlo e stare con lui per sempre, proprio come ci siamo promessi oltre cinquant'anni fa.

Mi infilo le pantofole e alzo il mio corpo, appesantito dagli anni e dalle fatiche di una vita di lavori in campagna. Faccio due passi verso la finestra. Apro le persiane. Si vede a malapena il sole nascente, devono essere all'incirca le 7. Lancio uno sguardo alla sveglia: sono le 7.15. L'ora di fare colazione e poi sbrigarmi a fare le commissioni se voglio pranzare senza ingozzarmi. Oggi pomeriggio alle 13.10 devo prendere il treno per Trieste. Oltre sei ore di viaggio per questa maledetta visita neurologica. Meglio non pensarci ora, devo ancora lavarmi e fare colazione, altrimenti avrò il tempo contato questa mattina.

Sono quasi le 8, devo sbrigarmi. Apro il cassetto delle calze e ne prendo un paio a caso. Infilate le calze, prendo le solite scarpe antinfortunistiche grigie e calzo anche quelle. Dalla cucina mi arriva il fischio della caffettiera. Mi avvicino e spengo il gas. Verso il caffè nella tazza della mamma. Ne ho proprio bisogno per affrontare questa lunga giornata. Sono pronta per uscire.

Questa coda alla cassa del supermercato è interminabile. Dovrei ancora passare in posta a pagare la bolletta del gas, ma se va avanti così non farò in tempo: sono già le 11 e mezza. Più di mezz'ora di coda. E devo ancora tornare a casa a posare la spesa e mangiare. Sì, in posta andrò decisamente un altro giorno.

«Arrivederci signore, grazie!»

La voce della cassiera mi riporta l'attenzione sulla fila: finalmente c'è una sola persona davanti a me.

Forse per fare prima, anziché camminare come al solito, potrei tornare a casa in taxi. Se a piedi ci sto venti minuti, in taxi dovrei metterci molto meno. Oggi non ho tempo da perdere in piacevoli passeggiate.

«Grazie, a presto signorina»

La cassiera mi guarda e sorride. «Buongiorno signora»

«Buongiorno a lei»

Metto sul nastro le cose dal carrello. Intanto che passa i miei articoli, guardo la cassiera. Mi pare una ragazza nuova. Sembra molto cordiale, con un sorriso a trentadue perle che splende di gioventù. I suoi occhi azzurri, i suoi capelli lunghi, ricci e biondi come il grano al sole, la sua voce soave come quella di un usignolo in primavera... mi ricorda la me stessa di tanti tanti anni fa. Quella che rapì il cuore del mio caro marito.

«Signora, ha la carta fedeltà?»

La ragazza mi fa nuovamente uscire dal mondo caotico dei pensieri nostalgici.

«Certo. Ecco a lei»

Mentre prende la carta, preparo 50 euro. Solita spesa, solito costo. Salvo sconti.

Infatti, mi dà indietro la carta e prende la banconota, restituendomi due euro. Ma la fermo chiudendole le dita intorno alla moneta. «Per il suo bel sorriso, signorina»

Dopo un formale rifiuto, li accetta di buon grado e mi ringrazia proprio con il suo sorriso. Il mio sorriso.

Raccolgo le mie cose e le metto nella borsa della spesa.

Le calze verdiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora