La luce di questa stanza

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[è consigliato l'ascolto della canzone durante la lettura;
scegliete voi se farlo dall'inizio o dal momento in cui viene citata la prima strofa.🤍]

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È venerdì e anche oggi Manuel si sveglia alle sei del mattino.

L'alba non ha fatto ancora capolino dalla finestra, quel piccolo rettangolo le cui tende, ormai, sono perennemente aperte. È diventato vitale per il suo sguardo posarsi su quella porzione di mondo e avere la certezza di vedere solo il cielo, e di poterlo scrutare con occhi indagatori.

Non ha impostato una sveglia, ormai non ce n'è più bisogno, è un gesto che il suo corpo ha iniziato a compiere in automatico da più di una settimana.

Per la verità, è da più di un mese che il suo corpo compie in automatico qualsiasi gesto.

Ha imparato a reagire da solo agli stimoli esterni, a memorizzare cosa fare e quando, e anche quando la sua mente viaggia su binari lontani da ciò che lo circonda, il suo corpo continua a fare quello che deve, sempre, senza intralci o rischi.

Apre gli occhi di scatto, è subito attento e vigile. Il suo corpo ha imparato a saltare la fase di rincoglionimento del risveglio, quella che lo porta spesso a fare tardi a scuola, come anche quella dello stiracchiamento e dello sfregamento degli occhi assonnati con i pugni chiusi, che sembra sempre lasciarlo cieco per un attimo. Addirittura, ha imparato a saltare la fase dei suoi soliti lamenti mattutini, suoni indistinti che provocano sempre sfuriate – a tratti divertite – da parte di Anita.

Allunga il braccio sinistro accanto a sé, tasta il letto un paio di volte e recupera il cellulare, per fortuna ben caricato la sera prima. Senza guardare lo porta alla mano destra e lo sblocca con l'impronta del pollice, poi con uno scatto porta direttamente lo schermo acceso davanti al volto. La luce improvvisa, impostata al massimo, non gli dà un minimo di fastidio. Non ha bisogno di scorrere tra le notifiche, gli basta leggere la prima dove ci trova tutto quello che aspetta e si aspetta.

Un messaggio da Davide.

Se vuoi, puoi venire.

Lancia uno sguardo alla finestra, anche se è buio il cielo sembra limpido, al contrario di quello che dicevano le previsioni del tempo il giorno prima, ma sa che ha tempo per controllare meglio; quindi, si alza dandosi uno slancio con il busto, poi scende dal letto in due movimenti fluidi.

Infila le scarpe con facilità.

È già vestito.

È sempre vestito.

È un mese che dorme vestito, anche se parlare di dormire è fare falsa informazione. Piuttosto, sonnecchia, eppure la stanchezza per tutta quella mancanza di riposo non la avverte.

Da tempo alterna una felpa grigia – di solito abbinata ad un pantalone della tuta – ad una maglia a righe che a prima vista è orrenda, odiosa. I pantaloni forse gli vanno troppo larghi, ma prova a stringerli in vita il più che può o con i lacci o con una cintura – quando mette i jeans. Sua mamma dice sempre che deve vestire più ordinato, più da Manuel, che vanno bene anche le solite canotte da basket che almeno sono della sua taglia, ma a Manuel non importa di come appare al mondo.

Quei vestiti brutti sono decisamente perfetti e sono l'unica cosa che pretende di indossare, non è neanche un problema perché ormai ha imparato a fare la lavatrice solamente per poterseli lavare a giorni alterni e togliere un impiccio a sua madre. A furia di lavarli sicuramente li consumerà, ma Manuel crede che se i vestiti sono immacolati e non vissuti non c'hanno senso, altrimenti nessuno li comprerebbe o li indosserebbe. Starebbero lì, fermi sui manichini delle vetrine, oggetto d'attenzione della gente nel via vai solo per qualche secondo, per poi essere dimenticati.

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