Rami Secchi

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Ne era spuntata un'altra.

Non la vide subito, perché era al buio, ma sentiva che ne era comparsa un'altra. Se ne era accorta durante la notte, quando aveva sentito qualcosa di morbido batterle contro il petto, ma aveva fatto finta di nulla. Erano ormai diversi giorni che non riusciva a chiudere occhio: l'addome e la testa sembravano avessero preso fuoco da quanto bruciavano, la schiena si era fatta dura e rigida come il materasso su cui era stesa, e il soffitto, così basso che quasi la schiacciava, le dava la nausea. Per un po' si era costretta a stringere i denti e a subire senza «Lamentarsi! Non sai fare altro!», ma era già arrivata al limite. D'altronde, fin dall'infanzia lei era sempre stata «Fragile! Ma come sei fragile, figlia mia. Su Daphne, non fare i capricci...». Sarebbe corsa lei stessa a prendere le compresse che custodiva in bagno, ma doveva aspettare ancora un po'. L'ultima volta che era scesa a prenderle era stata due giorni prima, ma solo perché lui era uscito di casa.

Quel giorno lui non era ancora uscito, perciò non voleva scendere dalla soffitta.

Quando la luce del Sole illuminò finalmente la stanza, si alzò lentamente e si mise a sedere, gemendo. Il dolore alla schiena la stava uccidendo. Scacciò il sonno stropicciandosi gli occhi, e gettò con un movimento secco le lenzuola ai piedi del materasso. Fu allora che una scarica di dolore che le attraversò il petto le ricordò che quella notte ne era comparsa un'altra. Portò subito sotto l'incavo tra spalla e braccio, e la trovò. Accarezzandone il gambo con le dita, si accorse subito che questa era grande, più grande di tutte le altre che erano comparse fino ad allora. La afferrò con decisione, incamerò l'aria viziata della soffitta, serrò le labbra, e strappò. Non sentì dolore, ma un'improvvisa sensazione di privazione, e il vuoto che ne segue sempre. Aprì la mano, e la vide.

Una foglia. Era verde come la primavera. All'estremità del gambo, una perlina di sangue luccicava appena.

Lei allora si alzò, con la foglia stretta nella mano, e alzò per un angolo il materasso. Una ventina di foglie verdi come quella appena spuntata fecero capolino. Fino a qualche settimana prima erano solo un paio di minuscole foglioline, così piccole che si faceva fatica a vederle, ma presto erano aumentate di grandezza e di numero.

Ora spuntava almeno una foglia al giorno.

Qualsiasi cosa fosse, sperava solo che finisse il più in fretta possibile.

Le tornò in mente quando una volta stava preparando il pranzo, ma quando l'acqua nella pentola aveva iniziato a bollire e ad evaporare, lei si era bloccata. Le capitava altre volte di bloccarsi così, dal nulla, perché lei era «Distratta! Sempre distratta!». Stesa alla calda luce del Sole, ora Daphne sperava anche lei di evaporare, di galleggiare nell'aria e, alla fine, sparire, lontano da lì. Dopotutto, aveva una fantasia «Così fervida!».

No, non voleva morire perché, diciamolo, la morte le faceva paura. Quello che voleva era semplicemente sparire.

Un rumore di passi fin troppo vicino la riportò con i piedi per terra. Sentì che lui stava salendo sulla scaletta, il suo respiro affannoso risuonava già nella stanza, e un tintinnio di posate che le ricordò che non mangiava da un pezzo. Dalla botola comparve lui. In una mano, reggeva un piatto di fette di pane e marmellata. Era già vestito per andare a lavoro, e sembrava scomparire dentro quella giacca. Il tempo ti deve aver sfibrato, non è vero? O sono stata io? pensò lei. Daphne smise di pensare e si concentrò sul pane e sulla marmellata. Dopo qualche minuto, a suo malgrado, sul piatto restarono solo le briciole.

«Vuoi qualcos'altro? Qualcosa da bere?»

«No, non voglio nient'altro. Non c'era bisogno che mi portassi da mangiare. Me ne sarei occupata io, dopo»

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