Peccatum

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Fin dall'alba dei tempi l'uomo si è sempre chiesto quali fossero i limiti della moralità. Per esigenza o per necessità, ha sempre avuto bisogno di un contorno entro cui inserirsi. Un confine. È dalla nascita dell'umanità che il desiderio di agire secondo convenzioni e leggi morali ha investito le menti degli abitanti di questo nostro misero pianeta. Ci siamo creati regole, le abbiamo rese nostre. Ci siamo cuciti vestiti su misura, della stessa dimensione del nostro corpo. Tanto precisi da ostacolarci i movimenti. Chi prova a muoversi oltre i limiti imposti dal tessuto finisce con uno strappo sulla giacca o un pantalone lacerato. Le persone lo indicano, lanciano sguardi di disapprovazione. Una persona con l'abito sgualcito verrà sempre giudicata.

Ci siamo creati degli schemi da seguire per rimanere tranquilli. Perché è sempre più rassicurante avere direttive, seguire precetti, amalgamarsi alla massa. Abbiamo creato il morale e l'amorale, il giusto e lo sbagliato, il buono e il cattivo. Gli abbiamo affibbiato delle caratteristiche, l'abbiamo inserito nelle nostre leggi, l'abbiamo posto alla base delle nostre relazioni.

Abbiamo ridotto a emarginati i sovversivi, i liberi pensatori, i creatori, gli amanti. Li abbiamo gettati in mare con un peso legato ai loro piedi. Li abbiamo visti annegare e non abbiamo fatto nulla. Nonostante i loro occhi spalancati ci fissassero disperati, trasformati in due pozze di sangue. Nonostante con le labbra mimassero un muto aiuto.

Tutto è stato forgiato a immagine e somiglianza di un io ideale, fatto solo di luce e senza ombre. Un io investito di qualità eccelse, capacità di discernimento, moderazione. Più ci si allontana dall'io e più le ombre ci inghiottiscono facendoci sparire.

Tutto ciò che è diverso, va eliminato, represso, soffocato.

L'anima, alle volte, va soffocata. Ci resta solo il suo scheletro.

***

A quindici anni aveva già capito cosa sarebbe diventato da grande: un umile servitore di Dio.

La famiglia aveva accolto la notizia con una certa euforia. Il padre, un cattolico convinto e al limite del fanatismo, l'aveva abbracciato calorosamente, stringendolo forte a sé e negandogli di respirare.

L'orgoglio di papà.

O forse il desiderio di allontanarlo da un mondo di peccato e perdizione. Ma a questo, il ragazzo, preferiva non pensarci. Da sempre stato ingenuo, aveva preferito cullarsi all'idea che, dopotutto, i genitori potessero essere fieri di lui.

Unico figlio, maschio, educato, gentile: tutte le speranze dell'affiatata coppia si erano riversate su di lui.

Era diventato il riflesso delle loro aspettative e dei loro sogni infranti. Il frutto di una repressione sedimentata per anni.

- Tu non farai l'operaio come me -.

Era stato cresciuto con quella frase, ripetuta ad ogni compleanno o occasioni degna di nota. Il padre, che aveva rivendicato la dignità dell'operaio, che negli anni della giovinezza aveva lottato nelle rivolte studentesche contro un sistema borghese e capitalista, alzando alto il pugno nel cielo, era finito col disprezzare la sua stessa posizione. Cresciuto col mito dell'operaio, aveva assunto egli stesso la mentalità borghese. Ed era caduto in basso, sbucciandosi la pelle ma in ginocchio, pronto ad inseguire il mito di un Dio buono e giusto. Forse per fuggire dalla pazzia dell'alienazione, forse per rifuggire in un'altra assurdità da invasati. È incredibile come guardando dal basso verso l'alto alle volte si finisca col salire così tanto in cielo da non sentire più il tanfo della terra.

Il padre era un uomo austero. Si chiamava Massimo. Il suo aspetto era il riflesso delle sue ombre interiori, cosicché macchie scure e fitte di peluria gli abitavano la pelle altrimenti bianchissima: le sopracciglia folte gli oscuravano lo sguardo rendendolo ombroso, mentre i fitti baffi gli incurvavano le labbra in un broncio perenne. L'assenza di capelli, invece, metteva in mostra la forma insolita del suo cranio. Era quadrato. Il padre indossava sempre lo stesso maglioncino blu con la camicia bianca. Ne aveva sette, tutti uguali, uno per ogni giorno della settimana. Per distinguerli, aveva fatto cucire le iniziali dei giorni all'interno della manica. A cosa servisse quella strana pratica restava un mistero. Odiava gli animali e aveva ucciso anche qualche gatto che era finito nel loro giardino. Quando Simone aveva visto il primo gatto avvelenato dal padre aveva pianto per una settimana. Ma gli animali non hanno un'anima. E dunque non erano degni delle sue lacrime.

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