1. Casa Potter

252 28 7
                                    

Guardai l'albero genealogico al muro. Era l'unico contatto che avevo con la mia famiglia: per il resto eravamo estranei. Avrei potuto appiccare fuoco alla casa, sarebbe stato un atto da vero Mangiamorte, e magari mia madre sarebbe stata fiera di me, per una volta.
Ma non mi sarei mai abbassato ai loro livelli. Kreacher brontolava nel suo nascondiglio, su in soffitta.
Si sentiva rumore di libri che cadevano e svolazzare di fogli dalla stanza di Regulus. Lui sì che era l'orgoglio della famiglia. Mia madre era andata a Diagon Alley, e io avevo la libertà di fuggire senza essere visto da nessuno.
Lo feci.
Era una sera d'estate, e c'era la luna piena. Istintivamente pensai a Remus. Si sarà fatto aiutare da Silente per bloccare la sua natura. Immaginai il suo viso trasandato, i capelli scompigliati, le occhiaie. Lo immaginai da solo, in una stanza al lume di candela, a scrivere lettere per quella strana Tonks, recitandole poesia mielose, su quanto le somigliasse la luna, anche se era tanto disastrosa per lui.
Poi immaginai James, che fantasticava su come conquistare Lily Evans, che cercava nuovi Incantesimi per umiliare Mocciosus. La Mappa del Malandrino era sequestrata, nell'ufficio di Gazza. La nostra invenzione era sotto le mani di quello sporco custode. Ma l'avremmo presa, sì, quel sesto anno sarebbe tornata nostra. Nelle mani dei suoi Malandrini.
L'umile casa dei Potter fioriva tra una scacchiera di alberi dalle chiome cespugliose, le fioche luci delle candele si contorcevano, fuoriuscendo dalle finestrelle.
Ero sempre il benvenuto dai Potter. E in quel momento loro avevano un gran bisogno di una nuova presenza. La signora Potter era gravemente ammalata, e, anche se loro non avrebbero facilmente accettato il mio aiuto, io sarei stato utile a badare a lei. Era una signora molto simpatica. Bassa e paffuta, con una cascata di capelli biondi.
James aveva i suoi occhi, ma per il resto era identico al padre.
Rodolphus Potter era un uomo altezzoso e riservato, ma era molto affezionato a me, a tal punto da mostrare la sua parte più buffa e divertente in mia presenza. Detestava la mia famiglia. Non riusciva a capacitarsi del fatto che loro preferissero un figlio Mangiamorte piuttosto che un sano, onesto Grifondoro.
Bussai. Il vento mi gelava le spalle. I secondi che trascorsi lì fuori ad aspettare che qualcuno aprisse furono più lunghi della realtà.
Poi, la luce mi invase gli occhi, e Rodolphus Potter allargò un sorriso splendente ancor prima di mettere a fuoco la mia immagine.
"Felpato!", esclamò. Lui era uno dei pochi a sapere di noi. Quando mi invitò ad entrare, la luce mostrò il suo colorito pallido. Non doveva essere affatto facile gestire e sopportare la malaria di una moglie. Gli occhi grigi erano scavati nel suo viso raggrinzito, e teneva a stento gli angoli della bocca in su per sorridere. Mi fece accomodare su un vecchio divano impolverato e bucato. "Chiamo James", mi disse.
Sparì, e mi diede il tempo per osservare quel poco che componeva la casa. In breve tornò con James, sorprendentemente allegro. Si sedette accanto a me e mi diede una pacca sulla spalla. "Problemi con la vecchia megera?". Sapevo che con vecchia megera si riferiva a mia madre, così annuii. "Problemoni. Sono scappato".
Sul volto di James si dipinse l'espressione di un padre orgoglioso per i traguardi del figlio. "Era ora", commentò. "Dove andrai?".
"Beh... ecco... pensavo...", mormorai, non sapendo dove aggrappare lo sguardo.
"Certo che puoi stare da noi, Felpato", disse Rodolphus Potter con tranquillità, leggendomi nel pensiero.
"Grazie, grazie mille", borbottai, senza sapere come essergli riconoscente. Il signor Potter mi diede due colpetti sulla spalla, ridacchiando.
James si sedette per terra, con la testa poggiata sul pavimento e i piedi sul divano. Dalla tasca uscì un foglietto piegato, che aprí. "Ho scritto una lettera per la Evans. Alle ragazze dovrebbero piacere tutte queste sdolcinatezze". Si schiarí la voce, allora iniziò a leggere. "Cara Lily Evans. I tuoi capelli hanno il colore del fuoco, e i tuoi occhi quello del mare. Sembrano due elementi tanto opposti, e sembra strano vederli insieme. Ma il punto è che tu sei strana, quindi ci sta". Spostò gli occhi verso di me. "Come ti sembra?".
Era la lettera peggiore che avessi mai sentito, e dalla mia espressione lui lo potè capire. Ma io, comunque, feci spallucce. "Forse è meglio se non gliela invii. Insomma, lei non si è ancora... abituata alla tua presenza".
"Sì, forse hai ragione", disse. La appallottolò e la getto in direzione del camino. "Prendi la mia stanza, io dormirò in un sacco a pelo. Vado a dirlo a mia madre".
E sparì.

Uno sguardoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora