La scuola

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La cosa più bella dell'andare a scuola era proprio l'andare a scuola. Non lo avevo mai fatto spesso e non avevo idea che volare la mattina presto fosse così bello. L'aria, la luce, era tutto più speciale. Per il resto però faceva schifo. Tutte quelle ore rinchiusa in una scatola mi rendevano debole e stanca, molto più fragile del normale. Per non parlare poi dei ragazzi! Nessuno che non ti guardasse male, nessuno che non ti facesse sentire nuda. Le ragazze mi guardavano in cagnesco, i ragazzi con lo stesso sguardo dei cani in calore, anche se per fortuna qualcuno mi ignorava direttamente quando mi andava bene. Non che a Gaia non avessimo le scuole s'intende, anzi, ce ne erano ben quattro, ma non erano di certo così terribili. Lì non c'erano scatolette e nessuno guardava male un altro senza nemmeno averci scambiato una parola. No, no, noi andavamo a scuola fra le fronde dei salici e imparavamo a studiare il vento, non segni senza significato scritti su una lavagna. E i vestiti! Quei pantaloni mi intrappolavano e quei top attillati mi soffocavano. Avevo impiegato ore a capire come decollare con quelle cose addosso! La scuola non faceva per me, quel mondo non faceva per me. Tuttavia non avevo molta possibilità di scelta e quindi dovevo farmelo andar bene. Avevo già perso troppo tempo cercando di ambientarmi, tempo perso per Gabriele ovviamente. Il problema stava nel fatto che mi era proibito sconvolgerlo troppo, quindi non potevo andare lì e comunicargli il suo futuro nero su bianco, sarebbe stato veloce certo, ma troppo pericoloso e noi non potevamo rischiare niente. Ed ecco il motivo per cui quella mattina mi trovavo a scuola: dovevo entrare nella loro società, capire la loro cultura e cercare di avvicinarmi a Gabriele secondo i suoi metodi, così da rendergli il tutto più digeribile. Purtroppo però lui era fra la schiera di quelli che mi ignoravano completamente, cosa che non faceva che far fallire i miei tentativi di approccio, che comunque erano stati scarni. Non so quanto lanciare pezzi di gomma e matite vicino a lui, sperando che si chinasse a raccoglierli parlandomi, potesse contare come tentativo infatti. Anche perché aveva continuato imperterrito ad ignorarmi. Nemmeno schiaffeggiarlo col vento era servito! Anzi si era solo insospettito, quindi avevo lasciato stare presto. In mia difesa posso dire che a Gaia nessuno mi aveva mai insegnato ad approcciare con dei ragazzi normali, perché loro non si preoccupavano troppo degli aspetti pratici, mio malgrado. "Mi accompagni al bar?" mi chiese Sara strappandomi dai miei pensieri. Sara era arrivata quest'anno come me, ovvero da circa una settimana, e non conoscendo nessuno entrambe avevamo deciso di "allearci". Io cercavo di essere gentile in modo da poter imparare qualcosa su come comportarmi da lei. Li avevo già osservati, e avevo intuito qualche loro struttura comportamentale, per questo da Sara avevo ricevuto solo un paio d'occhiate storte per ora.
"Certo andiamo!"
Per fortuna il concetto "bar" lo avevo assimilato dopo poco tempo passato nella scatoletta, anche se ci avevo messo anche un po' a cercare di capire cosa fosse. Contrariamente ad ogni logica, loro prendevano il cibo e lo vendevano a gente che avrebbe potuto prenderselo semplicemente da sola. Mah, almeno capirli non faceva parte delle mie mansioni.
"Buongiorno ragazzi!"
L'arrivo del professore mandò in frantumo il piano "bar" e fummo rispedite al nostro posto (altra cosa inconcepibile... Sei ore bloccata e a terra!), che quel giorno apparve particolarmente entusiasta.
"Oggi ho in mente un progetto da farvi fare ragazzi!"
Sospiro generale.
"E dai che siamo all'inizio dell'anno e avete tutto il tempo del mondo!"
Come al solito Gabriele non si era scomposto e rimaneva impassibile accanto al suo annoiato amico.
Il professore continuò blaterando che il progetto si basava su un approfondimento dello studio dell'apparato respiratorio e noi avremmo avuto carta bianca e tre settimane di tempo. E fin qui con un orecchio ascoltai con l'altro cercai di origliare quel che Davide, amico di Gabriele, gli stava sussurrando all'orecchio. Quando però poi parlo di gruppi allora la mia attenzione si riversò tutta su di lui. Avevo trovato l'occasione perfetta per avvicinarmi e dovevo sfruttarla, anche a costo di barare.
Fecero i bigliettini di ogni persona in modo da creare i gruppi estraendo nomi casuali. Io fissai ben bene il mio pronta ad intervenire sul caso al momento opportuno.
Primo e secondo gruppo, niente di interessante.
Al terzo gruppo uscirono Davide e Sara per primi, e finalmente il professore pronunciò il suo nome. Perfetto, ora doveva pronunciare il mio. Mi accertai che la finestra fosse aperta vicino alla cattedra, dopodiché, nel momento stesso in cui l'insegnante abbassava la mano per scegliere il foglietto, mossi impercettibilmente il dito e un soffio di vento leggero creò intorno a quello col mio nome scritto sopra un vuoto, che portò il professore a scegliere il mio biglietto.
"Ok segnate. Gruppo tre: Sara, Davide, Gabriele ed Aether"
L'avevo in pugno.

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