Una semplice domanda

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Nessuno gli avrebbe chiesto come stesse.

Sorridi, servi il cliente, augura una buona serata: il rituale a cui doveva aggrapparsi pur di superare la serata senza crollare.
Non era neanche sicuro del perché fosse lì, dietro il bancone a lavorare come se nulla fosse. Sperava davvero che qualcuno lo avrebbe fermato, convinto a restare in vita?

Bastian si era ripromesso che, se qualcuno gli avesse chiesto come stesse, non si sarebbe suicidato. Tuttavia, a mezz’ora dalla fine del suo turno aveva capito che non sarebbe mai successo.
In realtà lo aveva saputo fin da quando aveva lasciato il proprio appartamento per recarsi a lavoro e in fondo quella del “Come stai?” era un po’ una scusa per scaricare sulle altre persone una decisione che aveva già preso.

A nessuno importava di lui, ma non era arrabbiato: gli altri non avevano colpe. Era come se fosse stato programmato per essere un personaggio secondario, senza alcuno scopo se non fare da comparsa nelle vite degli altri. Niente poteva cambiare il fatto che nessuno gli dovesse quella semplice domanda: “Come stai?”

Stava atrocemente male e non aveva nessuno a cui dirlo.
Il viaggio di ritorno fu vuoto, offuscato. Ricordava a malapena di aver salutato i colleghi e di essere uscito dal pub. Non ricordava di aver aspettato l’autobus, di esserci salito sopra, di aver pagato il biglietto. Non era inusuale che Bastian dimenticasse interi pezzi delle proprie giornate.
In qualche modo, comunque, aveva raggiunto il condominio in cui viveva. Non fu facile passare davanti alla cassetta della posta e ignorare le lettere, probabilmente bollette, infilate in modo brusco nella fessura.

Fu in ascensore che iniziò a piangere. Morire a ventun anni era triste, com’era triste che non sarebbe mancato a nessuno, tranne che a Paulie. Sarebbe rimasto solo per lui.

Il suo cagnolino lo accolse scodinzolando sulla soglia del portone, come ogni sera. Dopo essersi chiuso alle spalle la porta dell’appartamento, Bastian si chinò a terra e gli concesse qualche minuto di carezze con una mano, asciugandosi le lacrime con l’altra. Paulie già non sembrava più felice: era un cagnolino sufficientemente intelligente da rendersi conto che qualcosa non andasse. Lo guardava come se volesse chiedergli :“Che succede?”.

“Mi dispiace” sussurrò Bastian, con un sorriso amaro sul volto. “Sei stato un buon amico, lo sai?”

Non avrebbe lasciato nessuna lettera, ma se il suo cane fosse stato in grado di leggere, ne avrebbe scritta una solo per lui.

Si chiuse in bagno poco dopo. Con le mani tremanti, svuotò due blister di pillole sul ripiano accanto al lavandino. Un paio gli caddero a terra e non le trovò più, le altre le riversò nel palmo della propria mano e chiuse il pugno – sarebbero state abbastanza?
Si concesse una sigaretta, seduto sul gabinetto accanto alla finestrella, pochi centimetri di fessura solo per fare uscire il fumo. Stava cercando di smettere di fumare da mesi, ma ormai non aveva più importanza. Quell’ultima se la meritava.

Spense la sigaretta nel lavandino dopo aver fumato metà. Aprì il palmo della mano, osservando in silenzio le piccole pastiglie bianche ammucchiate. Fingere di non sentire Paulie raschiare la porta per entrare fu la cosa più dolorosa.

Le ingoiò un po’ alla volta, perché tutte insieme erano troppe, con il petto scosso da forti singhiozzi.

Sei stato un buon amico, lo sai?

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