Allyson's POV
Era successo di nuovo quella notte, ma ormai avevo imparato a non sconvolgermi, a restare calma e tornare a dormire. Ero consapevole del fatto che, come prima cosa se non riposavo abbastanza diventavo nervosa e intrattabile, e come seconda cosa i medici la conoscevano, sapevano dei suoi attacchi ed erano in grado di sistemare la situazione. Nonostante ciò, come sempre, mi sono svegliata presto per andare a trovarla e darle il buongiorno, per di più in questo modo avrei avuto il tempo di portare Jeine a scuola e questo avrebbe probabilmente migliorato il mio umore.
Ho sceso piano le scale sperando di non svegliare nessuno, sapevo che mio padre aveva avuto una notte movimentata e volevo lasciarlo riposare, ma anche lui, come me, già girava indaffarato per la casa.
- Ally, di nuovo in piedi all'alba? -
ha sussurrato udendo il mio zaino urtare la ringhiera delle scale. Gli ho sorriso annuendo, aveva smesso da anni di arrabbiarsi per questo, sapendo che non avrebbe ottenuto nulla urlandomi contro. Ho preso frettolosamente un biscotto dal pacchetto che teneva tra le mani e sono corsa fuori dalla porta, avvisandolo che non avrebbe dovuto accompagnare la piccola peste.
L'aria fresca del mattino mi ha dato il buongiorno, facendomi subito pentire di aver indossato un maglioncino tanto leggero a novembre inoltrato. L'alba si faceva sentire rendendo ancora più luminosi i miei boccoli già rosso fuoco per la tinta appena rifatta, mentre la frangetta, fortunatamente proteggeva i miei occhi scuri dai raggi troppo impertinenti. Con un brivido che mi percorreva la schiena, ho preso a camminare assaporando il silenzio che avvolgeva le strade di Glasgow: era incredibile come una città tanto affollata durante il giorno, riuscisse ad addormentarsi così assieme ai suoi abitanti, per poi svegliarsi con loro la mattina dopo, e tornare ad essere rumorosa come suo solito. Io la preferivo sognante, quando l'unico suono era quello del vento o quello di qualche taxi che riaccompagnava le coppiette ritardatari; in realtà, questa era la Glasgow che io sentivo dalla finestra della mia camera, ma mi ero ripromessa che un giorno l'avrei ascoltata senza vetri di mezzo.
Persa tra questi pensieri, ho raggiunto l'edificio che tanto odiavo, bianco e pieno di tristezza. E morte. Ma ero abituata anche a questo, all'assenza di colore e ai lamenti provenienti dal reparto dell'infanzia, alle anziane che a malapena conoscevano il loro nome e alle giovani infermiere che avevano scelto di vivere circondate da assenza di vita.
Piano 3°, corridoio C, stanza 314, ecco il volto di una donna addormentata, stanca dopo una notte sofferta in una battaglia tra la vita e la morte... chissà come doveva essere, lottare in continuazione, veder comparire il nemico davanti a te quando meno te lo aspettavi. E poi ritrovarsi di nuovo in piedi, con la consapevolezza che avresti dovuto andare avanti, magari con una piccola parte in meno di cuore, ma avresti proseguito la guerra. Senza possibilità di vittoria.
Risvegliatami da quei terribili pensieri, mi sono avvicinata al letto e le ho accarezzato la fronte, spostando leggermente i capelli che mi impedivano di sentire il calore della sua pelle, così che potessi assicurarmi che avesse davvero vinto. Ho accennato un sorriso vedendo i suoi occhi aprirsi leggermente, avrei preferito non svegliarla, ma almeno avrei potuto darle il buongiorno. D'altronde se era costretta su quel letto circondata da strane apparecchiature, la colpa era solo mia, solo mia che avevo...
- Ally, sei venuta a trovarmi di nuovo... te l'ho detto che io qui sto bene e dormire di più ti farebbe sentire meglio... -
la sua voce flebile ha interrotto i miei pensieri, o forse li ha rafforzati, ricordarla come una donna forte e gioiosa, per poi sentire raccomandazioni sussurrate in quel modo, mi ha fatto salire le lacrime agli occhi. No, non era il momento di deprimersi, dovevo dimostrarle che era tutto a posto o non arei fatto altro che peggiorare le sue condizioni già pessime. Ho fissato il soffitto per prepararmi a fingere, per poi risponderle falsamente:
- Tranquilla, va tutto bene! E poi lo sai che preferisco venire a trovarti piuttosto che dormire, l'ho sempre considerato uno spreco di tempo -
ho riso per rafforzare la maschera e ci sono riuscita, anche i suoi occhi si sono addolciti un po' di più sapendomi felice. Obiettivo raggiunto, ora avrei potuto scappare, sfogare il mio pianto trattenuto e tornare a casa sentendomi meglio. Un bicchiere d'acqua fresca per entrambe, un abbraccio, qualche frettoloso saluto, e poi via, i sensi di colpa addosso, che dopo otto anni ancora albergavano sui miei sentimenti, soffocandoli. Perché i bambini dovevano essere tanto insistenti?
- Eccomi, sono tornata! Jeine, dove sei finita? -
quella piccola furbetta riusciva sempre a farmi sentire bene, ma bene per davvero stavolta. Le sue acute risate provenivano dal piano superiore, ma ho deciso di stare al suo gioco.
- Jeine, hai deciso di giocare a nascondino stamattina? Guarda che adesso vengo a prenderti!
- Tanto non mi troverai mai! -
ho scosso la testa pensando a quanto fossero infantili quei piccoli amorevoli esserini. Poggiato lo zaino a terra ho iniziato a salire piano le scale, per poi cercarla nei posti più improbabili, pur sapendo ormai a causa del rumore, che si era intrufolata nell'armadio della mia camera.
- Eccoti! Non ti trovavo più! -
ho esordito spalancando le ante del mobile in legno. L'ho presa in braccio e mi sono buttata con lei sul letto, le nostre risate riempivano il piccolo locale di gioia. Ma si sa che gli adolescenti devono sempre, sempre pensare e in quel momento mi sono resa conto di essere davvero lunatica: un minuto prima mi sentivo come se il mondo mi fosse caduto addosso, un minuto dopo riuscivo a farci il giocoliere con quello stesso mondo.
Sistemati i lunghi capelli biondi alla mia amata sorellina l'ho accompagnata a scuola, mentre mi raccontava di un libro che stava leggendo, che parlava di fate, streghe, draghi e gnomi e chissà quali altre strambe creature. Sapevo che il suo chiacchiericcio continuo mi avrebbe risollevato l'umore, per questo non avrei voluto lasciarla andare, ma ormai era troppo tardi, era già fuggita dalle sue compagne e poi anche per me era arrivato il momento di andare a scuola. Ho corso in tutta fretta, dovendo percorrere un chilometro e mezzo in 15 minuti, per poi raggiungere la mia amata Glasgow Academy e scoprire che il professore di algebra era assente, perciò avrei avuto la prima ora libera. Forse non era poi così male come giornata. O, forse, stavo parlando troppo presto.
Riposto lo zaino nell'armadietto, mi sono avviata verso il bagno, dove avrei potuto sistemare i miei capelli probabilmente per aria a causa di Jeine e del nascondino. Dopo essere stata urtata da una di quelle odiose figlie di papà piene di soldi e vuote di emozioni, facendo finta di niente sapendo che in ogni caso più di così non mi avrebbero potuta infastidire, mi sono accorta che, al contrario, potevano eccome.
In bagno. Proprio nella mia visuale. Altro che "Forse non era poi così male come giornata". Era peggio del previsto. Quella stronza di Sheerley. Nicola. No. No. NO.
Spazio ScrittriceIgnota
Ciao a tutti, ecco il primo capitolo della mia prima teenfiction. Effettivamente non è molto ricco di accadimenti interessanti, ma ne avevo bisogno per introdurre la storia, vi prometto che diventerà pian piano sempre più avvincente, a partire già dal prossimo capitolo. Se vi piace mettete una stellina e se avete qualcosa da dirmi commentate, mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate.
P.s. la foto è quella di Allyson
Alla prossima ❤
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The middle way
Teen Fiction"Ciò di cui hanno bisogno è una via di mezzo. Un comportamento che sia tra il nascondersi e il farsi notare, per poter convivere. Un sentimento che sia tra l'amarsi e l'odiarsi, per poter sopravvivere."