Sconosciuti

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“Ho un mostro qui in testa che parla piano
Nel buio la notte
Mi sta aspettando
Quest'ansia mi fotte, mi spezza il fiato”

Sconosciuti - Tokyo

Era un giorno come tanti, aspettavo in stazione l'arrivo del mio treno

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Era un giorno come tanti, aspettavo in stazione l'arrivo del mio treno. Osservavo la vita degli altri passarmi dinanzi, tra una sigaretta e l'altra. Tra un treno e l'altro. Ormai tutto aveva perso importanza, perfino la mia vita. Era per questo che ero poggiato su un muretto, lontano dalle rotaie. Per impedirmi di saltare. Non so perché mi stessi trattenendo, forse perché la speranza è davvero l'ultima a morire. Ero un fallito, uno sfigato che vagava tra la gente, indisturbato. Nessuno notava la mia presenza, nessuno avrebbe notato la mia assenza. Salii sul mio treno dopo aver spento la sigaretta. Mi sedetti, come ogni giorno, come ogni volta e rivolsi il mio sguardo fuori dal finestrino. Il cielo era azzurro, non vi era alcuna traccia di nuvole. Il paesaggio scorreva veloce sotto il mio sguardo e quando si fermò ad una stazione, non lo distolsi.

«Posso sedermi?» mi voltai di scatto, riportato alla realtà. Incrociai due iridi azzurre come il cielo in estate, della stessa tonalità di quel cielo da cui avevo appena distolto l'attenzione. Il viso era spigoloso e la pelle era fin troppo pallida per essere giugno. Mi sorrise ed io mi limitai ad annuire. Girai nuovamente il viso verso il finestrino mentre lui si sedeva al mio fianco. Non lo avevo mai notato prima d'ora. «Hai una sigaretta?» mi domandò.

Aggrottai la fronte e lo guardai. Aveva l'aspetto di un bravo ragazzo. «Fumi?»

«Si, perché?»

«Non hai la faccia di chi fuma», risposi con un sorrisino sghembo mentre estraevo il pacchetto dalla tasca.

«Non hai mai sentito “non giudicare un libro dalla copertina”?» le sue dita slanciate sfilarono uno di quei bastoncini di tabacco.

«Si, ma alla fine le apparenze, inevitabilmente, sono le prime cose che vediamo di una persona. È impossibile non farsi un'idea da ciò».

«Che idea ti sei fatto di me?»

Lo scrutai da capo a piedi, indossava dei Jeans sbiaditi ed una camicia bianca. Il suo sguardo era gentile ed alcuni dei suoi caotici capelli castani ricadevano sulla sua fronte. «Sembri un bravo ragazzo. Ma visto che non devo basarmi su come appari, potresti essere un serial killer. Per quanto ne so». Ed eccolo lì, il mio maledetto sarcasmo che ha portato tanti fraintendimenti. Mi sarei aspettato di tutto, che si alzasse indignato. Che mi offendesse. Di tutto, il peggio. Ma non mi aspettavo che scoppiasse a ridere. Che problemi aveva?

«Sei simpatico». Chi? Io? È impazzito.

«Quindi sei un serial killer?»

«Sono solo un ragazzo normale, proprio come te». Mi sorrise, senza un motivo.

«Ma io non sono normale, nessuno lo è». Volevo davvero intraprendere una conversazione del genere con uno sconosciuto? Che problemi avevo?

«Hai ragione». Smise di ridere, poggiò le spalle sullo schienale. Osservai il suo profilo con la coda dell'occhio. Avevo scoperto da poco che provavo attrazione anche per il mio stesso sesso e, trovarmi quel ragazzo così vicino, così attraente, mi destabilizzava. «Come ti chiami?» domandò dopo qualche minuto di silenzio.

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