1.capitolo

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Se mi guardi, soffoco

Se mi tocchi, muoio 





Nuova scuola, nuove conoscenze, nuove spiegazioni, ecco cosa mi attendeva dopo essermi trasferita a Fairbanks, una cittadina nel centro dell'Alaska. Due mesi prima i miei genitori, io e mio fratello avevamo deciso di trasferirci, e quale miglior luogo se non dall'altra parte del nord America. Vivevamo a Santa Monica, non male come ambiente, ma dopo quello che successe 2 anni prima non riuscivamo più a sopportare le voci che giravano sulla nostra famiglia. Non mi dispiaceva, vivere lì, col freddo pungente e vedere le stelle mi appagava come niente avrebbe mai potuto fare. 

Un vantaggio da cui potevo trarre beneficio erano i miei capelli. La madre di mio padre era Canadese e aveva dei lunghi capelli color platino ed io inspiegabilmente ho acquisito questa particolarità e aggiungendo il fatto che la mia pelle fosse di un color talmente chiaro da sembrare quasi trasparente potevo tranquillamente farmi passare per una sempre vissuta in Alaska. 

Ovviamente non ci sarebbe stato nessun problema con il mio aspetto se non fosse per i miei occhi. Tutta la famiglia di mia madre aveva gli occhi grigi, ma non del tipo che tende più all'azzurro, no, erano di quel grigio peggio del fumo, della tempesta e cosa peggiore mi ricordavano lui.

-Bridget dobbiamo andare- annuii a mio padre per poi avviarmi alla porta e uscire. Salii sul posto del passeggero e successivamente, quando mio padre arrivò, partimmo verso la scuola. 

Arrivammo nei pressi del parcheggio e dopo aver lasciato la macchina posteggiata proseguimmo verso l'ufficio della preside.

-Buongiorno, sono l'assistente della preside Clark, quello è l'ufficio- disse indicando una porta alla sua destra -vi attende-.

Entrammo nella stanza, le pareti erano color corallo, mi ricordavano lo stile ottocentesco, simile a quello che si trovava nelle regge in quegli anni, ma gli arredi anziché marroni erano bianco perla.

Dietro alla scrivania c'era la presiede che ci osservava con vera curiosità, come se fossimo dei burattini da circo. Le palpebre erano accarezzate da uno strato di ombretto delle sfumature del blu e le labbra carnose lucide per il lucidalabbra rosso ciliegia. Era un assortimento strano, ma dato il suo vestiario stravagante non me ne meravigliai.

-Prego accomodatevi- ci sedemmo sulle sedie che ci aveva indicato e dopo aver preso un respiro profondo l'uomo alla mia sinistra iniziò a parlare.

- Per inspiegabili motivi Bridget ha una fobia chiamata aptofobia che comporta il non riuscire ad avvicinarsi troppo o farsi toccare dalle altre persone. In aggiunta negli ultimi anni è caduta in una sorta di mutismo selettivo di cui ancora non siamo riusciti a trovare la causa. Capirà che dirlo per telefono non era appropriato- mentre parlava preferì osservare le espressioni che la preside assumeva nel corso della storia, se così si poteva riassumere qualcosa di cui chi ne parlava non era veramente a conoscenza della realtà dei fatti. 

Passava dallo stupore alla tristezza e quando mio padre smise di parlare assunse quella che più temevo e odiavo, la compassione. Vedere quell'emozione negli occhi di chi non sapeva era come una fune che mi si attorcigliava nello stomaco e non voleva districarsi fino a quando le persone non se la cancellavano dal viso.

-Capisco, possiamo prendere dei semplici provvedimenti, nessuno si accorgerà di niente potete rimanere tranquilli- puntò lo sguardo su di me e mi riservò un sorriso smagliante che di vero non aveva niente.

Tempeste di cristalliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora