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Chuuya ed io. Due facce di una stessa medaglia, entrambe prive della gran parte dei caratteri essenziali e distintivi appartenenti alla specie umana. Un prodotto artificiale pieno d'astio ed un traditore esulcerante dal quale non è in grado di separarsi. Somiglia in tutto e per tutto alla trama di una tragedia moderna; tuttavia, ritengo che nessun canto dei capri, composto in antichità o in tempi più recenti,sia in grado di descrivere il complicato rapporto che intercorre tra le nostre anime.
Sono settimane che non mi guardo allo specchio; il lato positivo è che Chuuya pare essersi arreso: oramai non fa alcun rabbuffo e ha persino rinunciato a latrare altri insulti contro la mia persona. Ha perso ogni briciolo di vitalità che aveva in corpo.
Sono completamente sicuro che semmai dovessi avere l'inesplicabile voglia di curiosare dietro la tenda improvvisata che ci separa, troverei il cadavere di Chuuya a fissarmi con degli occhi languidi, simili a quelli di una bambola di porcellana. A volte si rianima e comincia ex abrupto a supplicarmi, sperando che io presti ascolto quanto meno alle sue patetiche impetrazioni. Che la sua caratteristica sagacia lo abbia abbandonato? Non tutti i padroni assecondano le richieste dei propri cani, l'avrebbe capito finanche un bambino. Dimmi Chuuya, perché ti disperi così tanto? Preferiresti davvero stare con la persona che ti ha bestialmente ucciso piuttosto che stare da solo? Non prevedo mai con assoluta precisione il momento in cui Chuuya avrà intenzione di ricominciare a parlare, ma ogniqualvolta gli pongo queste domande, lui serra le labbra e cessa di esistere per un breve istante. In quei momenti di mutismo selettivo, sono io a sentirmi più solo che mai.
Oggi è il mio ventitreesimo compleanno. E' un dato di fatto che, nonostante le mie continue mattane, i membri dell'Agenzia sono stati abbastanza premurosi da organizzare una festa perfino per un reietto della società come me. Il minimo che possa fare è presentarmi, anche se, a dirla tutta, non trovo l'idea particolarmente allettante. Ciononostante, il mio ultimo tentativo di suicidio è stato nuovamente un fallimento e citando Kunikida, ritentare durante lo stesso giorno "non rientra nei miei ideali". Rivolgo un'occhiata fugace alle lenzuola che nascondono lo specchio del salone che funge da cucina. « Chuuya, quanti anni mi daresti se potessi vedermi? » Come suo solito, non apre bocca. Quanta caparbietà e testardaggine in un essere così fragile. Prima di afferrare il cappotto, mi blocco dinnanzi all'appendiabiti e inserisco lentamente la chiave nella serratura. In seguito, chiudo la porta con un movimento brusco, fingendo di aver già tolto il disturbo. Avverto dei singulti provenire da ogni angolo: davanti ad una tale scena, non posso fare altro se non trasecolare. Nel mare della solitudine, Chuuya crolla sotto il suo stesso peso e annega sommerso dalla disperazione. "Due facce della stessa medaglia" ripeto. Silenziosamente, esco di casa e mi avvio verso un altro edificio degno di questo nome. " Eccola: questa è la mia vera casa, la mia unica dimora. " In passato, mi sono spesso soffermato sull'idea che non appartenessi a nessun posto in nessun luogo. Ancora oggi, a distanza di numerosi anni, concordo pienamente con l'affermazione del me quindicenne. Tuttavia, alla vista dei sorrisi dei miei colleghi, posso dubitare, almeno per un istante, dell'esattezza di questa mia considerazione. Braccia aperte mi accolgono simili ad ali di angelo. « Dazai-san, buon compleanno!» "Buon compleanno": due parole di scarsa importanza, ma che, se dette dalle persone giuste, intingono l'aria con un'aroma di dolcezza che inspiro più dell'ossigeno stesso. Occhi ridenti mi scrutano alla ricerca di segni di maturità. « Dazai, c'è una persona che vorrebbe parlarti. » Rifletto sull'identità del visitatore anonimo e dopo aver concluso che si tratta di Akutagawa, raggiungo il presidente. Trasalisco internamente quando scorgo un capo corvino maledettamente familiare affacciarsi dalla stanza accanto. Giuda Iscariota. Mi scruta anche lui, ma alla ricerca di segni di vecchiaia. « So che non sono la persona che vorresti vedere in una giornata del genere, ma dovevo parlarti. » Fukuzawa si congeda lasciandoci soli. « Ango, non c'è nulla di cui dobbiamo parlare. Vattene. » Il ribollire di un sordo rancore mi allarga gradualmente il petto. « Non può dirtelo di persona ovviamente, ma ci teneva a darti gli auguri. » chiosa tristemente. "Non volevo sentirlo dire dalla tua lurida bocca" penso amaramente. Continua a scrutarmi: cosa sta cercando stavolta? Segni di umanità? « Io lo vedo. - mi confessa con un filo di imbarazzo - Non solo nel riflesso degli specchi o delle altre superfici. Nelle pagine dei libri che leggo, ritrovo frammenti del suo sogno incompiuto. Nei gimlet che vengono serviti nei bar, ritrovo pezzi della sua essenza. Nelle macchine fotografiche di vecchia data, ritrovo tracce del suo sorriso. Ammiro e amo tutto ciò che vedo, e in ogni cosa vedo lui. Perciò, ti prego Dazai, di almeno degnarti di leggere la lettera che mi ha chiesto di consegnarti. » Io sono senza dubbio una creatura iniqua, riprovevole e ricca di inverecondia. Però, è grazie a quell'uomo che ho capito di poter migliorare. Io, una belva, un demone, un mostro, posso diventare un essere umano. « Va bene. » Mi porge la lettera con mani tremanti. « L'ho scritta io ma le parole sono inconfutabilmente sue. » Abbasso lo sguardo e mi immergo nella lettura: è una missiva amena e piacevole, che suscita una tranquillità allarmante, proprio come Odasaku. A seguire i numerosi auguri per gli anni venturi, a piè di pagina, si trovano una serie di righe più calcate rispetto alle altre.