Let us Be

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Quella mattina a svegliarlo fu un incubo. Non uno di quelli chiari, vividi, che rimangono impressi sulla retina. No, uno di quelli sarebbe stato facile da ignorare. Quando vedi un mostro in un incubo per quanto spaventoso rimane...irreale, un parto deforme di una mente inquieta. Avrebbe ringraziato per un incubo del genere.

Invece, quello che lo svegliò quella mattina gli lasciò il cuore in panne, la schiena sudata e l'orribile, formicolante sensazione che qualcosa di tremendo era appena successo, o sarebbe successo.

Si volse su un fianco, dando la schiena alla moglie. La sua figura morbida sotto il lenzuolo gli sembrava intollerabile dopo l'incubo. Guardò l'ora sullo schermo del telefono e per poco non gli sfuggì un'imprecazione: troppo presto per alzarsi, troppo tardi per tornare a dormire.

Tornò a voltarsi sulla schiena, a contemplare l'oscurità intessuta dalle ombre sopra la sua testa. Il respiro della moglie, dolce, regolare, era un sibilo sottile, la prova della vita.

Da qualche parte fuori abbaiò un cane, una macchina sfrecciò lungo la strada sollevando spruzzi d'acqua: forse durante la notte aveva piovuto.

Incapace sia di rilassarsi sia di tornare a dormire, con il pensiero fisso sull'incubo informe che l'aveva svegliato, Naruto decise di alzarsi. Infilò le pantofole lentamente, neanche si aspettasse di sentirle scoppiare sotto i piedi come petardi, e scivolò completamente nel mondo dei vivi, degli insonni, dei padri di famiglia insoddisfatti.

Erano le 05:55 di un lunedì mattina e tutta la casa ci teneva a ricordarglielo. La cucina era silenziosa, salvo il ronzio del frigorifero; il bagno era buio; le porte delle camere dei suoi figli erano chiuse. Si soffermò a guardarle per un attimo.

Himawari era in quel periodo della vita in cui i genitori hanno ancora un certo ascendente su di lei. Se sedeva scomposta e veniva ripresa, chiedeva scusa, se masticava in modo rumoroso bastava una parola della madre per farla smettere, persino nel modo di vestire accettava ancora consigli.

Boruto era tutta un'altra storia.

L'adolescenza l'aveva reso indolente e ribelle, niente sembrava andargli bene, soprattutto se usciva dalla bocca del padre; era testardo, disubbidiente, pigro, sciatto, e tutta un'altra serie di epiteti poco lusinghieri che Naruto si ritrovava a rivolgergli un po' troppo spesso. Per il piacere che provava a farlo impazzire, spesso era recidivo in comportamenti fastidiosi e pedanti.

Sulla porta della sua camera aveva attaccato un cartello giallo con ossa, teschio e l'immancabile scritta "KEEP OUT". Inutili erano stati i tentativi di Hinata di farglielo togliere, e ancor di più lo erano stati quelli di Naruto. Così alla fine era rimasto, per ricordare a Naruto ogni giorno quanto suo figlio fosse incontrollabile.

Sospirando, andò a preparare la caffettiera e a metterla sul fornello.

Era ancora buio fuori, quel buio carico di promesse che precede l'alba.

Attese che l'aroma del caffè riempisse l'aria, seguito dal suono più bello del mondo (secondo solo alla risata della moglie e alle voci dei suoi figli ovviamente): il borbottio della caffettiera.

L'incubo era ancora ai margini della sua coscienza, non allentava la prese né diminuiva l'inquietudine.

Massaggiandosi il petto rifletté che forse doveva vedere un medico, anche se ammetterlo voleva dire accettare l'idea di stare invecchiando, e di avere paura di ogni strano ticchettio del suo cuore.

Forse avrebbe dovuto diminuire la quantità di caffè, anche se era piuttosto ipocrita da parte sua, dal momento che stava per berne uno, lungo.

Però effettivamente avrebbe dormito meglio, e il cuore avrebbe smesso di dargli pensiero.

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