Canzone: Wicked Games - Chris Isaak
Odiavo tremendamente l'ora di fisica.
Il mio era un odio viscerale, partiva dalla bile e acido come il più aspro dei limoni risaliva l'esofago lasciandomi l'amaro in bocca. Non riuscivo a distrarre i miei pensieri da quel retrogusto e passavo i cinquanta minuti antecedenti all'intervallo a riempire le pagine dei libri con ghirigori vari.
Capiamoci, il problema non era la materia in sé – non che fossi propriamente una cima – quanto più il demente che tentava di spiegarcela. Il Monza, o Mastro Lindo come preferivamo chiamarlo, aveva la straordinaria capacità di stordire una classe di venti persone con i suoi infiniti turpiloqui su teorie che dubitavamo perfino noi lui stesso capisse.
E in quel momento ci stava deliziando con una succulenta spiegazione sugli specchi e le loro proprietà a dir poco...deducibili?
«L'immagine riflessa non sarà mai corrispondente al cento per cento alla realtà» esordì lui, la pelata scintillante sotto le luci led del soffitto. «Se osservate bene, in base alla distanza e le proprietà anatomiche della superficie riflettente, potrete notare come il nostro soggetto risulti ben diverso dal suo gemello sbagliato.»
Una ragazza dalla prima fila, Alessandra Rigoni, schioccò la lingua con fare stizzito.
«È impossibile prof, se è uno specchio dovrebbe fare un'immagine uguale alla realtà. Magari è fallato» disse sghignazzando. La compagna, Giovanna Masi, rise sommessamente dal banco di fianco.
«Non esiste uno specchio perfetto, Rigoni» fece il Monza bonario, «Tutti in qualche modo riportano una versione alterata di quella che chiamiamo realtà. Diciamo, sì, diciamo che è relativo!»
Ed eccolo lì, il giusto pretesto per attaccare con il suo solito discorso super-iper-mega filosofico sulla teoria della relatività e quella delle stringhe.
Tornai a fissare i miei scarabocchi e, prima che il suono della campanella venisse in nostro soccorso, notai come questi parevano incompleti. Ne mancavano alcuni.
L'Istituto Everett sorgeva ben fuori dalla città, su una collinetta dalle modeste dimensioni e isolata da qualsivoglia abitazione. Si poteva raggiungere il centro abitato soltanto con l'autobus o una "breve" camminata di un'ora, ma questo accadeva raramente per noi studenti segregati nelle vecchie mura dell'ex collegio.
La ferrea disciplina del liceo scientifico, come era chiamato in questi giorni, aveva fin da subito convinto i miei genitori che ben poco sposavano la mia predisposizione verso l'umanistico e l'arte. Inoltre la presenza di dormitori permise loro di vivere l'agognata vita di coppia indisturbati dalle crisi adolescenziali del figlio di troppo.
I miei fratelli, Clarissa e Riccardo, erano ormai fuori casa con le loro carriere avviate in medicina e giurisprudenza. Mancavo solo io, l'ultima ruota del carro, che con le sue manie artistiche doveva in qualche modo diventare notaio o qualsiasi altra professione acchiappa soldi con calcoli e cifre. Un divertimento assoluto, il mio piccolo inferno personale da ben quattro anni.
Ma almeno nei pochi metri quadrati della mia stanza ero riuscito a trovare un precario equilibrio che per un diciassettenne come me faceva la differenza tra la pazzia e l'indifferenza. Preferivo la prima però, era con lei che le mie opere migliori prendevano vita.
Le pareti della camera erano disseminate da tele che, non trovando più spazio, si appropriavano del pavimento rendendo difficile la mobilità. Fortunatamente non avevo un compagno di stanza, il letto opposto al mio faceva da appoggio per tutti i miei libri scolastici consunti. Lo preferivo così, libero da una qualsiasi forma di vita "respirante" o in grado di parlare. E di giudicare.
La mia vita da pseudo-figlio unico e senza genitori mi piaceva, se non fosse stato per le varie regole del dormitorio la mia si poteva definire un'adolescenza libera da qualsiasi costrizione. Avevo qualche amico che mi azzardavo a definire tale, il mio spazio privato dove nessuno poteva entrare e, se si conoscevano i passaggi giusti dell'edificio e l'orario delle tratte, anche una cittadina da raggiungere nei momenti di noia. Insomma, avevo diciassette anni e tante cose da fare che non erano sicuramente studiare.
Poi però arrivò lui e da lì cambiarono molte cose, se non tutte.
STAI LEGGENDO
Vice Versa
FantasyEnea è all'ultimo anno di liceo scientifico, non è un genio per quanto riguarda le materie con formule e calcoli ma ben diversa è la situazione con l'arte. Le giornate scolastiche passano lentamente tra una lezione e l'altra quando, a inizio ottobr...