Caligine

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Pertinace, inseguivo le note giuste per quel tragitto, pigiavo il bottone della radio come potessi schiacciare la voce dei miei pensieri: in realtà, Dio solo sa cosa stavo aspettando di sentire, per interrompere quella frenesia. Rosso. Lascio che la mano si appoggi al cambio, lo sguardo sul lago d'Iseo: sulla passerella il nostro primo bacio. Verde. Di Arianna seguo il filo e parcheggio, senza fatica, sotto casa, uomo stanco e disilluso che torna dopo una snervante giornata di lavoro e se ne compiace, riacquistando sicurezza a ogni gesto, a ogni conferma. Tiro fuori dalla tasca le chiavi e le infilo nella toppa. Entrano. Spalancata la porta, però nessuna conferma, mi trovo immerso in un vuoto disordinato. La casa non sembrava disabitata, anzi era proprio come l'avevamo immaginata, come me ne fossi separato stamattina, chiudendo di fretta la porta: due maglie erano abbandonate sulla spalliera del divano, un laptop serrato sul tavolo in soggiorno, una candela consumata dentro una lanterna d'argento. Ho spalancato le finestre e mi sono seduto sul divano, vagheggiavo una dolce conversazione tra amanti, languide marionette nelle mani di un folle. Com'è che si dice? "Prendere le sue cose". Fosse dipeso da me, avrei lasciato tutto com'era, purtroppo non potevo: l'appartamento andava sgombrato, era in affitto. Mi sembrava di essere un ladro, un vandalo, che distrugge un favo costruito con tanta dedizione. Il proprietario si era mostrato addolorato, al telefono... Comunque lo pretendeva vacante entro un mese: ipocrita! Come se potessi sbarazzarmene. Di lei, del suo sorriso, delle sua roba, dei nostri ricordi, dei nostri desideri. In un mese. Non mi sarebbe bastata una vita. Non volevo neppure provarci. Così sono rimasto, in coma, per un tempo indefinito e me ne sono reso conto soltanto una volta sveglio. L'armadio mi fissava, il suo odore era come sabbie mobili. Quanto sarebbe permaso il suo profumo sui pigiami, sulle sciarpe? Quanto la sensazione di intestino solletico che percepivo ogni qualvolta li poggiavo sulle labbra? Procedere, senza di lei, era un'utopia, come se ad ogni passo avanti, ne corrispondessero, per me, innumerevoli indietro, una molla il cuore, che faticherebbe maggiormente a sfuggire, che a riavvolgere il nastro dei ricordi. Se la vedeva a fianco, con addosso il cardigan color panna e il pensiero di un cuore malato, imprescindibile accessorio: soffriva da sempre di malformazione cardiaca, sebbene, grazie a controlli periodici e farmaci, riuscisse a mantenere un precario equilibrio, tanto che aveva deciso di cambiare vita, lavoro, perseguire il suo sogno; poi aveva conosciuto me e il suo divenire era diventato anche il mio: senza accorgermene, la domenica la trascorrevo sul divano alla ricerca di una casa lontana da casa, andavo a lavoro al mattino senza la nostalgia delle ferie, ma anzi temevo di ritrovarmi con le mani in mano, disoccupato, in salone, con la canottiera lisa a indagare annunci su internet, a inviare curriculum come un ragazzino scioperato. Peccato che io non fossi più un ragazzino ozioso e che tutto questo stonasse spaventosamente con le mia età. Davvero non mi giustifico come si faccia ad essere così ciechi, a non vedere l'altro.

Mi specchio al finestrino: giacca a posto, tiro su gli occhiali. Mi si prospettava l'ennesima giornata di lavoro in banca e se, mentre appendo scocciato alla camicia il cartellino, mi richiama querula la mancanza, spostandomi tra le scrivanie, i colleghi, i rumori, l'aroma del caffè, vedo che la foschia si dissolve, accenno perfino un sorriso salutando la dolce Lisa dello sportello quattro e Filippo mi accoglie con l'ordinaria, ma sentita, pacca sulla spalla. Intento a riordinare le idee, vengo distratto dall'ancheggiare di una gonna rossa: Serena. Ieri era il suo ultimo giorno di ferie.

«Come stai? Tutto bene? Ti vedo strano. E tua moglie?» così un paio di luminosi occhiali rossi mi fissavano sagittabondi e non sapevo bene se scoppiare a ridere o a piangere. Era l'unica ancora all'oscuro dell'accaduto.

«Mia moglie è morta» le confesso, forse con un tono di voce un po' alto, saldo della convinzione che prima avrei tolto il dente, meno sarebbe perdurato il dolore.

«Mio Dio, condoglianze! Com' è successo, andava tutto bene fino a poco tempo fa...» mi fissava sbigottita.

Non proprio bene, considerato che mia moglie voleva trasferirsi in un casolare lontano da Dio e che io, per forza di cose, dovevo lasciare il mio lavoro, i miei amici, la mia città... E che questo mi facesse stare male lei non l'ha mai saputo, non l'hai mai notato, non l'ha mai chiesto. Ma non era questo ciò che Serena mi stava domandando.

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