La sveglia delle 6:00 suonò puntualissima la mattina del 20 luglio, giorno di partenza per me ed El: avremmo raggiunto papà e Lewis a Le Castellet per il Gran Premio di Francia. Mi alzai e con gli occhi chiusi andai in bagno, aprii l'acqua, la feci scorrere nella speranza che si riscaldasse e mi lavai il viso; tornai in camera e controllai El, dormiva, perciò scesi in cucina e feci colazione con un cappuccino e quattro fette biscottate con un filo di burro e marmellata di amarene. Tornai in bagno e feci una doccia, mi lavai i denti e indossai un paio di ciclisti blu, una felpa del medesimo colore con delle scritte bianche e un paio di sneakers. Preparata la borsa e chiusa la valigia svegliai El alzando le tapparelle: le diedi il suo latte caldo con i Plasmon e le feci un bagno caldo vestendola con una tuta e una felpina verde e le sue air force mini con dei fiorellini dipinti su entrambi i lati. Oltre la mia borsa preparai uno zainetto con tutte le sue cose: biscottini, un vasetto di frutta, latte e biberon, un bavaglino, salviette umidificate, pannolini puliti, un cambio, un ciuccio in più, il suo peluche preferito, una copertina, dei pastelli e qualche foglio di carta. Uscii di casa e chiamai un taxi che ci portò in aeroporto, dove intorno alle 9:30 ci imbarcammo per Tolone.
Salite a bordo un'hostess di volo mi aiutò a sistemare El al suo posto: nella prenotazione del volo specificai che c'era una bambina, perciò la compagnia mise a disposizione un seggiolino sul quale la piccola avrebbe viaggiato in totale sicurezza e tranquillità. Ringraziai l'hostess e mi sedetti al mio posto accanto al finestrino, estraendo dalla borsa il computer e lasciando la piccola giocare con i coloriDopo due ore di volo El non smetteva di piangere, disturbando gli altri passeggeri: non avevo la minima idea di cosa avesse ma facevo meglio a calmarla prima che gli altri si lamentassero con le hostess e gli stuart, tenendo conto del fatto che mancassero ancora quattro ore all'atterraggio. La slegai e la presi in braccio mettendola sulle mie ginocchia e rimettendole il ciuccio che aveva lasciato scivolare dalla bocca alle mie mani; per mia sfortuna lo rifiutò urlando e dimenandosi. Non avevo la minima idea di cosa fare: avevo provato con il latte ma non lo voleva, avevo provato a farle vedere dei cartoni ma piangeva ancora più forte, avevo controllato se andasse cambiata ma era tutto nella norma e avevo persino provato a canticchiarle una canzone ma mi tirò i capelli talmente forte che ci rinunciai; stavo iper ventilando, avevo mille occhi addosso, mia figlia si contorceva senza un apparente motivo e io non sapevo cosa fare, in più c'era una signora grassa e brutta che non smetteva di fissarmi
<Dio che fastidio!> esclamò roteando gli occhi al cielo e sistemandosi sul suo sedile; mi stava forse prendendo in giro? Le lanciai uno sguardo truce sperando che recepisse il messaggio, ma non fu così
<Devi vedere io che a trent'anni avevo già due figli come ero in grado di calmarli e non disturbare gli altri nemmeno per un istante!> disse alla donna seduta accanto a lei che rise continuando
<Come darti torto Agatha; queste giovani oramai non fanno altro che sfornare bambini senza rendersi conto di quanto in realtà sia difficile prendersi una responsabilità così grossa, e questo è il risultato!> come prego? Mi stava forse dando della poco di buono e dell'incompetente?
<Mi scusi se non mi ha insegnato nessuno a fare la madre!> urlai fuori di me; non ne potevo più delle occhiate delle persone e dei commenti molto poco carini nei miei confronti solo perché ero una giovane mamma! Era insostenibile. Entrambe le donne rimasero a bocca aperta e non dissero una parola; meglio così! Avevano capito che non dovevano immischiarsi e non dovevano permettersi di commentare il mio operato. Mi lasciai andare sul sedile senza sapere che fare: le due donne tornarono a farsi i fatti loro, ma El non smise nemmeno per un attimo di urlare e, ormai senza speranze, chiusi gli occhi sospirando e pensando a cosa fare. Mentre riflettevo ebbi un'illuminazione: a disturbare la piccola era la pressione! Le dava fastidio perché le faceva fischiare le orecchie e tappare il nasoRisolto il problema El crollò sfinita per il pianto, così le misi una copertina sulle gambe e dietro al collo un cuscinetto a mezza luna davvero morbido. Mancavano ancora tre ore all'atterraggio e non sapendo cosa fare iniziai un film: "Red Notice". Quando terminó El aprì gli occhi e se li stropicciò allungando le braccia verso di me e aprendo e chiudendo i pugni ripetutamente: voleva venire in braccio. La accontentai e visto che era l'ora dello spuntino della mattina le diedi qualche fettina di mela e il suo biberon con l'acqua; subito dopo riprese a scarabocchiare sui fogli mentre io controllavo sul computer i siti di alcune università e college sia in Inghilterra che in Italia. Poco prima dell'atterraggio il comandante parlò
<Signore e Signori, buongiorno, è il vostro comandante che parla...> elencò le condizioni meteorologiche di Tolone e comunicò che in venti minuti saremo potuti scendere. Misi il portatile nella sua custodia e sistemai El, tranquillizzandola e dicendole che a breve saremo scese. Recuperata la valigia e il passeggino ci incamminammo verso l'uscita dell'aeroporto e ad accoglierci c'era l'autista, francese, che ci avrebbe portate in hotel a Le Castellet, quindi un'altra mezz'ora scarsa in auto che fortunatamente passò molto in fretta. Al nostro arrivo due giovani del personale ci accompagnarono nella nostra stanza elencandomi tutti i servizi che offriva la struttura, compresa la spa dove avrei fatto sicuramente un salto! La stanza era sui toni del bianco e del nero, con un ampio letto matrimoniale, delle poltroncine poste di lato e un balconcino che affacciava sulla piscina. Alla base del letto c'era una panca con delle riviste, mentre sui comodini c'erano delle piantine della struttura e un paio di brochure che illustravano la spa. Prima di fare qualsiasi cosa cambiai El e le tolsi la felpa, sostituendola con una maglietta a maniche corte di cotone bianca e la misi sul letto a giocare con la sua bambola di pezza mentre anch'io mi cambiavo. Andai in bagno a sciacquarmi le mani e il viso prima di chiamare Tris
<Ehi!> mi rispose allegra al terzo squillo
<Sono appena arrivata in hotel, non sai che fatica il volo! Ti va di fare un giro in zona?> roteai gli occhi al cielo al ricordo delle due donne che misi a tacere
<Ma certo! Sto tornando proprio ora dalla spa, ci vediamo fra venti minuti nella hall?> nel mentre ricevetti una chiamata da mamma, così misi in attesa Tris e le risposi
<Isabella, devi venire immediatamente al circuito, tuo padre è fuori di sé> era spaventata e la preoccupazione nel suo tono di voce era palpabile
<Che succede?> mi allarmai di rimando; raramente mi chiamava per nome, doveva essere successo qualcosa di davvero serio
<Si tratta di Lewis...> il cuore mi saltò un battito; se gli fosse successo qualcosa io-, no, ti prego
<Che gli è successo? Mamma? È successo qualcosa a Lewis?> alzai il tono della voce e scattai in piedi infilando le salviette e i pannolini nella borsa di El
<Lascia stare sto arrivando> chiusi la chiamata e corsi in camera di mia cugina lasciandole la piccola e chiamai l'autista che sentendo la mia voce tremolante si precipitò e mi portò al circuito. Quando arrivai non gli diedi il tempo di frenare che ero già corsa fuori dall'auto e mi dirigevo ai box della Mercedes con il cuore a mille
<Dov'è Lewis? Spostati> mi feci strada tra le persone lì presenti e qualcuno mi tirò per un polso facendomi trasalire
<Mamma! Dov'è papà, e Lewis? Lui sta bene?> mi tremavano le gambe e le mani per l'ansia
<Sta tranquilla Lewis sta bene, è lì dentro, vai> disse indicandomi una porta nera con le sue iniziali. Mi fiondai dentro e chiusi la porta alle mie spalle sbattendoci contro la schiena e smettendo di respirare quando vidi il mio migliore amico seduto su un divanetto con la tuta della scuderia in vita e le mani fra i capelli; aveva lo sguardo basso e non si muoveva, ma stava bene
<Lewis! Che diavolo-> dissi con un filo di voce ancora scossa per la paura che mi ero rimessa qualche istante prima
<Smetto di correre> lo sputò così velocemente e con rabbia che non riuscii a capire se fosse serio o se mi stesse prendendo in giro
<Cosa?> mi ritrovai a dire incredula fissando il mio amico che si alzava e mi si parava davanti con aria minacciosa
<Smetto di correre> questa volta lo disse più lentamente e scandendo bene le parole; ingoiai l'aria e cercai le parole che mi morirono in bocca, non poteva essere. In cuor mio sperai che fosse un sogno e che mi sarei svegliata al più presto
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SEI SEMPRE STATA TU || Arthur Leclerc
FanfictionIsabella, a soli diciannove anni, si ritrova a fare i conti con una situazione difficile. Su di lei gravano il giudizio altrui, il peso delle aspettative e la consapevolezza di non essere ciò che gli altri desideravano che fosse. Al suo fianco un...