La sala del trono era grande, enorme agli occhi di una bambina di soli cinque anni. La stanza di mattoni chiari contrastava con l'oscuro trono, che incuteva timore anche ai più adulti: teschi umani perfettamente scolpiti, che creavano il dubbio sulla loro veridicità anche nella mente dei più grandi artisti dell'epoca, si ammassavano l'uno sull'altro creando un piatto rialzo dove aveva luogo la seduta; lo schienale era spaventoso quanto affascinante, sembrava quasi l'ossatura di un'ala, che si spiegava verso il lato destro.
Dal varco aperto tra le gambe di una delle guardie che avevano il compito di tenerla ferma, imprigionata contro il freddo muro, poteva vedere quanto il trono fosse rialzato rispetto al luogo dove i sudditi assistevano all'infimo teatrino che il freddo re aveva messo in atto. L'enorme uomo guardava tutti dall'alto, con uno sguardo che sarebbe risultato glaciale anche se non avesse posseduto i tipici occhi azzurri degli Iwardesc. Occhi strani, che per i non abitanti del Yavechet sarebbero potuti sembrare finti: chi viveva nel continente, invece, sapeva fin dalla tenera età che quelli erano gli occhi dei reali, tramandati di generazione in generazione.
"Quindi non hai intenzione di ammetterlo, donna?" la voce glaciale di Coatli di Iwardesc irruppe nell'ampia stanza, richiamando l'attenzione di chi si era distratto -chi mai poteva distrarsi, di fronte a una situazione del genere?- sul trono da lui occupato. "Dillo, suddita! Confessa, nossée!" se fino a quel momento la sua voce aveva mantenuto la calma tipica dei reali, la pronuncia di quel terribile epiteto lasciò trapelare il disgusto che il sovrano provava nei confronti della sua gente, di chi gli permetteva di rimanere seduto su quell'inquietante trono. Freya sapeva bene cosa stava per succedere: centinaia di persone venivano giustiziate ogni anno per capriccio del re, nonostante avesse soltanto cinque anni la bambina conosceva bene i meccanismi malati della corte. Nessuno faceva niente per il povero mendicante che rubava una fetta di pane, la sua pena era quasi sempre la decapitazione. Nessuno muoveva mai un dito. Nessuno poteva mai fare nulla.
"Uccidetela" una sola parola fece breccia nel suo cuore, la colpì con lo stesso dolore che avrebbe avuto una vera freccia. Gli occhi della bambina si mossero velocemente per la stanza, mentre il suo corpo sembrava non voler rispondere ai comandi che il cervello continuava a mandare senza freno: sua mamma stava per essere uccisa davanti ai suoi occhi? Per quale motivo non voleva ammettere quello che aveva fatto? Che cosa aveva fatto? Subito trovò lo sguardo di sua madre, una donna ormai stremata: le guance scarne, il colorito pallido e le ossa delle clavicole troppo in rilievo mostravano quant'era la povertà che le attanagliava; i lunghi capelli corvini erano arruffati, le vesti sporche e stracciate per i giorni di prigionia. Ma gli occhi, quelli continuavano a mostrare la vitalità della donna nonostante la grande sofferenza. "Mamma" Sentì un sussurro involontario lasciare la sua bocca, un richiamo istintivo ma che non raggiunse il destinatario. Una lacrima le solcò la guancia mentre due soldati nella loro armatura dorata prendevano sua madre da sotto le ascelle, alzandola e trascinandola verso l'esterno. "Mamma!" Questa volta la voce uscì più forte, mentre si alzava dal pavimento e premeva contro le gambe dei soldati davanti a lei con forza, spingeva per riuscire a scappare, a raggiungerla. Invano. Uno dei campioni dorati prese anche lei, alzandola dal pavimento non si curò del suo divincolarsi, degli insulti che lasciavano le sue labbra a gran voce: la portò fino a fuori dalle mura del castello, ancora all'interno del villaggio, e lì la lasciò.
Era sola. Avevano ucciso sua mamma. Il re aveva ucciso sua mamma.
Passarono i giorni e Freya non si mosse da quella posizione: non sapeva dove andare, non aveva idea di cosa fare. Lo stomaco brontolava, ma la bambina ci aveva ormai fatto l'abitudine visto che il cibo non era mai troppo nemmeno a casa loro: ma dov'era, casa loro? Non se lo ricordava. Sentiva lentamente ogni goccia di vita abbandonare il suo corpo, lentamente: più andava avanti e più sentiva lo stomaco contorcersi su se stesso, la bocca secca per la sete, il prurito per le pulci aumentare sempre di più. Ma un giorno, mentre era sdraiata per terra, una carrozza si fermò davanti a lei: non vide il volto di chi scese, non ne capì le parole; in men che non si dica delle mani forti la sollevarono dal terreno adagiandola sul morbido tessuto dei sedili. Rannicchiata su se stessa, sicura che la morte fosse venuta a prenderla, si addormentò senza nemmeno opporre resistenza.
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La rivincita dell'astro marino
FantasyIn un regno lontano, fuori dal tempo e dal mondo che conosciamo, la piccola Freya assiste alla morte della madre, voluta dal terribile re di Iwardesc. Rimasta orfana viene buttata per strada, dove vive da sola per alcuni giorni protetta soltanto dal...