Capitolo 5 - Distanze minime e biscotti alla cannella

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Il silenzio del Fragenco a serrande abbassate è surreale. Dopo il caos della serata, resta solo il tintinnio lontano di qualche bicchiere e il mio respiro, mentre pulisco con calma il bancone degli alcolici.

Do un’occhiata fugace a Francesco. Sta sistemando i tavoli con un’efficienza quasi sospetta, senza dire una parola. Le maniche della camicia arrotolate, i capelli un po’ spettinati. Una parte di me non può fare a meno di notarlo.

Strano che stia aiutando. Di solito, a quest’ora, ha già salutato con un cenno e se ne è andato con passo deciso. Ma oggi no. È ancora qui.

Sospiro.
Almeno non farò l’una, pensavo già di dover passare un’ora a sistemare tutto da sola.

«Sara.»

La sua voce interrompe il mio flusso di pensieri. Mi volto con un "Mmh?" quasi distratto.

«Io ho finito qui. Se hai fatto anche tu, chiudiamo e andiamo.»

Sta già facendo il giro del bancone e in pochi passi mi ritrovo a pochi centimetri da lui.

«Sì, prendo le mie cose in camerino,» dico sfilandomi il papillon di quella serata, stanca e un po’ accaldata.

«D'accordo. Ti aspetto fuori.»

Mi blocco un istante, stranita.
«Se vuoi puoi andare, mica devi aspettarmi. Chiudo io.»

«Ho detto che ti aspetto fuori.»
Lo dice senza alzare la voce, ma il tono non ammette repliche.

Annuisco, sorpresa dal suo insistere. Meglio non provocarlo, magari poi mi tocca pulire anche i bagni.

Quando esco dal camerino, con lo zaino a tracolla, mi assicuro che le luci siano spente, la macchina del caffè scollegata, le bottiglie chiuse. Un’ultima occhiata al locale, ora immerso in una quiete quasi malinconica.

Fuori, la notte è tiepida, l’aria profuma di città e gelsomini. Francesco è appoggiato a una moto parcheggiata di traverso. Nera, lucida, dallo stile aggressivo.

«È tua?» chiedo, alzando un sopracciglio. «Non mi sembravi tipo da moto.»

«E perché mai?» ribatte, incrociando le braccia.

Ridacchio.
Perfettino com’è, me lo aspettavo a bordo di un’auto costosa, con il sedile riscaldato e il Bluetooth sincronizzato. Ma non lo dico.
«Era solo un pensiero.»

Sorrido, pronta a congedarmi.
«Allora vado. Ci vediamo… ah sì, dopodomani.»

Faccio un passo indietro, ma una sua mano mi afferra per il polso. La pelle brucia sotto il suo tocco. Mi giro, sorpresa.

«Che c’è?»

«Spero tu abbia capito la lezione di stasera.»

Lo guardo, sbalordita.
«Ho capito solo che ti piace farmi impazzire. E che non ti sto simpatica.»

«Non hai fatto niente di male, dici?»
Inizia a ridere. Una di quelle risate vere, profonde, che contagiano anche se non sai cosa ci sia di divertente.

Resto lì, con la faccia da punto interrogativo.
«Hai finito?»

Si asciuga una finta lacrima. Ridicolo.

Poi succede. Mi afferra per i fianchi e mi tira a sé. Troppo vicino. Il mio corpo sbatte contro il suo petto, forte, caldo, fermo.

«Sei impazzito?!» quasi urlo. «Mi stavi facendo cadere!»

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