Le scarpe. Non si trovavano le scarpe. Clizia si fece piccola piccola, tolse la sottogonna e provò a controllare sotto al letto: forse per colpa del disordine le aveva confuse e spostate; non poteva negare che avesse la testa da un'altra parte. Lì sotto c'era un'agenda mai usata, un salvadanaio, una scatola con dentro alcuni preziosi, qualche libro: nemmeno lì le aveva nascoste! "Vorrà dire che ne farò a meno" pensò Clizia e indossò di nuovo l'abito nuziale. Si guardava allo specchio e si piaceva come non mai: era il classico modello pomposo e scollato sulle spalle, l'organza copriva i piedi e il pavimento con uno strascico di tutto rispetto, il busto era trattenuto da nastri di seta. Si complimentò con se stessa: un mese prima, era stata accorta a sceglierlo in modo che le coprisse bene le gambe e i piedi, affinché la sua zoppia fosse meno evidente. Eppure si faceva sentire. Clizia si appoggiò al cassettone di noce, si sedette e diede ancora un'occhiata allo specchio: riconobbe che a vederla così, seduta, sembrava tutto al suo posto, però se voi l'aveste vista in piedi, a quel punto sì che l'avreste veduta come traballare, cercare una mano tesa o tendere la mano verso un bastone, verso un equilibrio che le permettesse di avanzare. Una storpia che arranca, si trascina, provando a proiettarsi in avanti, frenata da se stessa, dalla sua stessa gamba; mi avreste vista combattere per muovere quell'arto dissimile alla stregua del resto del corpo e avreste ben veduto. Quando mi levo in piedi immediatamente sento un contatto titubante, affaticato e incerto con il suolo, sento la mancanza di un appoggio stabile e tutto ciò mi rallenta, mi sfianca, mi stressa; dopo qualche passo devo fermarmi e riposare, riprendere fiato. Ieri sera, in strada, mi sono fermata al semaforo, perché avevo necessità di attraversare: nonostante io provi sempre a evitare le vie trafficate, mi sono trovata dinanzi una lunga fila di automobili, bloccate anch'esse dal semaforo rosso, un gruppo di automobilisti impazienti che premeva sull'acceleratore, pronti a sfrecciare, e io ero la malcapitata, per nulla pronta. Quando la luce è diventata verde di fronte a me, ho compiuto i primi passi, giuro, il più velocemente possibile; sennonché, a metà strada, il verde si è trasformato in giallo e poi in rosso; ho iniziato a sentire il rombo dei motori, i clacson inseguirsi e inseguirmi, gli pneumatici me li vedevo già addosso, poi silenzio: niente e nessuno mi ha fatto del male. Di sicuro avrò suscitato pena nel conducente della vettura in testa alla coda, mi avrà vista zoppicare e avrà deciso di attendere, starà pensando che io sia una ragazza sfortunata, una storpia, una povera donna, così bella eppure non immune alla menomazione. Ero arrivata. Ero sul marciapiede. Ho sentito la gonna accarezzarmi le gambe.
Storpiare vuol dire cambiare in peggio, non rendere più riconoscibile l'originale, come storpiare una canzone, una poesia, la pronuncia di una parola... la reazione è comunemente stizza, trovandosi di fronte a qualcosa che non è come dovrebbe essere e lo storpiatore veste i panni del distruttore, addirittura viene tacciato di blasfemia verso il bello e l'ordine delle cose. A chi non è mai capitato di essere talvolta lo storpiatore, talvolta l'indignato? Eppure il claudicante, che altro non è che un irriducibile storpiatore seriale, reo di rovinare l'armonia del corpo alla vista altrui, non muove rabbia ma clemenza: a volte quella mancanza può smorzarsi in un difetto buffo, capace di rendere simpatico il più indisponente e logorroico degli uomini. Vi chiederete il motivo di questo bizzarro fenomeno. Me lo sono chiesto anch'io. Forse risulta divertente vedere un uomo portare la zavorra al piede invece che appesa all'anima.
Si potrà mai mascherare questa fastidiosa zoppia?
La porta della sua camera si aprì e Clizia vide entrare suo padre vestito a festa con un pacco in mano: glielo porse, felice. «Guarda cosa ho trovato dopo tanto cercare! Considerala la mia sorpresa di nozze» la sollecitò fiero il padre. «Ti ricordi Giulio, il calzolaio di Via Valli? Sono andato al suo negozio per far riparare la suola delle mie scarpe in vernice in vista del matrimonio, quelle buone, e ci siamo concessi due chiacchere. Lui si è gentilmente offerto di modellare le scarpe su misura per te».
«Mi stai dicendo che oggi io non sono riuscita a trovare le mie decolté bianche semplicemente perché le avevi prese tu?» chiese conferma la figlia.
«Sì, esatto! Anche se ci ho messo un po' a trovarle: le avevi nascoste sotto i vestiti, sul fondo dell'armadio...»
Clizia era confusa, non riusciva bene a capire quali modifiche potesse aver concepito il calzolaio, quindi provò a indossarle; quando si alzò, notò subito qualcosa di strano, si spaventò e perse l'equilibrio, per fortuna suo padre l'afferrò in tempo.
«Cosa hanno fatto alle mie scarpe?» domandò allora Clizia a se stessa e al padre.
«Hanno inserito un rialzo al posto della soletta destra, almeno così mi ha detto Giulio»
«Ma io non mi reggo in piedi!» ripeteva Clizia ricercando una nuova stabilità.
«Pensavo, almeno il giorno del tuo matrimonio, di renderti libera dagli sguardi degli invitati, volevo tu fossi bellissima, raggiante, fiera nel percorrere la navata centrale» confessò il padre posando una mano sulla spalla di Clizia. «Non lo vuoi anche tu?».
La ragazza non rispose, piuttosto ricominciò a tentaredi camminare correttamente e provando, provando, si diresse 'impettita' versola chiesa, seguita dal suo 'benefattore'.
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La sposa di vetro
Short StoryForse risulta divertente vedere un uomo portare la zavorra al piede invece che appesa all'anima.