Altalene

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Smarrito nell'immensa distesa di azzurro che pare albergare al confine con l'universo, su di un aereo che è l'ennesimo di quelli aspettati e presi in trentatré anni per tornare a respirare, Manuel osserva con occhi intrisi di una lacerante nostalgia, l'impeto di una nebbia ingrigita insinuarsi con prepotenza tra le più impercettibili pieghe serene di un cielo fin troppo perturbabile che quasi si riduce a niente.

Assomiglia al gioco violento della paura sulla vita, pensa assorto mentre il passeggero sconosciuto di fianco a lui, gli stringe la mano rendendo le sue nocche rosee, del più pallido bianco.

Come una valanga di acido muriatico la paura, sgorga inarrestabile sulla vita, erode gli spazi vuoti tra le emozioni e i sogni da costruire, e la logora sino a che di essa non resti altro che polvere.

«Ma lei non ha paura di volare?» l'uomo di mezza età terrorizzato dall'altezza, allenta la presa dalle sue dita e racimola il coraggio per tranquillizzarsi con uno scambio di voci, ovattato da un rumoroso fischiettio alle orecchie.

«No, volare non mi ha mai fatto paura.» vivere, invece, quello mi ha sempre fatto paura e se non ne avessi avuta, oggi non starei volando, ma vivendo.

«Viaggia spesso?» chiede prima che le gocce naturali di tranquillante prese prima del decollo facciano il loro effetto e lo stordiscano a sufficienza tanto da riposare fino all'atterraggio.

«Prima sì, è da un paio di anni che invece lo faccio solo per tornare a casa durante le feste.» e Manuel, che di prassi adora perdersi in chiacchiere, risponde in maniera sbrigativa, perché del passato, di questo viaggio e del futuro che ne conseguirà, non ne vuole parlare affatto, con nessuno, nemmeno con sé stesso.

«Che festa lo porta a Roma?» una domanda insidiosa, genera un ricordo che i meccanismi arrugginiti della sua mente non riescono ad arrestare, per quanto si sforzi di placare che le iridi si bagnino, oltre di malinconia, anche di quell'acido muriatico che non avrebbe dovuto lasciar irrigare con avidità sulla sua vita.


"Abbiamo detto la stessa parola contemporaneamente. Se non ci tocchiamo il naso va a finire che non ci sposiamo."
"Quindi se non mi tocco il naso ti sposerà qualcun altro?"
"Io non lo voglio sposare qualcun altro, io voglio sposare te."
"Allora mi sa che sarò costretto a sposarti."
"Allora mi sa che saremo costretti a sposarci."


«Un matrimonio.» scandisce lettera per lettera, le impregna nel dolore truce che spinto dal petto, fuoriuscito dalla bocca, pronunciato dalle labbra, si propaga nell'aria permeandola del suo angustiante rimpianto.

Ma l'estraneo di fianco a lui, per fortuna, si è già addormentato e non ha modo di abbandonarsi ad una curiosità spasmodica che al momento non sarebbe riuscito a sostenere.

Eppure, gli interrogativi, decide di porseli lo stesso.

Ancora.

Nonostante abbia già scelto. Per convincersi ulteriormente di non star sbagliando.

Dalla tasca del jeans estrae una bustina beige, usurata e ingiallita da tutte le volte che l'ha rigirata tra le mani, molto spesso con la sigaretta accesa per calmare i nervi scervellati da una riflessione perpetuata allo stremo delle facoltà mentali.

Il 10 maggio 2036 alle 10.30 allo Chalet del Lago
Ti invitiamo al nostro matrimonio.
Con amore, i vostri Simone Balestra e Riccardo Agnelli.

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