Rito

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TW: blasfemia. Tanta blasfemia! Sconsiglio la lettura alle persone infastidite dall'associazione smut-religione (cattolica).






Il massimo ministro di una chiesa sperduta nel nulla, come punto focale di una dimensione surreale, in cui tutto tace, si accinge a riporre gli strumenti della messa negli appositi spazi, accompagnato dall'odore pungente d'incenso, che ancora impregna le pareti di pietra.

L'ultima liturgia si è conclusa da una buona mezz'ora, i fedeli dispersi nella campagna buia, diretti al caldo casalingo, lasciando il sacerdote, dopo amabili chiacchiere scambiate sulle scale del sagrato, alle proprie mansioni.

La chiesa raccoglie i credenti dei villaggi limitrofi, distanti qualche chilometro di camminata: sono troppo piccoli, insulsi e sporchi e poveri, per potersi permettere un edificio di culto ciascuno, quindi si fanno unione in una singola casa del Signore. È il centro di una circonferenza perfetta, così che nessuno dei villaggi sia favorito da una distanza minore, ché i poveri devono essere tutti uguali, pezzenti tutti allo stesso modo e tali per l'eternità: la povertà, come la circonferenza, non ha inizio né fine, ma si costituisce d'infiniti uomini, come punti, senza rilevanza individuale.

Sull'altare, le candele tozze ardono ancora ed una tovaglia bianca, ornata da ricami dorati, ricopre il marmo bianco della superficie. Il sacerdote lucida la pisside con un panno umido, eliminando le tracce dei propri polpastrelli unti, proteggendo la purezza delle ostie al suo interno.

Nella sacra dimora, il silenzio regna sovrano, elevandosi fino ai soffitti affrescati, pesante come un macigno insopportabile sul petto. Viene interrotto, occasionalmente, dal frenetico battito d'ali di qualche uccello notturno, impegnato nella caccia ed incurante - di un'indifferenza che fa sospirare di sollievo - del rito che, a breve, si sarebbe compiuto. Si spezza, infine, quando il portone d'ingresso si apre, sotto la spinta di mani apparentemente forti, grandi ed impregnate di potere divino, ma profondamente delicate, decorate di cicatrici più bianche della pelle alabastrina.

«Manuel.»

Manuel - il sacerdote - non risponde al richiamo, quasi non l'avesse udito, continuando il proprio lavoro con minuziosa cura, sebbene l'attenzione sia tutta rivolta all'ospite, mentre lo sfregamento del panno sulla pisside si è ridotto ad attività d'apparenza, per mantenere una parvenza di compostezza esteriore. Tuttavia, la figura che lo richiama non si fa intimidire dal comportamento riservatogli, prendendolo, invece, come un invito ad avvicinarsi - le suole degli stivali sporcano il pavimento di fango, generando uno sgradevole suono cigolante.

Manuel non interrompe i movimenti nemmeno quando delle mani trovano dimora sui suoi fianchi, nemmeno quando percepisce il fiato caldo, conosciuto, solleticare il collo, ad indicare la ridotta vicinanza tra i corpi - indecorosa, inopportuna, per il proprio ruolo religioso. Si blocca, tuttavia, quando labbra morbide si scontrano contro la sua mandibola, lasciando un bacio dolce, bagnato, al sapore d'eresia.

«Simone.» sussurra il nome dell'altro, che non esita a stringerlo tra le braccia, facendosi servo della sua richiesta silenziosa.

Sono l'uno dietro l'altro, sono l'uno la propaggine dell'altro, sono solo Manuel e Simone. Non un sacerdote infame, non un angelo caduto, solo due cuori che battono all'unisono, indifferenti alla natura reciproca. La schiena di Manuel contro il petto di Simone, la testa di Manuel contro la spalla di Simone, il respiro di Manuel contro il respiro di Simone: si assaporano con lo sguardo, ch'è incatenato agli occhi dell'altro, pregustando l'amore che li aspetta.

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