Giravamo per il centro di Milano in cerca di un dannatissimo caffè, ma
giuro che di Bar non v'era neppure l'ombra. Girammo, girammo e,
indovinate un po', girammo ancora. Nessuna traccia di caffè nell'aria.
Nessun edificio dalla forma di tazzina da caffè, nessun fiume caldo
scrosciante proveniva giù dalle montagne. Non capivo davvero come
fosse possibile, fino a quando non mi balenò un'idea strampalata per la
testa. E intendo che letteralmente mi balenò in testa, trasformando il mio
cranio nelle dimensioni del mastodontico animale marino. E per giunta
dallo sfiatatoio fuoriusciva una marea di acqua. Devo ammettere che la
cosa mi è sembrata un po' strana, ma non le ho dato molto peso, in fondo
chiunque a questo mondo può trasformare la propria testa in ciò che
desidera. Guardandomi un po' intorno infatti vidi tutti con teste differenti.
Chi aveva numeri, chi aveva scultura e chi aveva corna enormi di cui
però, non sembrava portarne il peso. Il Duomo di Milano era come al
solito sotto l'attacco incessante delle formiche che entravano ed uscivano
mischiandosi tra di loro, rendendo difficile capire se qualcuna avesse
davvero preso qualcosa all'interno oppure no.
Accanto a me Kiwi - il mio fedele amico dagli occhi a forma di cuore -
scodinzolava le sue trentatré code, alzando piccoli uragani che spazzavano
via chiunque gli stesse dietro.
Tirai fuori dalla tasca la carcassa di un qualche essere preistorico di cui
non ricordavo né il nome né la forma, e la lanciai nel cielo per fare
giocare il mio caro compagno di avventure. Lanciai in direzione della
Cina, così che avesse modo di divertirsi un po' lungo il tragitto. Prese
immediatamente il volo, e con l'ausilio delle sue code e delle zampe
palmate sfrecciò via.
Il caffè ancora non l'avevo trovato, ma qualcosa mi diceva che era più
vicino di prima. Ne sentivo l'odore, tanto che il mio naso cominciò a
sanguinarechicchi di caffè per il forte aroma. All'improvviso una leggera
scossasmosse il mondo circostante, poi un'altra, poi un'altra ancora, finoa
quandola mia testa di balena non cominciò ad oscillare come uno di quei
pupazzetti a molla che si mettono in auto. Un vortice scuro mi accalappiò,
mi afferrò le spalle e mi trascino via di prepotenza.
Aprì gli occhi e vidi mia madre che teneva in una mano una tazza di caffè,
mentre con l'altra tentava di svegliarmi. La ringraziai, e sorseggiai dalla
tazzina quel sogno tanto agognato, chiedendomi quando Kiwi sarebbe
tornato a casa.