La strega dei campi

7 0 0
                                    

Il verde incontaminato con macchie sparse di colori di ogni tipo resi brillanti dai primaverili raggi del sole, impagabile benedizione di qualche essere superiore. I suoi lunghi capelli biondi e la gonna rattoppata che cadeva adagiandosi sul letto di petali e polline la facevano diventare parte integrante della bellezza, come un dettaglio che non si può escludere da un quadro dipinto con saggezza e meraviglia, tratti leggeri di pastelli ad olio sfumavano tutto, eppure sembrava reale; e lei, in lontananza, là dove l'orizzonte diventa cielo e non montagne erte e spigolose, sembrava più il cuore di quella vita che la protagonista: solo uno dei tanti fiori, il più bello.

Ma come ogni fiore nasconde il polline, e ha sempre bisogno di api, rapide e insidiose, per vivere, anche lei nascondeva qualche demone al suo interno. Un segreto che su quel quadro non si sarebbe mai percepito, così candida e pura, casta tranquillità immersa in un lieve vento che bacia la pelle sulle spalle e sulle braccia facendola piacevolmente rabbrividire.

L'oscurità era celata sotto a dove la gonna si stringeva sulla vita: un libro, più un ammasso sconnesso e rovinato di fogli rilegati che un libro, senza copertina, il che lo aveva portato a corrodere un po' della carta per l'umidità e la pioggia, così benevola per le piante. Anche le pagine come lei, una maschera per un secondo significato, tetro come il buio e l'ombra delle nostre viscere. Quei due si intendevano, sempre legati, non poteva essere diverso. Si erano conosciuti ormai molti anni addietro, quando ancora era una ragazzina e si divertiva a fare le scampagnate con la famiglia: si faceva deliziare l'anima dalla verità di un prato, qualche albero e le nuvole, piuttosto che dal viavai del grigiore di cemento e fumo, era solo un costrutto per allontanarsi dalla spaventosa verità della vita e dell'uomo, meglio vivere sull'onda delle menzogne convincendosi che sia la realtà.

Così si stabilì in un vecchio capanno abbandonato, in un bosco campagnolo fuori da un piccolo paesino quasi disabitato, dove le pietre non erano ancora state sostituite dalla calce, e le carrozze trainate dai cavalli resistevano alla tentazione di un motore a scoppio; così le sembrava di vivere ancora nel medioevo per il clima. Quel capanno cadeva davvero a pezzi, probabilmente era stato usato solo per immagazzinare la legna, ma da quando avevano trovato sistemazione i termosifoni non era più utile, come i genitori per un adolescente. Lo aveva rimesso in condizioni decenti e ci si era stabilita. La pulizia, più dell'animo e della mente che della sporcizia, non era stata lunga e faticosa, perché quella era la sua vocazione, a cui era pronta a rispondere sì da tempo. Fu allora che, sotto alcune cataste di legni e vecchi giornali trovò il libro. Così, i suoi giorni, e con loro gli anni, diventarono meccanica abitudine, non una di quelle abitudini che fa scorrere il tempo senza che notarlo, facendoti immergere in uno stato di fluttuazione e distrazione, un mero modo di avvicinarsi più rapidamente alla morte, ma una routine di cui il cuore aveva bisogno per funzionare a pieno regime e che le faceva vivere il secondo quasi al massimo della possibilità. D'estate e primavera stava fuori, coglieva fiori ed erbacce e le mischiava, preparava le conserve e parlava con le lepri e gli insetti; gli uccelli non le piacevano, con quella prospettiva del mondo non si sentiva molto affine. D'inverno stava rinchiusa su un letto di tela, a leggere il libro, sempre lo stesso, finché non lo finiva e lo iniziava di nuovo, davanti ad un fuoco che la scaldava ed era tenero da non bruciare la legna. Tutto ciò che la sostentava proveniva da lei, lei, unica fonte di vita per sé stessa, così come dovrebbe essere: i vasi di argilla, la tela di canapa, i fili dai bozzoli o dalle ragnatele.

La rivelazione arrivò di settembre, alla prima pioggia del settimo anno, non mentre l'acqua cadeva dal cielo, rinfrescante e nutriente, ma dopo, quando, da troppo rinchiuso in casa, vorresti uscire ma fuori è tutto zuppo: la terra è fango e l'erba è bagnata. La vista di quel cielo grigio, di quel verme su quel filo di erba ai suoi piedi e della prima cupa sensazione di incompletezza. Sentiva la necessità di leggere il libro da capo, e così fece, fu la prima e unica volta che lo riiniziò senza averlo terminato prima. Lo lesse tutto d'un fiato, tremante di febbre dal bisogno di riempire quel vuoto che le era appena comparso. Aveva capito che era una simbiosi, quella carta polverosa e mal filata era come un braccio o un piede e che, come lei, non è mai stato capito. Così lo finì quando la luce era calata e gli occhi le facevano male dalla fatica. Lo finì e non lo rilesse mai più, non ne aveva bisogno, lo sapeva tutto, non come si sa la trama di un film e si ricorda il nome dei personaggi e l'ordine cronologico degli eventi, ma come si sa il proprio stato d'animo o il più caro e vivo ricordo. Con quella conoscenza magica arrivò anche la soluzione, il metodo per riempire il potenziale di quelle pagine con qualcosa di sensazionale, come si riempie una boccia di vetro con acqua sorgente, e da semplice contenitore diventa vita. La soluzione era facile: colmare il proprio vuoto, che era anche il vuoto del libro, la sua copertina. Il vuoto che aveva le era chiaro, l'unico suo sogno infantile che non si era realizzato: una figlia.

MovimentiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora