Capitolo 5

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Quella sera, quando ritornai a West Egg, ebbi paura per un momento che la mia casa fosse in fiamme. Erano le due, e l'intero angolo della penisola divampava di luce, che si rifletteva irreale sui cespugli e provocava sottili luccichii prolungati sui fili telegrafici lungo la strada. Svoltando l'angolo vidi che era la casa di Gatsby, accesa dalla torre alla cantina.

Per un momento pensai che si trattasse di un altro ricevimento, risoltosi in una partita a "nascondersi" o a "sardine in scatola", con l'intera casa spalancata e messa a disposizione per i giuochi. Ma non si udiva alcun rumore: soltanto il vento negli alberi, che smuoveva i fili del telegrafo e spostava le luci come se la casa avesse strizzato l'occhio nel buio. Quando il mio tassì si allontanò gemendo, vidi Gatsby avviarsi verso di me attraverso il suo prato.

«La tua casa mi sembra la fiera mondiale» dissi. «Davvero?» Si voltò distratto a guardarla. «Ho dato un'occhiata a qualche stanza. Andiamo a Coney Island, vecchio mio. Con la mia macchina.»

«È troppo tardi.»
«Be', e se facessimo un tuffo in piscina? Non l'ho adoperata durante tutta l'estate.» «Devo andare a letto.»
«Va bene.»

Rimase in attesa guardandomi con impazienza soffocata. «Ho parlato con la signorina Baker» dissi dopo un momento. «Domani telefonerò a Daisy e la inviterò a prendere il tè.» «Oh, va bene» disse lui con noncuranza. «Non voglio disturbarti.» «Che giorno ti farebbe comodo?»

«Che giorno farebbe comodo a te» mi corresse lui in fretta. «Vedi, non voglio disturbarti.» «Che cosa ne diresti di dopodomani?»
Meditò un momento. Poi disse esitante:
«Voglio far tagliare l'erba.»

La guardammo tutt'e due: c'era una linea precisa dove finiva il mio prato non curato e incominciava la distesa cupa e ben tenuta del suo. Pensai che alludesse alla mia erba.

«C'è un altro particolare» disse incerto ed esitante. «Preferisci che rimandiamo di qualche giorno?» chiesi. «Oh, non si tratta di questo. Almeno...» Incominciò cincischiando una serie di frasi. «Be', ho pensato... Be', sta a sentire, vecchio mio. Tu non guadagni molto denaro, vero?»

«Non molto.»

Questo parve rassicurarlo e continuò con maggior fiducia. «Lo pensavo anch'io, se puoi scusare la mia... Vedi, io ho un piccolo lavoro, una cosa secondaria, capisci? E ho pensato che se non guadagni molto... Tu vendi azioni, vero, vecchio mio?»

«Cerco di venderle.»

«Be', questa faccenda ti potrebbe interessare. Non ti porterebbe via molto tempo e ti farebbe guadagnare un po' di quattrini. È una cosa un po' confidenziale.»

Capisco adesso che, in circostanze diverse, quella conversazione avrebbe potuto costituire una svolta della mia vita. Ma poiché l'offerta veniva fatta evidentemente e senza tatto in cambio di un favore da rendere, non mi restava che interromperlo subito.

«Sono pieno di lavoro» dissi. «Ti sono molto grato, ma non potrei accettarne altro.»

«Non dovresti aver niente a che fare con Wolfsheim.» Evidentemente pensava che schivassi la "combinassione" alla quale era stato alluso a colazione, ma lo rassicurai che aveva torto. Aspettò ancora un momento sperando che intavolassi qualche discorso, ma ero troppo assorto per essere comunicativo, e Gatsby ritornò a malincuore a casa sua.

La serata mi aveva reso spensierato e felice; mentre entravo in casa mi pareva di essere già immerso in un

sonno profondo. Così non so se Gatsby andò a Coney Island o per quante ore continuò a "dare occhiate alle stanze" con la casa che continuava a divampare allegramente. L'indomani mattina telefonai a Daisy dall'ufficio e l'invitai a prendere un tè.

Il Grande Gatsby - Francis Scott Key FitzgeraldDove le storie prendono vita. Scoprilo ora