Cocci Umidi

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Le interrogazioni si stavano svolgendo discretamente. La professoressa faceva qualche domanda e gli interrogati rispondevano senza troppe difficoltà; la cosa non poteva essere altro che positiva. Il tutto era, ovviamente ed inevitabilmente, accompagnato dal lieve e poco fastidioso brusio dei miei compagni, i quali, nel frattempo, ripassavano per l'eventuale chiamata alla cattedra, anticipavano qualche compito per il giorno dopo e discutevano del più e del meno. Io, seduto in fondo alla classe, ascoltavo tranquillo le domande dell'insegnante e le risposte degli interrogati; era un modo semplice per ripassare e capire cosa la prof. voleva, tutto sommato, sapere.

D'un tratto tutto parve fermarsi, ogni pezzo della nostra classe rimase immobile.

Poco dopo la spiegazione dello scoppio della guerra a Sarajevo, uno scoppio assai meno lontano lo avvertimmo in classe. Non riuscii a capire immediatamente quel che stava accadendo, vidi soltanto che, uno dopo l'altro, le sedie su cui erano seduti i miei compagni si girarono più o meno verso la mia direzione. Gli interrogati e la prof. voltarono anche loro il proprio sguardo verso di me. Tutti rimasero immobili cercando di capire cosa stesse accadendo e, solo qualche momento dopo, mi accorsi del forte tonfo che qualche secondo prima rimbombò dietro di me.

Mentre mi girai non potei credere a ciò che vedevo. Non sarebbe dovuto succedere, non un'altra volta e soprattutto non lì. Non riuscii a fare nulla di fronte alla scena, ma se nessuno fosse intervenuto, le cose si sarebbero messe molto peggio della scorsa volta. Gli occhi fissi, freddi e vitrei dell'insegnante, insieme a quelli accesi, curiosi e spaventati dei miei compagni, erano rivolti su di Lui. Rivedrò per l'ennesima volta quel ragazzo fallito, incompetente, svogliato, disattento, violento distruttivo e, come qualcuno disse di lui, "incapace e indegno di vivere al mondo".

La situazione era abbastanza critica. Lui, non capendo ancora il motivo, mise alle strette fra un banco e due muri della classe un ragazzo. Quest'ultimo, con occhi riempiti dell'odiosa acidità e impertinenza che lo ha sempre contraddistinto, ridacchiava compiaciuto. Sicuramente lo avrà sfottuto per qualche ignota ragione, proprio come successe poco tempo fa con tutto il suo gruppetto. Si vedeva la grave tensione che scorreva velocemente nelle Sue vene. Sarebbe bastato poco, tutto sarebbe potuto degenerare e la situazione non era certamente favorita dallo sguardo strafottente dell'imprigionato. La professoressa, in modo disgustosamente acido e autoritario, ma necessario, richiamò l'attenzione del mio Compagno. Dopo averlo rimproverato, con frasi forse più taglienti che utili e minacciato di portarlo tempestivamente dalla Dirigente, uscì frettolosamente e neutralmente dalla classe, sbattendo con altrettanta furia la porta. L'altro, dopo aver replicato all'accaduto con affermazioni abbastanza infelici contro il Fuggitivo, venne freddamente richiamato e portato immediatamente in vicepresidenza dalla professoressa stessa.

Poco dopo, nella classe, il brusio precedentemente bloccato galoppò veloce, trasformandosi in un dibattito irritante e poco rispettoso.

L'unica cosa da fare fu cercarlo: non poteva stare da solo.

Fortunatamente era al solito posto, nel retro dell'istituto, in una zona interdetta ai ragazzi, dove stava da solo ad ogni ricreazione e quando talvolta spariva dalla classe.

Sembrava un boschetto, anche se però delimitato da qualche muro. Lì vi erano molte piante da campo, qualche gatto e lo stupendo "albero addormentato", come Lui lo definiva. Il luogo, quindi, non era frequentato da nessun altro, lo conoscevo solo perché me ne aveva parlato Lui.

Era lì, nervoso come prima, ma molto più chiuso e malinconico, che cercava di sfogare la propria rabbia su una palla un po' sgonfia. Appena mi vide arrivare i suoi occhi mi fissarono, come se mi volessero infilzare.

D'un tratto ci trovammo uno di fronte all'altro. Cercò di allontanarmi con le parole, tentando anche di essere aggressivo, ma non riuscii a muovermi nemmeno di un passo, un po' per la mia paura, ma soprattutto perché non mi andava di lasciarlo solo a se stesso. Dopo tentai, rischiando, di andargli incontro; non so perché e per cosa, ma sentii di doverlo raggiungere. Qualche secondo dopo, a causa di una sua violenta, ma leggerissima spinta, caddi per terra. Nonostante non mi feci niente, restai immobile.

Molte immagini e ricordi riaffiorarono nella mia testa, immagini che nessun compagno o insegnante della nostra classe si sarebbe immaginato; immagini di un ragazzo intelligente, maturo, responsabile, molto volenteroso, combattivo e assai sensibile e dolce. Tutti avevano visto il vaso, sporco di polvere e fuliggine, dove lo hanno o si era chiuso, ma nessuno ne aveva notato il contenuto o si era almeno degnato di cercare, nonostante fosse a me così palese. Mentre Lui imprecava e cercava di spaccarsi i pugni contro il muro ormai arrossato dal suo sangue, mi alzai e mi avvicinai frettolosamente a lui, rimettendomi fra il suo corpo e il muro. Il suo sguardo era ormai confuso, proprio come un liquido sbattuto dentro una brocca. Quello immobile ormai fu lui, incapace di capire cosa fare. Cercai di non lasciarlo solo, di non lasciare sola la sua anima ormai abbastanza danneggiata, nel modo più semplice a me conosciuto: con un abbraccio.

Riuscii finalmente a percepire fra le me braccia quella pesante ed enorme botte, la quale conteneva il suo essere, tutto rannicchiato in se stesso, immerso nelle sue lacrime e nel suo sangue. Sentii quell'enorme barattolo creparsi sulle mie braccia, senza però riuscire a distruggersi. Dopo un tempo incalcolabile mi allontanai, quel tanto che basta per rivederlo; era rimasto immobile, i suoi occhi non si staccarono ancora dai miei, con la differenza che il suo sguardo era diverso, come se delle piccole gocce di colore lo ferissero. Prima di riattaccarmi a lui, tentai di spaccare quell'enorme vetro che lo chiudeva nel modo più violento possibile. Avvicinai le mie labbra all'angolo delle sue, sfiorandole appena.

Con la stessa potenza di un parto, fu lui ad abbracciarmi e quasi immediatamente fui sommerso dalle sue infinite lacrime e singhiozzi, da quelle acque rossastre di quel contenitore ormai distrutto da quel lieve tocco. Proprio in quell'istante, senza la paura di annegare nel frutto liquido del suo dolore, gettai nel cestino ogni coccio del suo vecchio e oppressivo guscio e riuscii a unire la sua anima alla mia, cercando di ricomporla e farla guarire.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 15, 2022 ⏰

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