CAPITOLO X

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Due settimane dopo eravamo in Ungheria.
Stavo giocando con El nel motorhome di Lewis quando mi ricordai di dover fare una cosa
<Lew, ti dispiace guardarmi El per una mezz'ora? Devo correre a prendere Tris in aeroporto>
<Si vai, ma torna presto, ho da fare con tuo i meccanici> mi sorrise e io lasciai un bacio sulla guancia prima ad El e poi a lui
<Grazie, torno presto> lo rassicurai chiudendomi la porta alle spalle. Sfortunatamente però ricevetti una telefonata, o meglio, l'ennesima telefonata
<Si può sapere che vuoi Mason?> non aveva smesso di chiamarmi da ormai due settimane
<Buongiorno Bella, di cattivo umore stamattina?> rise come un idiota e io non potei che non ribattere
<Sai com'è, sei un rompipalle!> aprii la portiera dell'auto e misi in moto
<Non essere scurrile, bambina> ghignò, era impossibile non notarlo dal suo tono di voce
<Colpa tua, bambinone> rise e io mi trattenni dal mandarlo a quel paese: quando ci incontrammo per la prima volta io ero appena una diciottenne mentre lui un ventitreenne
<Se non ti dispiace ho da fare, ciao>
<Aspetta! Voglio rivederti Bella, dimmi dove sei> per poco non andai a sbattere: rivedermi? Assolutamente no, ci mancava solo questa
<Non credo sia possibile, non sono a Londra, ti basti questo> entrai nel parcheggio dell'aeroporto e cercai di individuare Beatrice
<Promettimi che ci penserai> mi stava implorando? Incredibile!
< Si si ci penserò, ciao>
<Promettimelo!> 
<Promesso> buttai giù
In lontananza individuai mia cugina, così alzai una mano e lei mi venne incontro sorridendo: amavo il suo sorriso, così dolce e smagliante. L'abbracciai forte e la lasciai in hotel, promettendole di vederci la sera stessa a cena

Tornai a prendere El ma dormiva beatamente nel motorhome di Lewis, così non la svegliai ed essendo le tre di pomeriggio andai a prendere un caffè al bar. Indossavo un jeans chiaro, una felpa verde abete con il cappuccio e un paio di sneakers bianche. Stavo per portare la tazzina alla bocca quando una voce attirò la mia attenzione, purtroppo
<Ciao Bella, un caffè per favore> mi salutò e si rivolse al barista; non risposi, mi girai dall'altra parte e sorseggiai noncurante la bevanda scura
<Allora, come stai?> tossicchiò
<Bene, prima che arrivassi tu> addebitai il caffè alla carta di mio padre e me ne andai, ma lui mi corse dietro cercando di fermarmi
<Vattene Arthur> allungai il passo
<Fermati Bella> mi strinse delicatamente il polso; non so perché ma decisi di fermarmi, ero curiosa di sentire cosa mi avrebbe detto
<Che ci fai qui?>
<Sono la figlia di Toto Wolff, Arthur> pensavo lo sapesse, ma evidentemente mi sbagliavo
<La figlia di Toto Wolff> sussurrò pensieroso, poi continuò
<Se non hai nient'altro da dire, io andrei>
<In effetti c'è una cosa> si affrettò a dire, poi continuò a voce bassa
<Mi daresti il tuo numero?> lo guardai a lungo
<Hai già il mio numero>
<No non ce l'ho> come era possibile; io non avevo cambiato numero in questi anni quindi o lo aveva perso o, cancellato
<Dammi il telefono> dopo una lunga pausa riflessiva allungai la mano verso di lui aspettando che esaudisse la mia richiesta; mi guardò perplesso e lentamente sfilò il cellulare dalla tasca della felpa bianca che lo rendeva ancor più bello
<Ecco fatto, ciao> glielo restituii ed entrai nel motorhome del pilota inglese, recuperai le cose di El e dopo averla presa in braccio mi avviai verso la macchina parcheggiata non lontano da lì; mentre ero intenta a salire in auto qualcuno mi chiamò: il sorriso smagliante di Charles era inconfondibile
<Ei, come stai?>
<Bene grazie, un po' teso per la corsa ma sono carico. Tu invece? Ciao piccolina> sorrise ad El che lo salutava da dietro il finestrino e io mi sciolsi nel vedere quella scena così dolce
<Sto bene grazie> tornò a guardami e chiacchierammo per un po', fin quando lui non ricevette una telefonata e fu costretto ad andare
<Il lavoro chiama Bella, è stato un piacere rivederti> mi salutò con la mano e si allontanò, così io e la piccola tornammo in hotel a riposarci un po'

Arthur's pov:
Che diamine ci faceva Charles con Isabella; la stava addirittura abbracciando! Mi ritrovai a stringere i pugni con forza, senza sapere il perché. Mi dava fastidio vederli insieme, così spensierati, e non sapevo nemmeno perché! Quando lui tornò indietro mi alzai di scatto e lo fermai
<Arthur> mi posò una mano sulla spalla e sorrise
<Che ci facevi con lei?> dissi gelido
<Lei chi? Bella dici?> si girò a guardarla e la cosa mi diede fastidio, e non poco
<Isabella, per te> marcai "Isabella", forse un po' troppo ma non mi interessava
<Calmati fratellino, è solo un'amica> rise cercando di smorzare la tensione, poi continuò
<E poi tu come fai a conoscerla?>
<Fatti miei> deviai, non mi andava di raccontargli tutta la storia
<Mm, in ogni caso, ho del lavoro da fare, ti dispiace> voleva che mi spostassi e così feci, ma prima
<Stagli alla larga, Charles> serrai la mandibola
<Andiamo Arthur ma per chi mi hai preso> mi spinse senza troppa violenza e riprese a camminare
<Dico sul serio> insistei io affiancandolo, poi si fermò guardandosi intorno
<Ascoltami bene Arthur perché non lo ripeterò: Isabella è un'amica, con lei vado d'accordo e in ogni caso se a te interessa sono fatti tuoi> Carlos lo chiamò così andò via, ma prima concluse
<E in ogni caso non credo che tu abbia speranze: ha una figlia e Lewis è sempre con lei; se fossi in te ci ripenserei> mi fece l'occhiolino ridendo e io non potei che non essere più incazzato di prima: mio fratello mi sfotteva, Pierre era più strano di prima e giocava a fare l'investigatore per non si sa quale motivo e Isabella mi odiava, in più la storia di Lewis e della bambina non mi tornavano;
non mi dire che...

SEI SEMPRE STATA TU || Arthur Leclerc  Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora