Cosa faresti se diventassi il presidente degli Stati Uniti D'America?
Personalmente non mi metterei a sparare puttanate come è solito fare durante le sfilate di moda. Per esempio, abbasserei l'età per bere alcolici, diminuirei le ore scolastiche, aumenterei le vacanze estive, consentirei ai giovani di esprimere le proprie opinioni, senza dover sottostare al parere della gente, che, fondamentalmente, se ne sbatte del loro futuro, pensando a cose futili e dannatamente inutili. Vieterei di dedicare le canzoni, cazzo, la musica è sacra, dovrebbe aiutare e far sentire bene la gente, non farla affondare. Ma, cosa più importante: abolirei la dannata filosofia alle prime due ore.
Come quel lunedì mattina. Non ero più in grado, psicologicamente e fisicamente, di ascoltare ciò che il professor Gamec stava blaterando. Non aveva nemmeno una voce sensuale, no, era solo un povero e vecchio uomo che non scopava ormai più, dato che la sua asta non aveva intenzione di fare il suo lavoro. Da cosa lo capivo? Beh, la sua frustrazione sessuale si sentiva anche a metri di distanza.
Come se non bastasse, quelle orribili mura bianche e mal ridotte non mi aiutavano ad affrontare le sei ore che mi avevano accolta, infilandomi tanti aghi nel corpo. Odiavo la scuola, l'avevo sempre odiata. Anche all'asilo. Certo, non mi sarebbe piaciuto crescere ignorante e senza sapere nulla, ma rinchiudere i giovani in posti come quelli era davvero troppo. Quel luogo ci massacrava sotto ogni punto di vista. Più m'impegnavo, più loro desideravano molto di più da parte mia. Più studiavo, più loro non erano soddisfatti. Così, quell'anno mi arresi e lasciai cadere le armi. Stavo sbagliando e ne ero consapevole, ma avevo raggiunto il limite di sopportazione e io, non ero, e mai lo sarei stata, una ragazza paziente.
L'unica cosa di positivo, quel giorno, era il brutto tempo. Non è che non amassi il sole, mi faceva piacere sentire il calore dei suoi raggi sulla pelle e amavo mettermi su una sdraio nel bel mezzo del mio enorme giardino, ma evitavo tutto quello volentieri. In fondo, quel tempo, mi rispecchiava. Il mio animo era così cupo che nemmeno l'anima più pura e luminosa avrebbe potuto rimediare a ciò che s'era creato dentro di me.
Sbuffai sonoramente quando mi resi conto che, anche quella mattina, non sarei potuta uscire da quella classe. Non avevo voglia di rivedere quel bastardo del mio preside. Conoscevo il suo ufficio a memoria, ormai. Non ne andavo fiera, ovviamente, ma sapere dove teneva le chiavi e tutte le cose più importanti tornava sempre utile, soprattutto quando io e i miei amici complottavamo per qualche stupido scherzo per i nerd dell'università.
A quel mio gesto, la mia compagna di banco, nonché un'orribile secchiona, mi fulminò con lo sguardo. La osservai dalla testa ai piedi prima di sussurrare un "racchia", in modo che il professore non sentisse. Vidi i suoi occhi incupirsi e, per qualche assurdo motivo, mi sentii soddisfatta di me stessa. Anche se, una parte di me, non era per niente felice del mio carattere, ma tanto, chi cazzo l'ascoltava la parte intelligente a quei tempi? Io di certo no.
- Le ragioni sono come le lucciole: per splendere hanno bisogno delle tenebre - per qualche assurdo motivo costrinsi le mie orecchie ad ascoltare ciò che il professore stava blaterando in quel preciso istante. Mi sembrava tutto così insensato e assurdo, che mi venne quasi da ridere ma resistetti a quell'istinto. Tutto quello era così ridicolo che non riuscivo a trattenere me stessa.
- Anche le sigarette brillano al buio e oggi c'è brutto tempo, quindi, posso andarmene da questa lagna per fumarmene una? - disse tranquillamente, poggiandomi in modo sgarbato contro lo schienale della sedia e accavallando le gambe, fasciate perfettamente dai miei jeans strappati.
- Il suo bisnonno sarebbe molto deluso da lei, signorina Kennedy - dichiarò Mr. Sonofrustratosessualmente, incenerendomi con lo sguardo. Oh, se gli sguardi facessero davvero male lui sarebbe già stato sotto terra da tempo. Povero illuso, era davvero convito che quella battaglia l'avrebbe vinta lui.
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Blunder [H.S.]
Fanfictioninganno [in-gàn-no] n.m. 1. l'azione insidiosa di chi inganna; imbroglio, raggiro: tramare inganni; servirsi dell'inganno; 2. l'errore in cui cade chi si inganna: trarre, indurre in inganno; l'inganno dei sensi |gli amorosi inganni, (lett.) le illus...