Il sole aveva cominciato a sorgere. Era l'alba. Le foglie degli alberi si muovevano al tocco leggero del vento. Il gallo all'improvviso cominciò a cantare facendomi svegliare di colpo.
Dalla cucina proveniva un dolce profumo. Sicuramente la nonna stava preparando la sua solita torta alle mele. Quel buon odore mi fece venire subito una gran fame. Così mi stropicciai gli occhi, sollevandomi contro la tastiera del letto matrimoniale dei nonni dove la mia adorata cuginetta dormiva ancora beata. Mi avvicinai con il volto per osservarla da vicino. Aveva i capelli tutti arruffati. Appiccicati sulla fronte sudata. E le braccia piegate sotto al cuscino. Intanto il sole battendo forte contro la vetrata della finestra le illuminò il volto. Facendole automaticamente aprire quei meravigliosi occhi verdi. In un primo momento mi osservarono confusi. Finché Camilla non allargò la bocca in un ampio sorriso.«Cuginetto.» La sua voce apparse quasi come un sussurro. Dal timbro sottile e delicato.
«Buongiorno. Io ho fame. Andiamo a fare colazione? Dobbiamo fare presto a mangiare la torta perché dopo voglio giocare.»
«Come sai che per colazione c'è la torta?»
«Non lo senti il profumo?»
Sollevandosi, cercò di annusare.«No.»
Osservandola mi accorsi di quanto fosse buffa con i suoi capelli spettinati. Così mi scappò subito una risata.
«Sei proprio buffa in questo momento.»
Ponendomi la mano sulla pancia mentre mi rotolavo sul lettone crogiolandomi dalle risate.
Nel frattempo il suo viso si imbronciò. Alzandosi, si diresse presso l'armadio con lo specchio. Guardò attentamente il suo riflesso. Mi avvicinai. Ma quando le fui vicino si girò dall'altra parte, dandomi le spalle.
Le cinsi i fianchi con le mie braccia. Poi, poggiai la testa nell'incavo del suo collo, schioccandole un bacio umido.«Scusa non lo pensavo veramente. Tu per me sei la più bella del mondo.»
Stavo dicendo la verità. Non le avrei mai lavato la faccia.
Sapevo di aver esagerato. Non era mia intenzione ferirla assolutamente. Solo mi sembrava così buffa quando la prendevo un pò in giro. E questa cosa mi faceva parecchio ridere.
La nonna a un certo punto ci chiamò per dirci di fare colazione.
***
Avevamo appena finito di fare colazione. Essendo una bella giornata eravamo usciti fuori nella campagna dei nonni, poco distante dalla casa, sporcandoci tutti di fango a causa della pioggia notturna, mentre ce lo lanciavamo addosso a vicenda. Infatti, ora, eravamo tutti luridi. Sapevamo bene che quando saremmo rientrati a casa i nonni ci avrebbero rimproverato severamente di farci il bagno.
Ma a noi non importava. Saremmo scappati fuori e non ci avrebbero convinti. Eravamo testardi. Ma sopratutto la pensavamo allo stesso modo.Io e mia cugina ci somigliavamo moltissimo. Sia fisicamente che di carattere. Avevo i capelli neri come i suoi, della stessa tonalità. Gli occhi verdi, ma solo leggermente più scuri. Però non mi piacevano. Su di me stavano male. Per questo sembravamo fratelli. E tutti ci scambiavano come tali.
Camilla, per me, era diversa dalle altre mie cugine.
Provavo un affetto diverso nei suoi confronti. Forse perché lei era più piccola di me: io avevo dieci anni e lei invece sette, quindi mi faceva una tenerezza infinita.«Allora, a cosa giochiamo?» Domandò Camilla. Mentre ci incamminavamo per la campagna, allontanandoci sempre di più.
Avevo già idea di cosa chiederle. Però mi vergognavo tantissimo. Arrossii al solo pensiero.
«Io veramente vorrei giocare ai fidanzati.» Iniziai a giocarellare con gli indici per il nervoso. Inciampando su di un legnetto.
«Bleah. Ma è un gioco da femminucce. Sei una femmina per caso?» Tirando fuori la lingua. Sicuramente a momenti avrebbe vomitato. «E poi, scusa, noi siamo cugini...»
«E allora? È solo un gioco. Non voglio fidanzarmi per davvero con te! Non ti sopporto!» Sbottai innervosito ad un tratto. Ora quello ad essersi voltato di spalle ero io.
«Perché ti sei offeso?» avvicinandosi a me, mi strinse in un abbraccio.
«Non mi sono offeso.» Mentii. Sì che ero offeso. Profondamente offeso.
«Voltati verso di me. Voglio guardarti in faccia.»
«Perché?»
«Perché sì!»
«Non voglio»
«Non fare il testone!»
Brontolando, mi strinse più forte e il cuore iniziò a esplodermi nel petto.
«E lasciami!» urlai. Cercando di divincolarmi da quell'abbraccio, spostandole le braccia.«Va bene. Giochiamo a fare i fidanzati. Hai vinto.»
«Non mi va più»
«Non farti pregare! A proposito cosa fanno i fidanzati?»
Aveva cambiato idea. Voleva giocare davvero?
«Non lo hai visto nei cartoni?» Voltandomi lentamente verso di lei, mentre scuoteva la testa in segno di dissenso.
«Chiudi gli occhi.» Lei lo fece. La spinsi con delicatezza verso un albero di fiori d'arancio alle sue spalle. Intrappolandole il corpo fra le mie braccia, rivolte ai lati del tronco. E finalmente mi avvicinai stampandole un tenero bacio sulle labbra. Mentre una pioggia di petali scivolava dai rami sulle nostre teste al leggero sfioro dei nostri corpi. Quando lentamente mi scostai dal viso di Camilla non riuscii a guardarla dritta in faccia. Ero rosso. Scivolai per terra. Sedendomi. Con la schiena contro l'albero. Lei fece lo stesso. Restammo così, in silenzio, per un po' di tempo. Nel luogo dove era avvenuto il nostro primo bacio e probabilmente anche l'ultimo. Senza proferire una sola parola. Ognuno per i fatti propri. E nonostante avessi la tentazione di guardarla, non lo feci per mancanza di coraggio.
Cosa avevamo fatto?
Quando attraversammo la soglia di casa, guardandoci intorno, notammo delle figure a noi sconosciute sedute al tavolo. Imbandito da buon cibo.
«Bambini! Che avete combinato?»
Sbraitò la nonna. Alzandosi da tavola, dirigendosi verso di noi.
Intanto io e Camilla ci guardammo intensamente negli occhi. Ce l'eravamo proprio cercata!
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Io che amo solo te
General FictionFirenze, 1994. Camilla e Marco sono cugini. Fin dalla loro infanzia non si sono mai separati l'uno dall'altra. Crescendo insieme e restando sempre uniti fino all'adolescenza. Questo legame porterà Marco, con il passare degli anni, a provare dei sen...