Capitolo 2

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Sperduto.

Mi guardo intorno e non vedo altro che il nulla. Mi sento immerso in un'immensa e incommensurabile quantità di nulla.

Mi guardo le mani, sono sporche e nel polso destro c'è una benda fatta con un pezzo di stoffa blu probabilmente strappato da qualche maglia.
Nel braccio sinistro c'è il mio orologio. Segna le 10 e 55 della mattina. Le lancette non scorrono, sono bloccate. Con un gesto di stizza provo a colpirlo. Nulla, rimane bloccato.

Mi asciugo il sudore dalla fronte con la mano e noto che in testa ho qualcosa. Mi tocco meglio, è un turbante, di quelli tipici dei beduini del deserto.

Sono confuso.

Sbatto le palpebre perplesso e mi rendo finalmente conto di dove sono, più o meno. Intorno a me vedo un'infinito mare di sabbia, increspato dalle dune e polveroso a causa del forte vento, così forte che a stento riesco a tenere le palpebre aperte.

Ero chiaramente nel deserto.

Il sole era all'azimut e dentro la tonaca bianca sentivo letteralmente bollire la pelle. Provo a deglutire ma faccio fatica da tanto è secca la mia gola. Ho un disperato bisogno d'acqua.
Mi incammino seguendo il mio istinto, però dopo pochi passi mi blocco. Il caldo e l'afa sono insopportabili.
Le gambe sono bloccate, non riesco a muoverle.
Mi passo la lingua sulle labbra e bevo il mio sudore, per evitare di disperdere ulteriori liquidi.
Sento il braccio sinistro indolenzirsi, poi un colpo terribile alla testa e all'improvviso non vedo più nulla. Sento solo un gran dolore alla gamba. Probabilmente sono svenuto e mi sono slogato il ginocchio cadendo.

Bum.

Sento un colpo alla testa che mi fa rinvenire. Ero stordito, disorientato e molto probabilmente disidratato.
Apro gli occhi.
Stavolta, però, non c'è nessuna luce accecante che mi abbaglia, solo una dolce, fresca e bellissima ombra.
Mi stropiccio gli occhi e capisco meglio dove sono.
Mi trovo seduto sul retro di quello che penso sia un carro di una carovana. La botta che avevo sentito prima probabilmente era un sussulto della carrozza dovuto ad una buca presente nel terreno.
I miei compagni di viaggio sono una pila di casse di patate e una gabbia cilindrica in ferro battuto con un piccolo animaletto all'interno. Cerco di alzarmi in piedi e mi avvicino alla gabbietta per vedere cosa fosse, ma non sono un esperto di animali. Ciò di cui sono sicuro è che sicuramente stava dormendo e ho deciso che non volevo disturbare i suoi sogni.

Al di là della gabbia, però, vicino alle cassette di patate c'è la cosa più bella che abbia mai visto in vita mia. Un barile d'acqua.
Mi fiondo su di esso, lo apro, mi sciacquo la faccia e ne bevo un gran sorso.
Mi sento meglio, molto meglio.

"Dove sono, però? Perché mi trovo qua? Chi sta guidando la diligenza?"

Mi avvicino alla fessura che dava sul davanti del rimorchio e guardo fuori.

Scorgo due cavalli che trainano il carretto ma sul posto dove dovrebbe stare il cocchiere non c'è nessuno.

Gli animali procedono da soli, in linea retta, seguendo una strada sterrata. Un sentiero che è troppo dritto per essere vero. Tendo lo sguardo verso l'orizzonte per cercare di scorgere un qualcosa di utile per capire dove mi trovassi.
Nulla.
Decido di tornare vicino alla gabbia e alle patate e di riposarmi un po'; ne ho decisamente bisogno.

"Aaron"
...
"Aaron"

Sento una voce familiare che mi chiama. Ha un tono dolce e tranquillo. Apro lentamente gli occhi e davanti a me vedo uno sguardo verde foresta, con sfumature grigio ardesia. Credo di non aver mai visto nulla di più bello in vita mia. Il cuore mi batte all'impazzata, non riesco più a controllarlo.

"DRIIIIIN"

Prendo paura.

Velocissimamente apro le palpebre. Mi guardo intorno. Sono ancora nel mio rifugio. Probabilmente mi sono addormentato per un attimo mentre leggevo il libro, mi capita spesso.
Mi stropiccio gli occhi con le mani ma.. Aspetta.
Noto qualcosa di strano sulla mano destra.

All'altezza del polso ho una fasciatura improvvisata fatta con quello che credo sia un pezzo di maglia strappato. È blu, sporco e intriso di sangue.

"Sicuramente sarà uno scherzo.
Qualcuno avrà cercato di farmi prendere paura o di legarmi alla ringhiera mentre ero addormentato. Soliti bulletti del cazzo."
Penso.

Sollevo il braccio e lo osservo: nessuna ferita nè, per fortuna, articolazioni slogate o fuori posto.
Levo la benda e la getto via.

"Non ho tempo per questo cose"

-dico tra me e me-

"devo tornare in classe o quella di storia è la volta buona che mi uccide."

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⏰ Ultimo aggiornamento: May 12, 2015 ⏰

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