CAPITOLO XIV

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Le due settimane precedenti al Gran Premio del Belgio le trascorsi interamente con Eleonor, cercando di recuperare il tempo perso.
Almeno tre volte a settimana ricevevo telefonate da Mason, il mio ex ragazzo, e nonostante mi facesse innervosire gli rispondevo sempre; mi stavo ammorbidendo e ciò gli piaceva, per questo non smetteva di assillarmi. L'ennesima la ricevetti ieri sera mentre ero con la piccola in giardino a giocare con le bambole di pezza
<Eilà Mason, da quando tempo> scherzai
<Come mai così di buon umore oggi? Hai per caso deciso di rivederci> c'era un pizzico di eccitazione nella sua voce
<No, ho ricevuto una buona notizia>
<E sentiamo, quale?> era in vena di domande
<Non credo siano affari tuoi> risi appena e rientrai a prendere una felpa per me e una per la piccola senza perderla di vista
<Come sei acida> concluse lui
<Posso dire lo stesso di te> ribattei senza però ricevere una risposta
<Mason? Ci sei?>
<Si, ci sono> disse piano sospirando
<Non dirmi che ti ho lasciato senza parole>
<A quanto pare> rise appena e io con lui, ma quando tornai fuori e infilai la felpa alla piccola e questa mi parlò lui si incuriosì e iniziò a farmi un sacco di domande scomode
<Cos'è stato?> riuscii a percepire il suo sopracciglio scuro inarcarsi e formare un punto di domanda
<Ehm, nessuno perché?>
<Mi era sembrato di->
<Ti sbagli> lo fermai all'istante, sbagliando; lui non sapeva di El e se l'avesse saputo sarebbe stata la fine del mondo; a questo punto vi starete chiedendo chi è a conoscenza della piccola; beh, io, ovviamente, papà, mamma, Lewis, le mie amiche e Pierre. Avevo scelto di non espormi per un semplice motivo: quello di rispettare la mia e la privacy di Eleonor.
Essere così vicine ad un mondo come quello della Formula 1 purtroppo comporta anche questo e io non avrei mai permesso a nessuno di violare la mia e la privacy della mia bambina
<Adesso ho da fare, ciao> terminai la chiamata con la tachicardia, e se si fosse insospettito?

I preparativi per il Belgio ebbero inizio ancor prima di quanto immaginassi: mamma non ci sarebbe stata, come al solito, e papà era più in ansia del previsto; la stagione stava per terminare e lui non aveva ancora ottenuto i risultati che sperava, una cosa folle per uno come lui. Ero nella mia stanza a preparare la valigia quando lui entrò appoggiandosi allo stipite della porta, fermo a guardarmi
<Isabella, hai una vaga idea di quanto faccia freddo in Belgio?> camminò a passo svelto nella mia direzione rimettendo tutti i vestiti secondo lui "leggeri" nell'armadio e tirò fuori maglioni, sciarpe e guanti di ogni tipo infilandoli a casaccio nella mia povera valigia che stava scoppiando
<Papà, Papà! Fermati ti prego!> gli presi entrambe le mani e gliele chiusi in un pugno
<So che sei stressato per questo Gran Premio e che per te è una cosa importantissima, ma non ti sembra un tantino esagerato sfogare la tua frustrazione sulla mia amatissima Gladys?> il suo viso si trasformò in un enorme punto interrogativo
<Gladys? Chi è Gladys?> incrociò le braccia al petto e assunse un'espressione perplessa degna di essere ricordata mentre gli spiegavo il perché avevo sclero di chiamare la mia valigia Gladys
<Hai capito?> gli chiesi con il fiato corto dopo aver parlato ininterrottamente per sei minuti
<Mmh-mmh> era molto poco convito e io sbuffando e roteando gli occhi al cielo tornai al mio lavoro preparando anche le cose della bambina
<Vado a preparare una camomilla, ne vuoi un po'?> mi chiese strizzando in modo inquietante l'occhio
<No grazie>
<Beh, ne avresti seriamente bisogno> sussurrò tra sé e sé uscendo dalla stanza
<Papà!> gli urlai dietro sconvolta
<Che c'è è la verità! Gladys, non ci posso credere, ma come le è venuto in mente> rifletteva a voce alta, come se non lo sentissi, incredibile!

Il pomeriggio dopo eravamo in Belgio, pronti per un weekend di gara davvero intenso.
Arrivati in hotel El dormiva così io ne approfittai per farmi una doccia calda: papà aveva ragione, faceva freddo in Belgio; c'erano 15 gradi ed erano solo le cinque di pomeriggio; non osavo immaginare la sera quanto potesse fare freddo. Mi infilai una tuta e una felpa nera e presi posto nel letto di fianco alla piccola. La guardai dormire beatamente e le carezzai piano i capelli, com'era bella.
Verso sera si svegliò, mentre io ero intenta a leggere un libro e quando con quei suoi occhioni grigi mi guardi sorridendo non potei fare a meno di riempirla di bacini; era così morbida e liscia, profumava di fragola e vaniglia e mi veniva quasi voglia di mangiarla per quando era dolce. Il bellissimo momento però fu interrotto dal mio telefono che squillava incessantemente; ero quasi tentata dal non rispondere, poi però mi decisi
<Pronto?> non avevo salvato in rubrica quel numero così non azzardai nomi
<Bella, sono Arthur> il mio cuore perse un battito ed ero pronta a chiedergli come avesse fatto a ottenere il mio numero di telefono, poi mi ricordai ad essere stata io stessa a darglielo
<Ciao. Non mi aspettavo una tua telefonata>
<Lo so, scusami> era imbarazzato, poi continuò
<Io- non volevo- ecco io- Sei qui in Belgio> finalmente arrivò al punto e da quel "qui" capii che c'era anche lui
<Si, sono arrivata con mio padre e i piloti un paio d'ore fa> mi infilai le scarpe e presi quelle di El
<Bene> disse sincero
<Si> risposi io, poi il silenzio
<Allora ci vediamo> se proprio dobbiamo...
<Si, ciao> terminai la chiamata e mi avviai con la piccola nel ristorante dell'hotel, pensando a ciò che era appena successo: Arthur mi aveva chiamata ed era imbarazzato; io non ragionavo più e avevo continuato la conversazione invece che mandarlo a quel paese, strano ma vero. Stava succedendo qualcosa, forse rivederlo e aver salvato la vita di sua figlia avevano avuto un impatto strano su di me, fin troppo strano e la cosa non mi dispiaceva.
Che cosa mi stava facendo questo ragazzo?!

SEI SEMPRE STATA TU || Arthur Leclerc  Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora