Grown-up Problems

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Gli occhi verdi del piccolo Natan fissavano Melinda con fare curioso e le mani paffute si aprivano e chiudevano intorno alle dita affusolate di lei.
La ragazza guardò il visetto tondo del bimbo e il suo sorriso si allargò inevitabilmente: quello era suo figlio, quella piccola meraviglia era stata creata da lei e, nonostante avesse ormai quattro anni, non poteva ancora credere che un tale splendore potesse essere suo.
"E' ora della nanna signorino." Gli disse, prendendolo in braccio e accarezzandogli la testa, mentre Natan metteva su un broncio dispettoso.
"Ancora cinque minuti mamma, poi ti - fece una pausa il bimbo, rimuginando su come proseguire il discorso - ti prometto che non mi sveglierò per tutta la notte."
Melinda fece finta di pensarci su e mentre gli scoccava un sonoro bacio sulla guancia, disse: "Solo se mi dici il perché, i cartoni sono ormai tutti finiti."
Natan le posò la testa sul petto e sussurrando le confessò: "Aspetto papà."
Due parole.
Due esatte parole e il cuore di Melinda riuscì ad andare in pezzi per la millesima volta.

L'attico sulla trentasettesima aveva finalmente spento le sue luci e il silenzio accompagnava l'unico inquilino rimasto sveglio: la figura esile di Mel scompariva su quel balcone ricco di piante, di fronte all'immensità della città che le si stendeva davanti, mentre una lacrima solitaria le solcava il viso.
Si era concessa una di quelle sigarette che fumava quando era ancora un'adolescente, quando partecipava alle feste più disparate; ne aveva perso il vizio poco tempo dopo, ma quando una serata era una tale merda, come lo era stata quella, qualche tiro non l'avrebbe di certo portata alla morte o, comunque, non le avrebbe fatto più male di quello che sentiva quando i pensieri prendevano quella direzione.
Quella che portava un nome e un profumo ben precisi, quella che aveva un viso e degli occhi verde bottiglia, così simili a quelli del bambino che dormiva nella stanza in fondo al corridoio.
Non le piaceva autocommiserarsi o piangere; tuttavia, mentre il fumo della sigaretta si disperdeva nell'aria, si concesse quell'ulteriore infrazione.

Aveva 9 anni quando lei e Keegan si erano incontrati per la prima volta: portava dei codini azzurri, i suoi pantaloni porta fortuna e la madre si era scordata nuovamente di lasciarle il pranzo prima di correre a lavoro, per questo si aggirava affamata nel cortile della loro piccola scuola.
Lui, un ragazzetto smilzo di un anno in più, le aveva prima tirato i capelli, per poi lanciarle un pacchetto di Twinkies Strawberries, sancendo un patto di pura amicizia che sarebbe continuato negli anni a venire.

8 anni dopo erano ancora insieme, seduti in macchina dopo una serata che Peggy, una loro compagna di scuola, avrebbe definito leggendaria: solo perché nessuno si sarebbe ricordato niente il giorno seguente.
Melinda, a ripensarci ora, non saprebbe nemmeno ripetere il motivo per cui stessero ridendo, ma aveva ancora perfettamente chiaro il momento in cui l'aria si era fatta stranamente più seria e Keegan le aveva preso le mani, guardandola con occhi entusiasti: "Io voglio avere successo Mel. Voglio essere uno di quelli che si sveglia la mattina e sa di avercela fatta."
"Ci riuscirai sicuramente K." Gli aveva risposto lei, lanciandogli uno schiaffetto sulla mano, prima di riprendere: "Sei talentuoso e..."
"Vieni con me." L'aveva interrotta lui, impaziente di condividere i suoi piani.
Mel, stranita da quella richiesta, aveva ribattuto dicendo: "Ho un lavoro qui Keegan, un lavoro sicuro. Io non..."
"Intendi quel lavoro di merda, in quell'ufficio di merda?" Aveva sbuffato il suo amico.
"Ascolta Mel, io so che non sai ancora chi vuoi diventare, ma qualsiasi cosa sia, questo non è il posto per noi."
"Non è il posto per te K."
"Non lo è per nessuno, figurarsi per una testa come la tua. Dammi retta Mel, andiamoci."
Ormai la ragazza sapeva che sarebbe stato impossibile fermare quel flusso incontenibile d'entusiasmo, per questo si era limitata a scuotere il capo e a partecipare a quel discorso sconclusionato: "Ma andare dove?"
"A Silver Lake."

Sette mesi dopo stavano spostando gli scatoloni in quello che sarebbe stato il loro piccolo appartamento: un punto d'appoggio per aprirsi al mondo e diventare qualcosa o qualcuno.
Era stato facile e divertente per i primi tre anni, entrambi impegnati e concentrati nella ricerca di quella che secondo loro avrebbe potuto essere la felicità: Keegan aveva presentato il proprio progetto cinematografico ed era stato assunto come sceneggiatore per tre o quattro produzioni di media importanza e questo gli aveva dato la spinta per continuare, per diventare qualcuno.
Lei, invece, si era ritagliata il primo anno per seguire un corso di economia, non che ne fosse sicura, ma incredibilmente, si era ritrovata innamorata della materia; per cui aveva deciso di cercare lavoro nei dintorni e nel frattempo specializzarsi.
Nessuno dei due aveva mai dato prova di qualche inclinazione su probabili sentimenti celati per l'altro, non che ne avessero avuto il tempo, comunque: la passione di lui lo impegnava talmente tanto che Melinda faticava perfino a vederlo, non si sarebbe permessa di rimproverarlo però; non quando sapeva quanto fosse importante e come quel posto rappresentasse il suo trampolino di lancio; durante quel periodo non credeva nemmeno che Keegan avesse il tempo per un drink o per un'uscita con i colleghi di lei, era sempre troppo impegnato a scrivere, ad impegnarsi per il suo sogno.
Era stato divertente per il primo periodo, fino a quando una sera non si erano ritrovati a discutere per la prima volta in vita loro: erano seduti a cena insieme, in una di quelle rare volte in cui il ragazzo si permetteva di uscire dalla propria camera, nonostante fosse tutto intento ad osservare fogli su fogli di sceneggiature a metà o complete; tuttavia, ad un certo punto, si era fermato, come quella volta in macchina, quando avevano 17 anni e l'aveva guardata dritta in volto.
"Sto uscendo con una ragazza da... Beh, da un po' oramai."
Mel aveva bloccato la forchetta a mezz'aria ed era rimasta in silenzio per alcuni minuti perché, in un certo modo, era come se una pugnalata violenta le fosse stata piantata sulla schiena, sentiva un senso di tradimento pungerle la pelle perché, per tutto quel tempo, lei si era sentita sola: in una città nuova, senza amici e con un senso di abbandono terribile e aveva fatto tutto quello per lui e lui non c'era, mai.
Non si capacitava di come avesse tempo per una ragazza, per qualsiasi cosa a dire la verità, quando non riusciva neanche a sederle due minuti vicino durante i pasti, quando rifiutava costantemente tutte le uscite che lei gli proponeva, ma nonostante questo, la cosa era sopportabile, non era mai stato un problema perché era per un qualcosa di più grande dell'affetto, qualcosa a cui lui teneva più di qualsiasi altra, perfino più che a lei.
Non era mai stato un problema, non lo era stato fino a quel momento, per lo meno.
"Come?" Gli aveva risposto, inacidita.
"Si chiama Charlotte. Voglio fartela conoscere Mel, perché cazzo, non so neanche spiegartelo per bene. Devi vederla! Lei è..." Si fermò un solo secondo, per riprendere con più entusiasmo: "Lei è una sceneggiatrice come me. Noi, non lo so, ci capiamo."
Un sapore amaro le riempì la bocca e la ragazza boccheggiò in cerca d'aria, come se avesse appena ricevuto un pugno nello stomaco: "Da... da quanto tempo uscite insieme?"
"Da circa sei mesi."
"Ci... Circa sei mesi Keegan?" Urlò lei, alzandosi dal tavolo.
"Che ti prende?"
"Cosa mi prende, mi chiedi?"
Non riusciva nemmeno a stare ferma, continuava a camminare avanti e indietro, mentre quel retrogusto amarognolo si faceva sempre più forte in bocca.
"Stai facendo una scenata senza motivo, che cazzo ti prende?"
"Io ti ho seguito qui perché era il tuo sogno, perché non volevi stare solo, perché era più comodo avermi qui che a chissà quanti chilometri di distanza. Tu mi volevi solo per egoismo e io ho accettato perché sei, eri, il mio migliore amico e non avevo niente da perdere se fossimo stati insieme. Io e te.
E tu ora, Keegan, hai la sfacciataggine di chiedermi perché io stia facendo una scenata?"
"Mel..."
"Perché tu non ci sei mai." Sbottò definitivamente lei, mentre le lacrime scendevano copiose sul suo viso.
"Non ci sei per pranzare, cenare o fare qualsiasi cosa che ti faccia apparire come un amico. Mi ero detta, ripromessa, che andava bene così, perché questo era il tuo cazzo di sogno e so quanto ci tenessi ad emergere, ma che tu non abbia neanche la decenza di concedermi un secondo del tuo preziosissimo tempo, quando è chiaro che invece lo avessi e lo spendessi in altro modo, mi fa infuriare."
"Stai esagerando Melinda, non te lo dirò due volte. Sei venuta qui perché infondo faceva comodo anche a te, non perché te lo abbia chiesto io. Perché senza di me saresti rimasta una fallita senza sogni. Non avevo tempo per davvero e lo sai. Lo hai sempre saputo, ancor prima che venissimo qui, ma lei è... Per lei me lo sono costruito."
Melinda fece un passò indietro dalla cattiveria di quelle parole e si sfregò gli occhi con rabbia prima di puntargli un dito contro e riprendere a pieni polmoni: "Non ti permettere Keegan. Non ti permettere di sminuire quello che ho fatto, stronzo che non sei altro. Due mesi fa ho avuto una promozione, lo sai?"
Il ragazzo rimase spiazzato da quel cambio di argomento repentino e non riuscì a rispondere prontamente, non coglieva il senso del discorso, né il motivo per cui stesse ponendo quella domanda. Lei abbozzò quindi un sorriso triste, prima di continuare: "No, non lo sai. Come non sai un mucchio di altre cose, perché da quando siamo arrivati qui, io sono sparita dai tuoi interessi."
"Non fare la bambina, sai badare a te stessa, non avevi bisogno della mia presenza 24 ore su 24, cazzo." "Avevo bisogno di un amico, cristo!"
"E io di spazio! Non stiamo insieme, io non ti devo niente."
Se possibile, gli occhi della ragazza si sgranarono ancora di più e le mani presero a tremarle; non aveva intenzione di continuare quella conversazione perché non avevano più nulla da spartire: davanti a lei c'era solo una persona conosciuta tanto tempo prima, forse amata come un fratello o come un qualcosa di più, di cui, però, non era rimasto più niente; voleva quindi unicamente ritirarsi nella propria camera e sdraiarsi sotto le coperte, fino a quando il sole non avrebbe portato via quel disgustoso sapore di sofferenza.
"Devi dirmi altro?"
"Mi trasferisco."
Per la prima volta, due parole, due sole parole erano state in grado di spezzarle il cuore.

Tre anni e undici mesi dopo quel giorno in macchina, l'appartamento era diventato incredibilmente spazioso e il rancore aveva preso il posto di tutti quei fogli di sceneggiature che una volta erano sparsi in ogni angolo della casa.
Per quei tre mesi di preparazione al trasloco, nessuno dei due aveva fatto un passo verso l'altro e Melinda sapeva che, una volta messo piede fuori la loro porta, Keegan sarebbe sparito del tutto: non lo avrebbe incrociato casualmente per strada, né al supermercato; per quanto fosse assurdo non frequentavano gli stessi giri e non avevano gli stessi interessi, sarebbe sparito e di lui sarebbe rimasta solo una semplice cicatrice.
Durante quel periodo di silenzio, si era più volte chiesta come avessero fatto a diventare due estranei. Si era anche domandata come facesse la sua mancanza a renderla estremamente vuota.
Che ci fossero sentimenti diversi? E se fosse stato davvero così, perché aveva deciso di accantonarli? Per il bene di lui, o forse per quello di sé stessa?
Nonostante le domande ci fossero, le risposte non trovarono mai luogo nei meccanismi della sua mente, ma, del resto, non era neanche più il caso di ragionarci: Keegan aveva Charlotte, aveva ormai quasi il suo sogno in tasca e un nuovo appartamento da riempire, a lei non doveva niente, non che glielo avesse mai dovuto, a detta sua.
Pianse "solamente" le prime tre settimane e fumò più di quanto ci si aspettasse, dopodiché con molta fatica aggiustò quei pezzi che potevano ancora essere salvati: il lavoro iniziò a darle soddisfazione e le promozioni fioccarono molto rapidamente, uscì di più con i suoi colleghi e rifece cinque o sei volte la disposizione dei mobili.
Iniziò a riandare alle feste e ad amarsi da sola; stava salvando tutto il salvabile quando tornata da uno di quei party che la sua vecchia amica di scuola Peggy avrebbe definito una tortura, la situazione precipitò nuovamente.
Era arrivata di corsa a casa e si era tolta i tacchi, avrebbe fumato l'ultima, se lo ripeteva sempre, l'ultima sigaretta della serata, neanche fosse la reincarnazione di Zeno Cosini e poi si sarebbe messa a letto aspettando un nuovo giorno per rincollare quei pezzi che le erano stati strappati via.
Aveva appena fatto in tempo a superare il corridoio che la luce in salotto destò la sua attenzione, pensò semplicemente che fosse stata una sua distrazione e sbuffò al pensiero delle prossime bollette, ma poi una voce roca le fece venire i brividi lungo tutta la schiena: "Hai ancora il vizio di lasciare le chiavi di scorta nel vaso sulle scale, vedo."
Keegan era seduto su una sedia in direzione della porta e sventolava il mazzo di chiavi incriminato; indossava una tuta nera ed una maglia grigia, i capelli erano disordinati e Melinda non poté non storcere il naso al pensiero che Charlotte ci avesse passato le mani dentro.
"Cosa ci fai qui?"
Sapeva che lui odiava quando si fumava nell'appartamento, ma ormai quello era esclusivamente suo, per cui accese la sua ultima sigaretta, un po' perché la necessitava davvero, un po' per semplice dispetto.
"Bugia o verità?"
Quasi, quasi, sorrise alla citazione e al fatto che si fosse ricordato del suo amore per Hunger Games.
"Sono le sette del mattino Keegan, non ho energia per nessuna bugia."
"Come stai?"
"Stavo cercando di stare bene, ma non è questa la verità che vuoi dirmi. Ti conosco..." Fece una pausa dolorosa lei, comprendendo l'errore, per poi riprendere: "Ti conoscevo meglio di chiunque altro, quindi forza, parti con il tuo discorso e poi concludilo chiudendoti quella porta alle spalle."
Keegan si alzo per andarle vicino, la prese per il polso e l'attirò al suo petto stringendola in un abbraccio.
"Io sono innamorato perso di lei Melinda, perso completamente eppure non so che cazzo mi succede: non faccio altro che pensare a te cristo, tutti i giorni e..." S'interruppe per posarle entrambe le mani ai lati del viso: "Sto nuovamente per fare l'egoista."
"Cosa intend..."
L'aveva zittita baciandola, come se avesse sempre desiderato farlo, come se la ritenesse finalmente una donna e non solo un'amica con cui condividere gioie e dolori.
La stava baciando con tanto di quel trasporto che Melinda, per un attimo, pensò che le gambe non avrebbero retto a quell'emozioni contrastanti.
Era ancora arrabbiata e ferita? Indubbiamente sì.
Avrebbe lasciato cadere il discorso? Non lo sapeva ancora, ma ciò che sentiva più di tutto era lui.
Lui ovunque.
Lui e quanto la volesse: la fece sollevare senza staccarsi da lei un secondo e la trascinò in quella che una volta era stata camera del ragazzo.

La spogliò lentamente, come a chiederle nuovamente il permesso, mentre la guardava negli occhi e le chiedeva con lo sguardo se fosse sicura.
Ma lo era? Poteva farsi questo? Poteva nuovamente farsi distruggere, quando non era riuscita neanche a rimettere insieme i pezzi dopo sette mesi o finalmente poteva sperare che li avrebbero aggiustati insieme?
Tuttavia, non ebbe neanche il tempo di formulare un pensiero coerente perché, fissando quegli occhi verde bottiglia, l'unica cosa che le venne da dire fu solo: "Sì."
Keegan le fece scorrere un dito lungo la schiena, liberandola dal reggiseno lilla e ispirò bruscamente: "Sei bellissima cazzo."
Si premurò di sfilarle i pantaloni eleganti e di morderla e baciarla ad ogni centimetro di pelle che veniva scoperto, mentre lei tentava di trattenere un mugolio di piacere.
"Ti voglio ora K, ti prego..." Sussurrò lei, mentre il moro con una lentezza infinita le sfilava le mutandine coordinate e le faceva scorrere un dito là dove era già pronta per lui.
Gliene infilò prima solo uno, lentamente, mentre Melinda cercava di trattenersi dall'andargli incontrò, dal far sì che lui si sbrigasse e le desse quello che realmente desiderava, mentre si mordeva con forza il labbro e lo supplicava con gli occhi.
Poi due e prese ad aumentare il ritmo, mentre cercava di nuovo la sua bocca e la sua lingua come se ne andasse della sua vita.
Melinda era esausta, aveva bisogno di lui in quel momento, non sarebbe riuscita a resistere neanche cinque minuti, se il ritmo delle mani e delle labbra di Keegan fosse continuato ad aumentare; per questo decise di ribaltare la posizione, tentando di mettersi a cavalcioni su di lui, ma il ragazzo le fermò i polsi sul letto, bloccandone qualsiasi tentativo.
"Stai buona Mel, avrai tutto quello che desideri; te lo giuro, ma non così. Non di fretta, come se non avessimo tempo neanche per questo. Sarò sempre uno stronzo egoista, ma non quando sei sotto di me, non quando sarò dentro di te."
Detto questo si risistemò tra le sue cosce e prese a darle piacere con la lingua, mentre la assaggiava e la faceva gemere come nessuno aveva mai fatto, mentre lei tratteneva gemiti su gemiti sperando di averlo sempre più vicino.
"Dimmi quello che vuoi Mel."
"Io...Io..."
Non riuscì nemmeno a terminare la frase, perché lui prese a fregarle più forte il pollice contro il clitoride e ad avvicinarla alla sua bocca per morderle forte il labbro inferiore, mentre finalmente le affondava dentro con un colpo deciso.
Lei gli fece scorrere le unghie sulla schiena e gli andò in contro con il bacino, cercando di spingerlo ancora più a fondo, ancora più in lei.
"Keegan..."
Le spinte, i baci e i morsi si intensificarono tanto da far sì che Melinda non riuscisse più a trattenersi: venne travolta da un calore potente, che esplose in lei senza remore e lo stesso accadde per il ragazzo che le stava sopra e la fissava con intensità, mentre la stringeva in un'ultima presa possessiva, ma Mel non era ancora soddisfatta, anzi.
Nonostante fossero esausti, capovolse le posizioni e gli si mise a cavalcioni.
"Hai detto di avere tempo, vero?" Formulò con un sorrisetto soddisfatto, mentre si strusciava sopra di lui come una gattina vogliosa.
"Mi stai facendo impazzire."
"Rimani, non hai ancora visto niente."
"Ho tempo."

Non ne ebbero poi così tanto.
Dopo essersi consumati fino a quando il corpo ebbe consentito loro, si addormentarono l'uno appiccicato all'altra: vicini come non erano mai stati; fino a quando il telefono di lui non iniziò a squillare incessantemente.
"Ti prego..." Mugolò lei, tirandosi il cuscino sugli occhi: "spegni quel coso."
Eppure Keegan sembrò risvegliarsi da un brutto sogno: la fronte sudata e un mal di testa allucinante; si alzò lentamente, attento a non inciampare tra i vestiti accumulati sul pavimento, accettando la chiamata.
Melinda, ormai sveglia ed irritata, riuscì a cogliere solo alcuni sprazzi di conversazione: un qualcosa riguardante il lavoro e distinse K sospirare frustrato, accontentando però il suo interlocutore, prima di richiudere la telefonata.
Il ragazzo tornò sui suoi passi, appoggiandosi al lato della porta e fissando la ragazza.
Lei lo guardò a sua volta: senza lasciare neanche per un secondo quegli occhi verde bottiglia, quei tratti che conosceva talmente bene d'averli visti crescere e maturare.
"Il tempo è finito, non è vero?" Gli domandò allora, mentre la rabbia cominciava a montarle dentro e a sentire nuovamente il cuore creare la prima crepa.
Keegan si chiuse in sé stesso, si ritrasse da quegli occhi color ambra che gli stavano lanciando un'accusa a cui sarebbe, sicuramente, risultato colpevole.
Il silenzio che lui le riservò non fece altro che alimentare quel sapore amaro che stava tornando in superficie.
Di nuovo.
Dopo tutti quei mesi.
"Rimani."
Glielo chiese, mise da parte l'orgoglio ferito e si abbassò a supplicarlo, perché quel tempo era stato terribile e quei pezzi non sarebbero mai tornati insieme se, ora, lui glieli calpestava definitivamente, come se fossero niente.
Il moro prese un respiro profondo e le si sedette vicino, come quando avevano undici anni e stavano per dare inizio alla loro maratona film preferita.
Decise di essere sincero, perché non poteva darle altro, ma perlomeno quello, glielo doveva.
"Sono egoista Mel, lo sono stato quando mi sono chiuso questa porta di merda alle spalle e quando sono ritornato pregandoti di riaggiustarmi i pensieri, di rimettermeli in ordine, perché sei l'unica persona che poteva farlo." S'interruppe per rivolgerle un sorriso amaro, lo stesso da cui, un giorno, non molto tempo dopo, un piccolo bambino avrebbe preso l'inclinazione.
"E ora sono in ordine?" Domandò lei, mentre il labbro iniziava a tremarle.
"Sono un pezzo di merda, perché non ho il coraggio né la forza di mandare tutto quello che ho costruito a puttane. Perché vorrei essere colui che ti mette al primo posto, eppure ho solo la capacità di posizionarci me stesso e le cose che posso ottenere."
"Io... Io posso..."
Fu proprio mentre lasciava quella frase in sospeso, che capì quanto lui l'avesse compromessa: avrebbe rinunciato a tutto, a quello che avrebbe potuto raggiungere se lui le avesse dato il minimo.
Capì che avrebbe potuto compensare lei, a qualsiasi cosa, avrebbe potuto accettare i silenzi e le assenze, solo per averlo di nuovo sotto le dita e tra le cosce, solo per non distruggersi nuovamente.
Capì che ormai era troppo tardi per riprendersi e si sentì assurdamente ed inutilmente patetica.
Keegan le andò ancora più vicino, facendo frusciare le lenzuola sotto di loro e riprese: "Tu... Cazzo, Mel. Tu meriti qualcuno che non sia un figlio di puttana, ok? Lo capisci? Ma, soprattutto..."
"Cosa?"
"Che non ami un'altra."
L'orrore le attraversò il viso e le crepe si fecero sempre più profonde dentro di lei.
Quanto dolore un corpo poteva sopportare? Quanti tradimenti una schiena poteva subire?
Quel sapore amaro in bocca la inondò completamente, andando a cancellare quello di lui.
"Fammi capire bene Keegan... Tu sei venuto qui, nel mio appartamento, per cosa? Per una scopata facile?"
"Non trattarmi come se non ti avessi avvertito cazzo, come se non avessi già messo le mani avanti sin dal principio. Sapevi che sono uno stronzo egoista e che stavamo per fare una stronzata."
"Non è una giustificazione, cazzo!" Gli urlò dietro lei, alzandosi e continuando: "Tu non sei innamorato di Charlotte, Keegan, non sei innamorato di nessuno. L'unica cosa che conta sei tu e il tuo ego del cazzo, non è vero? La fama e il successo riescono così tanto ad accecarti la vista?"
Le cattiverie iniziarono a fluirle fuori, come un fiume che non riusciva più a reggere la piena.
"Credi di essere innamorato di lei solo perché ti è utile, perché pensi possa portarti da qualche parte con il suo talento. Tu ami le persone per usarle. Perché cazzo sei tornato qui?"
Keegan tentava di riavvicinarla a lui, di non farle dire altre cattiverie e di non farle porre altri mattoni su quel muro che li stava distruggendo piano piano.
"Sono tornato qui perché mi mancavi cristo! Perché per me vali Melinda e sono il primo a dire che non riesco cazzo, non riesco a rinunciare a quella chiamata di merda o all'ennesimo incarico che mi daranno.
Sono venuto qui perché tutto quello che mi stava succedendo faceva una paura cane, solo perché non c'eri tu dall'altra parte del muro. Sono tornato perché non so cosa provo, ma so bene di non meritarti come persona.
Con Charlotte è più facile, è semplice, perché ci facciamo comodo a vicenda e nessuno dei due pretende dall'altro.
Sono venuto qui perché... Non lo so nemmeno io perché, ma volevo ascoltare l'istinto."
"Questa sarebbe la tua giustificazione? La solita puttanata del non sei tu, ma sono io?"
"Sto cercando di fare la cosa giusta!"
"E quale sarebbe Keegan? Lasciarmi dopo esserti svuotato le palle con la scusa che non sarò mai abbastanza?"
"Perché non lo sarai! Non rispetto al mio successo e al mio lavoro. Vuoi davvero che ti menta e finga che sarò in grado di darti quello che vuoi? Di darti tempo e spazio come meriti, di uscire con i tuoi colleghi? Io non sono così."
"Quindi cosa ti aspetti adesso da me, sentiamo: che faccia finta di niente mentre tu vai via, di nuovo, per andartene con un'altra? Ma che cazzo ti sta succedendo?"
Mel non credeva assolutamente che d'ora in avanti sarebbero stato tutto rosa e fiori: si erano feriti e urati addosso, non si erano parlati per mesi, eppure sperava che quello fosse il primo passo per uscire da quella merda.
Il ragazzo tentò di prenderle il viso tra le mani, per far sì che non si allontanasse da lui, ma Melinda al solo pensiero che da un momento all'altro quella scena sarebbe andata a riprodursi con una biondina sceneggiatrice, le salirono i conati di vomito.
"Smettila di fare la superiore, come se tu avessi tutte le risposte a questa situazione."
Le disse lui, ad un metro dal viso.
La ragazza impallidì, perché non riusciva più a ragionare lucidamente, figurarsi a mettersi in discussione o ad avere delle risposte, era semplicemente ferita e quel sentimento stava rimpiazzando qualsiasi cosa.
"Prima di venire qui, non sapevo nemmeno cosa volessi dirti: avevo intenzione di chiederti scusa probabilmente e poi di rinfilarmi vicino a Charlotte, dove sarei dovuto essere ora." Prese fiato K, mettendole una mano sul fianco.
"Eppure sono arrivato e tu non c'eri. La cosa mi ha fatto incazzare, perché non sapevo nemmeno dove potessi essere, ma poi sei arrivata, con quei pantaloni attillati e quel tuo solito modo da perfettina e mi è solo venuta voglia di baciarti." Alzò più in alto la mano, andando ad accarezzarle lo stomaco, mentre la spingeva contro il muro alle loro spalle.
"Non sapevo nemmeno se mi avresti respinto porca puttana. Siamo amici da... da quanto? Una vita. Questa storia, tu ed io, è complicata e io non ho intenzione di fingere qualcosa che non sono in grado di darti. Quindi, smettila."
Melinda fece un sospiro, uno di quelli che prepara ad un pianto isterico, tuttavia non lo avrebbe permesso: non questa volta.
"Chiariscimi una cosa quindi, Keegan..." Lo allontanò con uno spintone, per prendere aria e non sentirsi soffocare; lui non si mosse neanche di un millimetro, per cui riprese, guardandolo fisso negli occhi: "Non mi stai dando scelta, è così? Hai già deciso per entrambi: che niente di quello che è successo solo due ore fa possa funzionare, non è vero?"
"Ti ho già spiegato che non sono la persona giusta per te."
"Non vuoi esserlo. La differenza è ben chiara. Non ti sto proponendo un matrimonio, neanche l'avrei preteso, ma nemmeno di essere la tua amante del cazzo o la scopata di una notte da prendere e non richiamare. Se hai già deciso per entrambi, se non vuoi capire cosa sia questo..." Disse, indicando prima sé stessa e poi lui. "Allora non abbiamo più niente da discutere."
Keegan fece finalmente un passo indietro, non la biasimava: era un egoista senza precedenti e con poca moralità; l'aveva ferita e se n'era andato e ora lo stava per rifare.
La verità è che non era pronto ad una persona come Mel, non era pronto a sforzarsi e a darsi da fare, preferiva rimanere incollato ad un sentimento effimero, privo di responsabilità.
Un qualcosa da maneggiare senza cura, perché non ne aveva bisogno.
"Per quel che vale, mi dispiace."
"No che non vale Keegan. Non basta."
"Allora io..."
"Tempo scaduto, no?" Gli sorrise amaramente lei, mentre si riprometteva che quello sarebbe stato l'ultimo pianto e gli indicava la porta.

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