Tok Tok

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Era una notte buia e tenebrosa dove neanche le stelle e la luna riuscivano ad illuminare il cielo nero.

Me ne stavo sul divano dopo una lunga giornata di lavoro e non vedevo l'ora che la cena che avevo messo nel microonde fosse pronta.

Non amavo particolarmente il cibo precotto, ma proprio non avevo voglia di mettermi lì a prepararmene, non quella sera, non dopo la giornata pesante che avevo avuto.

Era stata particolarmente difficile perché non ero riuscito a sventare a pieno la rapina in quella gioielleria in centro.

Purtroppo il villain aveva fatto delle vittime prima che io riuscissi ad arrivare sul luogo.

Era una cosa che mi ero ripromesso che non sarebbe mai accaduta, non dopo aver fatto il mio debutto come eroe professionista.

Non era mai capitato nella mia carriera da eroe che non mantenessi quella promessa, ma oggi avevo perso cinque persone e non riuscivo a capacitarmene.

Il bip dell'elettrodomestico mi avverte che il mio pasto è pronto e con calma mi appresto ad andarlo a prendere.

Sto tornando sul divano con il tutto quando sento qualcuno che bussa insistentemente alla porta.

Ero tentato di non andare ad aprire. Non ero dell'umore per ricevere visite, non che di solito mi piacesse che la gente varcasse la soglia di casa mia.

Al solo pensare questo mi sentii come un cane che non vuole altre persone nel suo territorio.

In malo modo posai il vassoio con la cena sul basso tavolino davanti al divano e andai alla porta con passo pesante.

«Chi cazzo mi disturba a quest'ora?» sbraitai spalancando la porta e trovandomi davanti agli occhi un ragazzo poco più giovane di me.

Era una spanna buona più basso e i con i suoi enormi occhi verdi sembrava che volesse scrutarmi l'anima; aveva una spruzzata di efelidi che risaltavano sulla sua pelle pallida e una piccola bocca rosa schiusa da cui uscivano sbuffi di condensa dati dal freddo. I capelli rissi verdi come i suoi occhi avevano intrappolato delle minuscole gocce di acqua probabilmente dovute alla pioggerellina che placida scendeva dal cielo plumbeo.

«Scusi signore, ha una coperta con cui potrei scaldarmi?» chiese con una voce dolce e melodiosa che cancello dal mio volto il malcontento per l'interruzione.

Senza rendermene conto mi scostai da davanti alla porta e gli lasciai libero il passaggio in modo che potesse entrare.

«Vieni dentro mentre vado a cercare qualcosa.» dissi chiudendo la porta alle sue spalle una volta che fu entrato.

Corsi immediatamente alla ricerca di un asciugamano con cui potesse asciugarsi e dei vestiti caldi che non fossero troppo grandi per lui e li portai in salotto dove era entrato.

Gli posai subito l'asciugamano in testa mentre il resto dei vestiti lo appoggiai sul bracciolo del divano.

«Vuoi anche qualcosa di caldo da bere mentre ti cambi?» gli chiesi avviandomi verso la cucina e mettendo su l'acqua per il tè.

«Grazie.» disse infilandosi il maglione che gli avevo portato e nonostante avessi scelto il più stretto che avessi, gli arrivava comunque alle ginocchia.

La cena ormai era fredda sopra il tavolino e la feci sparire subito sostituendola con due tazze colme di tè caldo.

«Chi sei e come mai era in giro a quest'ora?» domandai sedendomi sul divano e facendogli segno che facesse altrettanto.

Con un movimento lento si sedette dalla parte opposta in cui mi trovavo portandosi contemporaneamente la tazza stretta tra le mani, vicino al volto in modo da potersi scaldare con i vapori che emetteva.

«Mi chiamo Izuku.» disse dopo un breve sorso allontanando la tazza per soffiarci sopra prima di portarsela di nuovo alle labbra.

Rimasi a guardare i suoi movimenti incantato dalla armoniosità dei suoi gesti. Mi sentivo così rude in confronto, mentre lui si era rannicchiato nell'angolo con le ginocchia al petto nascoste sotto il maglione troppo largo, io me ne stavo dall'altra parte a gambe aperte e con il gomito appoggiato sulla testiera del divano.

«E poi credo di essermi perso.» continuò posando il capo sullo schienale e beandosi del tepore che lo stava avvolgendo.

Un silenzio tranquillo scese nella stanza, ma non me ne curai, stavo così bene per una volta, come se la sua sola presenza potesse alleviare tutto il male che mi circondava per colpa del mio lavoro.

«E tu come ti chiami?» mi chiese posando la tazza mezza vuota sul tavolino basso.

«Katsuki.» risposi posando a mia volta la tazza per poi appoggiare il capo sul braccio ancora steso sullo schienale del divano.

Non me ne resi neanche conto, ma la vicinanza con quel ragazzo mi aveva fatto salire un abbiocco che

mi portò ben presto a chiudere gli occhi e farmi assopire nel giro di pochi istanti.

Uno sconosciuto alla portaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora