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A Marika.

Alle Mamme di Mafex.

A Giulia, Martina ed Eva.

Ai tizi con quel laser verde del cazzo.











«Simo' piglia sta mela e tiramela in testa, per piacere.»

Simone, immerso nel suo ossessivo mordicchiare il tappo nero di una vecchia penna, ha giusto il tempo di voltarsi verso quella voce, prima di ritrovarsi il frutto rosso lanciato in aria davanti ai suoi occhi.

È questione di secondi.

Rischia anche di non riuscire ad afferrarla - nonostante giochi a rugby da una vita e afferrare le cose che gli vengono lanciate dovrebbe essere un gioco da ragazzi. Tuttavia, quando è assorto nei suoi pensieri perde ogni briciolo di reattività, una pratica che ritiene alquanto pericolosa dal momento in cui non tenere sotto controllo lo scorrere del tempo per lui è un dramma.

Il suo corpo si ritrova costretto ad elaborare quel gesto troppo velocemente, tanto che quando la mela gli casca tra le mani, che ne vanno a stringere appena la circonferenza, quasi gli gira la testa.

Quando la guarda, ormai sana e salva, fa un sospiro di sollievo - che sta sicuramente meglio tra le sue mani che a rotolare sul pavimento impolverato della classe, da cui è certo che l'amico l'avrebbe raccolta e mangiata ugualmente, senza neanche pulirla o sbucciarla.

A risvegliarlo completamente è il tonfo del corpo di Manuel che s'accascia sulla sedia sbuffando. Si stiracchia sul banco come un gatto che fa le fusa, si infila una mano tra i ricci e quasi se li tira, tra borbottii vari. Per Simone è naturale allungare la propria mano per scostare quella dell'altro - che a quanto pare d'autunno Manuel perde un sacco di capelli, e ogni volta che il ragazzo li stressa, in un modo o nell'altro, Simone si ritrova sempre lì a rimproverarlo.

Manuel reagisce a quel gesto con un lamento frustrato, allunga le braccia e stringe il bordo più lontano del banco con le mani.

Solo adesso Simone intuisce il perché di quella reazione, anche se non la comprende.

«Manuel.»

«Che vuoi?»

«T'ha messo otto

«Solo perché glie sto simpatico.»

Adesso è Simone a sbuffare, stanco - anzi, sfinito dal modo in cui Manuel si sottovaluta sempre. Allontana le dita dal covo di ricci dell'amico e si lascia andare col fianco contro lo schienale della sedia, che un po' traballa, essendo per lui troppo piccola.

«Credo che tu sappia meglio di me che, anche se mio padre è un cazzone, i voti alti non li mette a simpatia, li mette chi riesce ad esprimere un concetto filosofico corretto, senza fronzoli o cantilene imparate a memoria, e soprattutto a chi riesce a ricavarne esempi della vita reale, e guarda caso tu corrispondi a tutte queste caratteristiche.»

Manuel alza la testa e lo guarda assottigliando gli occhi. «Ed io credo che tu sappia meglio de me...» lo scimmiotta «...che c'avevo bisogno del nove per alza' 'n po' 'sta media e famme meno il culo su quella matematica del ca-»

«Fammi capire, stai piagnucolando perché non vuoi studiare?»

«Io non sto piagnucolando!» Manuel spalanca gli occhi, quasi offeso, per poi sgonfiarsi come un palloncino solo qualche secondo dopo. «Dovevo solo prende' nove, tutto qua. Non me so' impegnato comunque abbastanza.» abbassa le spalle, arreso.

Da poco, da sempre | OS SimuelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora