Eravamo, io e la mia amica, in libreria. Quella più grande della città. Cinque piani, ognuno d'essi con centinaia di libri. D'altronde non potevo aspettarmi altro da quel posto. Ma io ero abituato a comprare l'usato per le strade, tant'è che ci andai come fossi un bimbo in gita scolastica.
Camminavamo a passi lenti e corti tra gli scaffali senza meta, sperando che un libro s'alzasse da solo e dicesse "Scegli me!".
«Questo? Lo hai mai letto?» mi chiese accarezzando con indice e medio la copertina. Era d'un rosso opaco piuttosto piacevole alla vista.
«No, questo no».
«Dovresti leggerlo, sai?»
«Ora lo so» sorrisi. Lei ricambiò con una risata vera e propria.
Si spostava da uno scaffale all'altro senza dir nulla, e io continuavo a seguirla. Sembrava casa sua. S'intuiva da come gironzolava senza dare conto ai cartellini con su scritto narrativa, gialli, filosofia... A me sembrava un labirinto di soli vicoli ciechi, quel posto.
Mentre curiosava, io mi chiedevo che cosa stesse realmente curiosando. La libreria, poi, offriva in bella vista i classici più o meno moderni, i successi contemporanei. Solo una piccola sezione era dedicata a scrittori emergenti, ma non la considerava – ahimè – spesso. E mentre io, invece, mi domandavo cosa la stuzzicasse se – con ogni probabilità – conosceva a memoria ogni pagina, scappò dalla mia vista verso il secondo piano. Non mi diede il tempo di fare due passi che la vidi sbandierare un libro che riportava in copertina un quadro di Böcklin, in cima alle scale. Io ero ancora in fondo agli scalini di legno: alle pendici della collina.
«Questo mi auguro tu l'abbia letto!»
Cercai di non rispondere subito. Prima di darle la certezza che no, non lo avevo letto, aspettai di salire a fianco a lei.
«Oh, questo...» cercavo con gli occhi qualcosa, qualcosa... e lei tirava in alto le sopracciglia, emozionata di ricevere un sì per discutere di quel libro. Io feci solo una smorfia orribile, poi parlai: «Questo no, non l'ho letto».
Chinò un po' il capo, poi mutò l'espressione in volto, senza darsi per vinta dalla delusione.
«È un libro fantastico, sai?»
«Ora lo so» dissi con un sorriso di plastica questa volta. Non fece lo stesso effetto di prima.
«Parla d'un tizio che ha deciso di non morire» spiegò saccente.
«Di non morire?»
«Questa devo raccontartela!»
Rimasi ad ascoltarla senza interromperla con stupide battute. Era così raggiante, felice di potermi raccontare la storia di quel tizio che decise di non morire. E io ero rilassato, contento di vederla così. Anche interessato. Non posso mentire.
Una storia a proposito di questo tale che, ogni giorno più spaventato dalla morte, decise di sfuggirla. Capì che tutti gli altri, nonostante la paura, avessero sempre scelto di morire. Davanti al triste mietitore non aprivano bocca, si lasciavano andare al caso e alla malattia. Una storia assurda, forse, ma molto affascinante, pensai. Dunque, questo tale decise di non morire. Se ne pentì nel corso degli anni, quando si ritrovò a più funerali che feste di compleanno. La morte, per vendicarsi, lo lasciò così per sempre. Per sempre, ripetevo nella mia testa.
«Per sempre» concluse.
«Caspita, è... è stato pazzesco».
«Ti è piaciuto davvero?»
«Moltissimo».
Lei socchiuse gli occhi e smise di guardare i miei. Fissò i suoi piedi per un attimo, poi posò il libro accarezzando le pagine. Mi riempivano di zucchero quelle piccole cose, le sue carezze ai libri. Aveva questo strano vizio. Una volta le chiesi per quale motivo lo facesse. Mi rispose che un giorno me lo avrebbe spiegato.Dopo qualche mese da quel giorno tornammo lì ancora – e ancora. Io, invece, riuscii a portarla ad alcune bancarelle dell'usato. Lì si innamorò degli appunti delle altre persone: amava ficcare il naso tra la vita degli altri, o di tentare di scoprirla tramite qualche schizzo qua e là sulle pagine sporche.
Non abbiamo mai smesso di passeggiare tra i libri. Ci baciammo per la prima volta proprio in libreria. Io avevo ventiquattro anni, lei ventitré. Ogni anniversario ci regalavamo un libro a vicenda con la speranza di scambiarci qualche emozione. Almeno questo era quello che mi auguravo. Lei, invece, non vedeva l'ora di potermi raccontare quello che aveva letto. Aspettava di finire ogni libro come un ragazzo aspetta l'ultimo giorno di scuola.A ventisei anni le chiesi di andare a convivere altrove, fuori città. Nessuno portava a casa uno stipendio tanto ricco, ma ci lasciammo andare al rischio senza pensarci due volte.
Lei trovò un nuovo lavoro. La libraia. Io non ne avevo trovato ancora nessuno. Ciò mi fece sentire in difetto, e mai smisi di stare in quella condizione. Neppure per un attimo.Oggi ho ventinove anni. Domani è il nostro anniversario. Mi sono permesso di regalare a me stesso il libro che mi raccontò tempo fa, quello con la copertina di Böcklin. Benché conoscessi la trama e la peculiarità della storia, l'ho letto tutto nel giro di un paio di giorni, senza annoiarmi. È stata una piacevole lettura. Aveva ragione, un libro pazzesco.
La sorpresa sono sicuro le sia piaciuta. Non ne ho la certezza a dire il vero, chiaro, ma ho imparato a conoscerla in tutti questi anni.
Oggi ho trentasei anni. Ieri è stato il suo anniversario. È morta dieci anni fa, ormai. Come ogni anno vado a salutarla, sedendomi per terra a fianco a lei e domandandole cos'ha letto nell'ultimo periodo. Mi capita spesso di sentirla, di ottenere una risposta, un sussurro. Ancora la vedo carezzare la copertina dei libri.
Io, invece, le racconto ciò che leggo, le chiedo se è orgogliosa di me, dei classici che ho recuperato e recupererò. E ogni tanto la sgrido, perché legge pochi esordienti. Ma lei mi promette che rimedierà.
Prima di andare e di tornare a casa le chiedo sempre se è stata lei a decidere di abbandonarmi. Senza puntarle il dito addosso, mi domando cosa sarebbe successo se, anche lei, avesse deciso di non morire e di rimanere qui. Con me.
Poi ripenso alla triste fine di quel tizio, alla sua vita – se così la possiamo chiamare. Allora le chiedo scusa, mi alzo e carezzo la copertina che riporta il suo nome.
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Le piaceva carezzare i libri
Short Story«Questo? Lo hai mai letto?» mi chiese accarezzando con indice e medio la copertina. Era d'un rosso opaco piuttosto piacevole alla vista. «No, questo no». «Dovresti leggerlo, sai?» «Ora lo so». Copertina a cura di @mikaela_bonk.