Alex

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Mia sorella Kate è morta esattamente un anno fa. La mia famiglia ha voluto fare dire una messa per lei. Ed è per questo che stasera siamo qui, in questa lugubre chiesa di campagna, il buio squarciato da decine di candele mezzo consumate e una luce fredda che riverbera dai volti pallidi dei miei genitori.

Io devo avere lo stesso aspetto, o probabilmente anche peggiore.

La foto di Kate che campeggia sull'altare ritrae una ragazza fresca e luminosa, sorridente come una giornata primaverile, e quasi mi sembra in contrasto con la severità dell'evento, con le facce distrutte dei presenti. Ma è solo una sensazione: in realtà quella foto risale a diversi anni prima. Non somiglia affatto a come era mia sorella prima di morire.

Nella mia famiglia Kate non è stata la prima a sviluppare questa malattia, già mia nonna ne era morta. Mio padre non ha mai amato parlare di lei e degli ultimi anni della sua vita, in cui questo male l'ha consumata e portata via. Non ho mai capito perché fosse così reticente a raccontarlo finché non si è ammalata anche Kate. Quando i sintomi sono diventati chiari si è limitato a dire - con un filo di voce e gli occhi sbarrati – "Dio mio, è quello che è successo anche a mia madre".

Gli psichiatri a fine delle visite borbottavano frasi incerte e di circostanza per giustificare il fatto che non avessero idea di cosa avesse mia sorella. Sembrava un delirio persecutorio, dicevano, le prescrivevano dei sedativi per cercare di farla calmare, in attesa che la malattia si rendesse meglio evidente e fosse possibile trovare una cura più appropriata. Ma tutto era inutile. I sedativi non la aiutavano, lei non migliorava, andava di giorno in giorno verso un declino.

Era cominciata con degli incubi. Si svegliava di notte urlando, presa da un'agitazione incontenibile. Quando cercavo di farmi spiegare da lei che cosa l'avesse turbata pareva spaventata a morte perfino di parlarne. Mi diceva sempre la stessa cosa: vedeva una donna, dai capelli scuri, gli occhi cerchiati, pallida come un cadavere che la fissava e la inseguiva ovunque lei cercasse di scappare. A volte le gridava dietro con una voce che pareva il richiamo stridulo di un uccello, la bocca spalancata in un abisso nero senza fine. A volte la prendeva con le mani al collo, con delle dita fredde come il ghiaccio, e Kate si sentiva sprofondare in un vortice di terrore che somigliava alla morte. Altre volte non faceva nulla, si limitava a sorriderle con crudeltà, e quello era l'incubo peggiore per mia sorella.

Dopo poche settimane, gli incubi avvenivano tutte le notti, ed anche più volte a notte. Kate iniziò ad evitare il sonno quanto più poteva. La sua condizione psichica andò a degenerare. Divenne irritabile e distante, iniziò ad avere sbalzi di umore e alterazioni della memoria. Aveva sempre più spesso attacchi di ansia quando calava la sera e si avvicinava il momento di dormire. Perse molto peso e i suoi occhi diventarono freddi e vuoti. Naturalmente il suo problema era appena all'inizio.

Una mattina stavamo facendo colazione io e lei al tavolo della cucina. Era serena, mi stava raccontando di qualcosa di stupido che le era successo a scuola. Credo fosse stato il nostro ultimo momento felice insieme. A un tratto si è interrotta a metà di una frase e ho sentito chiaramente mozzarlesi il respiro in gola. L'ho vista impallidire e fissare terrorizzata verso la porta di casa, che era alle mie spalle. Mi sono voltata con l'ansia che quasi mi paralizzava, preparandomi ad affrontare malfattori o qualunque altra minaccia fosse penetrata, ma quando ho visto la porta questa era sbarrata proprio come doveva essere, e non c'era assolutamente nessuno. Sono rimasta sbigottita.

"La vedi anche tu, Alex?" Ha domandato allora Kate, articolando a fatica le parole, tra le lacrime. "Ti prego, dimmi che la vedi anche tu". Non l'avevo mai vista così spaventata. Solo in quell'istante ho cominciato a capire che inferno stava vivendo.

Da quel giorno e per i mesi a seguire non ebbe un momento di pace nemmeno da sveglia. Aveva paura a rimanere da sola in una stanza, perché "lei" era più cattiva quando la trovava da sola. Non riusciva più a mangiare, a studiare, a pensare qualcosa senza avere costantemente ansia. Era sempre più pallida e fuori di sé ed ebbe un crollo lento e costante. La si poteva vedere in qualunque momento scoppiare dal nulla in un pianto isterico o gridare di paura, o ancora urlare al vuoto frasi sconnesse e deliranti. Non era più lei.

Io e i miei genitori abbiamo cercato di aiutarla in ogni modo che potevamo. Niente è servito, non c'è stata cura possibile. Kate è andata avanti nella sua psicosi fino a ridursi ai minimi termini, una creatura sola, terrorizzata anche del suo stesso respiro, divorata da un vuoto che aveva dentro e che la risucchiava a poco a poco, incapace di continuare a vivere. Ancora oggi mi domando: se avessi intuito i preparativi che stava mettendo in atto per porre fine alla sua sofferenza, avrei cercato di fermarla?

La mattina che trovammo il suo corpo riverso a terra tra vomito, vodka scadente e sedativi inutili se non a quell'unico scopo, mi sorpresi di non provare la disperazione che sarebbe stata naturale, ma un atroce sollievo, che mi lacerò dentro peggio che se l'avessi uccisa io. Nessuno lo disse a voce alta ma probabilmente quello era l'unico epilogo possibile.

Ora è passato un anno da quel giorno e io e la mia famiglia abbiamo fatto una fatica immane per ricomporre i pezzi distrutti della nostra pace, delle nostre giornate qualunque.

Non ho ancora detto a nessuno che dovranno rivivere tutto dall'inizio.

La donna adesso è vicina al ritratto di mia sorella, mi sorride crudelmente con i suoi denti gialli e affilati. Quei denti mi danno i brividi, ho la sensazione che vorrebbe provare a mordermi. Lei sa che arriverà presto il mio turno di stare al posto di Kate, lo so bene anche io. Mi sento come un animale in trappola.

Dopo il primo incubo sono andata a dormire nella nostra casa sul lago, isolata da tutti. Qui posso urlare quanto voglio. Sto consumando così la prima parte della malattia, è ancora gestibile e voglio che i miei genitori abbiano ancora qualche settimana di pace, prima che lei mi porti a perdere la ragione. Sento già che la mia lucidità sta lasciando il posto a un torpore e a un'agitazione che prima non provavo. Mi sono specchiata un paio di giorni fa e ho riconosciuto lo stesso sguardo allucinato di Kate.

A tratti mi viene voglia di non fare succedere quello che è successo a Kate, di non permetterle di portarmi alla pazzia, di inscenare un incidente e di mettere fine a tutto subito. C'è qualcosa che mi frena. Forse è proprio quel maledetto sorriso così sporco, che continuo a vedere anche quando chiudo gli occhi, che mi perseguita. Quel sorriso di chi vuole vederti distrutta e privata di ogni speranza. E di chi sa come riuscirci. 

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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 07, 2022 ⏰

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