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Quando nevica non mi sento allegro come un bambino che non vede l'ora di fare i pupazzi di neve, semmai percepisco uno strano senso di attesa e resto lì a fissarla cadere

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Quando nevica non mi sento allegro come un bambino che non vede l'ora di fare i pupazzi di neve, semmai percepisco uno strano senso di attesa e resto lì a fissarla cadere. Penso che ci sia un legame stretto tra neve e attesa, infatti quando nevica c'è uno strano silenzio nell'aria, come se tutto si fermasse per ammirare questo indescrivibile capolavoro della natura. È uno di quei rari meravigliosi momenti in cui trovo contestualmente la pace di mente, cuore e anima.

Certe volte le nevicate mi fanno ritornare in mente i ricordi d'infanzia, di quando giocavo in modo spensierato da solo o insieme ai miei amici a fare pupazzi di neve o la guerra delle palle di neve, entravamo a casa fradici e le nostre madri ci gridavano perché eravamo tutti bagnati. Questo non significa affatto che voglio ritornare indietro nel tempo per riprovare quelle stesse sensazioni, mi basta pensare che altri bambini stiano rivivendo gli stessi momenti divertendosi allo stesso modo.

Ma la neve, specialmente in città, è un problema, al giorno d'oggi la neve è un pericolo per le persone distratte o troppo sicure dei propri mezzi. Ed è proprio per colpa della neve che quella sera camminavo da solo mentre tutte le persone erano con i propri parenti, non avevo una macchina perché tra le spese in casa e l'università non riuscivo mai a procuramene una e purtroppo i miei genitori sono lontani.

Mentre pensavo questo, notai un'altra persona seduta a gambe chiuse su una panchina nel parco in cui mi dirigevo. Più mi avvicinavo e più riuscivo a scorgere il suo viso, era un ragazzo che aveva delle cuffie nelle orecchie e una cosa che non mi passó inosservata furono le lacrime che cadevano dai suoi occhi bagnandogli le guance un po' pienotte. D'istinto gli tolsi una cuffietta e lui si girò confuso.

«chi sei?» balbettò.
«scusami tanto se sono sembrato aggressivo, mi chiamo Minho. passavo per di qua e ti ho visto piangere...»

Il ragazzo si asciugò le lacrime con la manica della sua felpa e mi presi un momento per osservarlo meglio. Aveva degli occhi marroni dolci e grandi, erano inconfondibili. Il suo naso era molto carino e le sue labbra erano rosee e piene. Aveva dei capelli blu che gli stavano divinamente, era semplicemente stupendo.

«perché mi fissi?»
«non sei costretto a cercare di smettere, sfogarsi fa bene»

Guardò in basso e stette in silenzio come se stesse pensando alle mie parole attentamente. Iniziai a pensare di aver detto qualcosa di sbagliato.

«Jisung» disse continuando a non guardarmi.
«scusami?» chiesi confuso.
«é il mio nome »abbozzò un sorriso che subito ricambiai
Dopodiché lo vidi tornare dinuovo nel suo mondo mentre fissava l'altalena più avanti. Non volevo che tornasse ai pensieri che l'avevano fatto scoppiare in lacrime poco prima.

«ti dispiace se ti abbraccio?»

Abbracciare è una cosa complessa. Devi usare le mani ma anche il cuore, devi fare piano e forte, devi racchiudere ma devi anche far entrare l’infinito.
Soprattutto devi far incastrare il tuo corpo in un altro. E i nostri corpi si incastrarono alla perfezione.

Ciao ragazzi, spero che questo capitolo vi sia piaciuto! ricordate la stellina e un commento se volete. Vi ringrazio per star leggendo questa storia. Al prossimo capitolo! ❞

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