47. Cattivo sangue non mente

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Era quasi mezzanotte e io stavo camminando a passo svelto e silenzioso nei corridoi fioriti dell'ala est con un coltello nella mano destra. Scalza, per non emettere nemmeno un rumore, mi diressi verso la torre, verso le stanze di Victor.

Lui era tornato al castello poco prima, avevo sentito il suo stallone nitrire e quasi non volevo crederci. Il suo rientro era previsto per quel pomeriggio e quando non l'avevo visto tornare avevo pensato al peggio; mi ero anche maledetta per non essere scappata con Gabe.

Gabe aveva lasciato il castello la notte prima, poco dopo la mezzanotte come mi aveva detto, e io non avevo avuto il coraggio di tornare a dirgli addio, però lo guardai allontanarsi dalla scogliera avvolto in un mantello nero, e lo scrutai da una finestra alta della guglia a est fino a quando non divenne un punto indistinguibile.

Avevo pianto come una bambina e adesso, invece, fumavo di rabbia. La situazione peggiorò quando mi accorsi che Victor non era nelle sue stanze.
Coi piedi freddi e il coltello che bruciava nel mio pugno mi diressi allo studio.

Non arrivai nemmeno a metà strada quando una luce nel corridoio a sinistra si accese. Incrociai le sopracciglia.

Chi c'era nella mia stanza?

Alzai il coltello, calmai il respiro, silenziosa come la morte.
Cosa diavolo ci facesse Victor nella mia stanza, passata la mezzanotte, era un mistero. Guardava il letto vuoto e dava le spalle alla porta, un errore che non mi sarei mai aspettata da lui.
Gli scivolai dietro, con il coltello in entrambe le mani, e premetti la punta tra le scapole nascoste dalla camicia rosso scuro.

Victor trasalì e contrasse i muscoli in uno spasmo.

«Sei un mostro del cazzo» sussurrai. «l'hai tenuto in quella torre per sei anni!» indurii il tono.
Victor alzò le mani. «Abbassa il coltello, Lucille.»
«Vaffanculo!» gridai. «Come hai potuto nascondermelo?! Tu lo sapevi! Sapevi che lo piangevo ogni notte! Lo tenevi lì dentro! Da solo!»

Un'ombra fredda e viscida scivolò attorno al polso che reggeva il coltello e strinse. E strinse.

Gridai e un istante dopo Victor mi disarmò, gettando il coltello ai miei piedi. «Cosa cazzo ci fai ancora qui?» il suo occhio era intriso di panico.
«Ti faccio a pezzi!»
«Lucille!» mi bloccò entrambi i polsi, fermando ogni mio intento di combattere. «Perché sei ancora qui?»
«Dove credevi che fossi?!»

Lui non rispose, la sua pupilla si mosse instancabile nei miei occhi e alla fine Victor sospirò come se fosse davvero sfinito.
«Merda!» mi lasciò andare e prese a camminare per la stanza, lentamente, una mano sul viso per massaggiarsi l'occhio e il naso.
«Cosa?»
«Dovevate lasciare il castello insieme!» sbottò gesticolando come un forsennato. «Per questo ti ho dato la chiave!»
Eh?

Schiusi le labbra. «Che stai dicendo?»
«Ho distrutto le capitali dei regni nemici!» gridò, come se fosse ovvio. «E ora loro attaccheranno Novorac! È pericoloso se resti qui.»
Assurdo.
Ero lì per cavargli risposte e interrogarlo su Gabe. Dovevo essere io quella incazzata, non lui.
Alzai gli occhi al cielo. «Stronzate!»
«Non scherzo!» a giudicare da come le ombre si arricciavano furiose ai suoi piedi, era serio. «Se Isdra ti trova ti userà contro di me.»
«Dimmi qualcosa che non so» sbuffai.

Mise su l'espressione che aveva ogni volta che lo irritavo e che non vedevo da un po'.
«Dov'è Gabriel?»
«Che t'importa? L'hai tenuto in prigione per sei anni, tanto valeva ucciderlo.»
Gli bastarono due passi per sovrastarmi e piazzarmi un indice minaccioso sotto al naso. «Non era una prigione!» ringhiò tra i denti. «Aveva cibo, vestiti, libri... Donne.»
Sussultai.
Victor prestò particolare attenzione quando spostai il peso sui piedi e deglutii.
Poi piegò le labbra in un ghigno vittorioso. «Tutte le donne che voleva. Non te l'ha detto?» infierì.
Ressi il suo sguardo, incanalando tutta la rabbia negli occhi, affinché lo sciogliessero vivo.
Ma l'Ombra si mise a ridere. «Immaginavo.»

Storia di un odio proibitoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora