Isabella's pov:
L'estrema vicinanza tra Arthur e quella donna, quella bellissima donna dai lunghi capelli color oro e gli occhi più azzurri del cielo avevano stretto il mio cuore in una morsa gelida, nonostante non volessi ammetterlo apertamente, così mi ritrovai ad accorciare le distanze tra me e il povero Charles, vittima della gelosia crescente che ardeva nel mio petto. Il ragazzo non si sottrasse al tocco gentile delle mie dita sulla sua spalla e il modo in cui avevo pericolosamente avvicinato il mio viso al suo soffiando sul suo collo, con l'intento di suscitare una reazione nel fratello che aveva serrato la mandibola, il che mi portò a pensare che il mio piano fosse riuscito: Arthur Leclerc era geloso di me.
Ne ebbi la conferma poco dopo, quando a grandi falcate il monegasco si diresse verso di me pronunciando il mio nome con urgenza «Che cosa credi di fare? Con Charles?» il tono di voce basso, perentorio e a tratti canzonatorio mi fece istintivamente sorridere al pensiero che tenesse ancora a me, tuttavia risposi piuttosto seccata all'udire quella lamentela «Siamo semplicemente buoni amici» ripresi a sistemare i libri nell'ufficio di papà ma la sua voce mi costrinse di nuovo ad interrompere ciò che stavo facendo «Buoni amici? Non prendermi in giro, siete piuttosto affiatati» marcó quella parola con disprezzo e con estrema gelosia, lasciandomi intendere che volesse delle spiegazioni che io però non gli avrei dato, volevo stuzzicarlo ancora un po' «Affiatati, tu dici?» mi finsi stupita dinanzi a quella provocazione godendomi la sua frustrazione «Non hai risposto alla mia domanda» sibilò con gli occhi stretti in una fessura «Non vedo perché dovrei, Arthur, dopotutto a te cosa importa?» riposi l'ultimo libro sullo scaffale sfregando leggermente le mani nel tentativo di spolverarle mentre mi dirigevo verso la porta socchiusa dell'ufficio, ignara che quella conversazione non era ancora terminata «Sul serio Isabella? Te la fai con Lewis e, come se non bastasse, anche con Charles, mio fratello?» la serietà e la durezza con la quale aveva pronunciato quelle parole mi destabilizzò: Pensava davvero questo di me? Beh, si sbagliava di grosso. La situazione mi era sfuggita di mano e, in un batter d'occhio, si aprì un'accesa discussione a riguardo «Scusami?» chiesi incredula incrociando le braccia al petto rizzando le orecchie quando l'amara risata del ragazzo alimentò il mio nervosismo «Non farmelo ripetere, hai capito bene» incrociò anche lui le braccia al petto mordendosi l'interno della guancia «Infatti io ho capito benissimo, sei tu a non aver capito nulla» gli puntai il dito contro furiosa, mi aveva appena dato della "facile" senza sapere niente! Non gliel'avrei fatta passare liscia, questo è certo «Era piuttosto intuibile cosa steste facendo tu e Lewis l'altra mattina» non poteva averlo detto sul serio, non dopo che gli avevo parlato, che mi ero esposta e che avevo fatto modo che arrivasse da solo alle conclusioni che io non avevo il coraggio di dargli. Mi aveva delusa, di nuovo «Tu credi di sapere tutto, non è così? Lascia che ti dica una cosa, ti sbagli! Ti fidi ciecamente del tuo istinto e dei tuoi occhi, ma sei stato così cieco sin dal momento in cui ci siamo rincontrati e non sai quanto è stata dura per me in queste settimane. Ho sopportato il tuo sguardo, le tue parole, persino la tua presenza a volte mi è parsa opprimente, ma ti ho lasciato entrare di nuovo nel mio cuore e mi maledico perché diamine! Io provo ancora qualcosa per te e sono stata così stupida ad averti dato un'altra occasione perché so che non avrei dovuto, non dopo ciò che hai fatto...» il cuore mi batteva forte nel petto e il respiro si faceva sempre più affannoso, sapevo che la verità stava per venire a galla e ormai alle mie e alle sue parole non c'era più un freno «Ho sbagliato Isabella, ho sbagliato! Cosa devo fare ancora per farti capire che anch'io provo qualcosa per te e che odio vederti così vicina a Lewis, a Charles e a chiunque altro perché hai lasciato un segno indelebile in me e io sono stato così egoista...mi dispiace Bella, mi dispiace tanto» le sue pupille erano dilatate e dopo aver inghiottito il nodo che gli si era formato in gola inspiró profondamente, lasciandomi parlare «Però l'hai fatto, hai baciato Arianna dopo ciò che c'era stato fra noi e dio, avrei voluto uccidervi! L'unica cosa che mi ha permesso di andare avanti è stata...» dillo Isabella, diglielo! una vocina nella mia testa mi suggeriva la retta via della verità, ma l'altra mi diceva che se l'avessi fatto, avrei messo fine a tutto «Lewis» pronunció il suo nome a voce bassa, in un sibilo che arrivo forte e chiaro alle mie orecchie e io non potei che controbattere «Eleonor» nostra figlia. Avrei voluto urlarglielo in faccia, ma non avevo idea di come, perciò mi limitai ad osservare il suo naso contorcersi appena in una smorfia di disapprovazione «Lui c'entra in ogni caso» le sue mani scivolarono nelle tasche posteriori dei jeans neri mentre una ciocca di capelli gli scivolò sulla fronte, solleticandola «No! Lewis ed io, non c'è niente te l'ho già spiegato, perché non vuoi credermi?» domandai con tono urgente e frustrato, non riuscivo a capire perché non mi credesse. I miei occhi erano spalancati in attesa di una risposta e le mie mani prudevano, segno che stavo per scoppiare «Eleonor è sua figlia, o mi sbaglio?» domandò ovvio alzando un sopracciglio. Come poteva essere così dannatamente cieco! Quella bambina era la sua fotocopia, aveva i suoi occhi, i suoi capelli e mille altri aspetti coincidenti con i suoi, eppure non riusciva a vedere oltre l'orizzonte «Ti sbagli! Ti sbagli di grosso Arthur, non so più come fartelo capire!» la frustrazione nel mio tono di voce era palpabile, così come i miei battiti accelerati e il respiro affannoso. Lacrime amare mi pizzicavano gli occhi, pronte a sgorgare e rigarmi le guance. I suoi occhi si strinsero in una fessura, le sue braccia tornarono ad incrociarsi al petto e le sue labbra si schiusero, ma non parlò. Mi decisi a sputare la nuda e cruda verità, ero stufa di nascondere il più bel segreto della mia vita, che aveva solo portato gioia e colore in quella che era una vita monotona e priva di brio. Eleonor era la mia bambina e io l'amavo così tanto, quindi perché tenerla nascosta? Avrebbe potuto amarla anche lui così come lo facevo io, era suo padre e non l'avrebbe mai rifiutata, ero sicura che anche lui le volesse bene nonostante fosse all'oscuro del reale legame che c'era fra loro, perciò un grosso respiro riempì i miei polmoni, svuotandoli delle parole che mi ero ripromessa di non pronunciare, che mi facevano stare bene ma allo stesso tempo male perché volevo proteggerla, ma non avrei potuto farlo dal ragazzo che si era irrigidito dinanzi al mio silenzio, consapevole di stare per ricevere l'ultimo pezzo del puzzle «È tua figlia, Arthur» pronunciai con un filo di voce e il mio petto si alleggerì da quel peso che mi portavo da ormai due anni, solo per lasciare spazio ad uno nuovo: la sua reazione. I suoi occhi chiari erano fermi nei miei, le sue labbra erano ancora schiuse e il suo viso era pallido, più del solito. Non riuscii a reggere il suo sguardo, e quando finalmente parlò, crollai «Cosa?» la sua voce era incredula, bassa e tradiva il suo sangue freddo «È uno scherzo?» calde lacrime che mi ero sforzata di trattenere rotolarono veloci lungo le mie guance e le mie mani trovarono sfogo tra i miei lunghi capelli castani: li tirai, presi ad intrecciarli tra le dita e mi piegai su me stessa, dolorante e consapevole di non poter più porre rimedio alle mie parole: era finita. Glielo avevo finalmente detto e questo non poté che peggiorare il mio stato d'animo «Perché? Perché non me l'hai mai detto?» domandò avvicinandosi con gli stessi occhi e la stessa voce di poco prima, il che mi fece stringere le labbra e lo stomaco tanto da farmi salire dei conati di vomito atroci. Mi portai il dorso della mano alla bocca e tossicchiai accasciandomi sulla scrivania e facendo cadere delle penne a terra «Isabella» non risposi. Tutti i suoni che mi circondavano, compreso il mio respiro, arrivavano ovattati alle mie orecchie «Isabella, guardami!» gridò autoritario tirandomi per un braccio, ma fui svelta a liberarmene sgusciando via da quella presa come se mi fossi appena scottata «No io- io non avrei dovuto dirtelo» farfugliai barcollando all'indietro. Ero sconvolta. Non mi aspettavo una particolare reazione da parte sua, ma di certo non mi aspettavo che si arrabbiasse. Il dado ormai era tratto, ed io non potevo fare altro che aspettare la prossima mossa «No tu non te ne vai! Parlami, dimmi perché! Merito una spiegazione» tentó ancora di prendermi e di tirarmi più vicino a lui ma io non ne potevo più. Le pareti di quella stanza si facevano sempre più strette e sempre più opprimenti tanto da farmi mancare il fiato: stavo avendo un attacco di panico «Lasciami!» urlai dimenandomi e farfugliando parole incomprensibili «Mi dispiace, io- io devo- andare» recuperai la borsa e mi fiondai fuori di lì correndo mentre Arthur mi chiamava a gran voce e il tramonto stava pian piano lasciando spazio all'oscurità della notteCorsi e corsi fino a raggiungere l'auto nella speranza di scomparire e di guidare sino all'ignoto. Con le mani tremanti girai il quadro e uscii dal parcheggio a tutto gas, suscitando stupore e rabbia negli addetti alla sicurezza che tentarono di corrermi dietro per sgridarmi vista l'alta velocità, ma non mi fermai. Sbattei ripetutamente le mani sul volante maledicendomi per essermi resa vulnerabile, di nuovo, e avergli confessato di essere il padre di Eleonor. Piansi fino a perdere il respiro ed avere la vista appannata, le labbra e gli occhi gonfi, la pelle secca a causa delle lacrime salate e le maniche della felpa zuppe. La strada che separava il circuito dall'hotel non era molta, ma la notte non tardò ad arrivare e neppure la stanchezza che presto si impadronì del mio corpo e, come se non bastasse, in quello stato non riuscii a riconoscere l'uscita che avrei dovuto prendere per rifugiarmi nella mia stanza e non uscirne più. Tirando su con il naso cercai di recuperare la borsa che era sul sedile posteriore, ma non ci riuscii «Cazzo» sibilai a denti stretti quando una fitta alla schiena mi impedì di poggiarla sul sedile del passeggero, facendo cadere tutto a terra. Cacciai un urlo carico di frustrazione chinando la testa sul volante, non accorgendomi di star invadendo la corsia opposta. Non erano molte le macchine che c'erano a quell'ora: per lo più erano furgoni e camion, nessuna moto e di rado, accodate ai camion, alcune macchine che la vista appannata a causa del pianto non mi permetteva di distinguere. Prendere l'auto e guidare a tutto gas in quello stato confusionale fu la scelta peggiore che potessi fare quella sera. La strada, l'oscurità e la ragione in quella particolare circostanza non mi appartenevano e, ignara su dove l'asfalto scuro mi avrebbe portata mi decisi a cercare il telefono per chiamare qualcuno o vedere dove mi trovassi. Accessi la luce sul tettuccio dell'auto cercando di placare l'ansia crescente in me, respirando a bocca aperta e tremando, non riuscendo a fermare le lacrime. Non riuscivo a trovarlo e ciò mi procurava ulteriore nervosismo, tanto che decisi di fare una cosa che mi avrebbe portata a pentirmene amaramente: mi slacciai la cintura e mi sporsi talmente tanto ai piedi del sedile del passeggero da non avere più la visuale sulla strada. La mia mano sinistra era sul volante mentre la destra si insinuava negli angoli più remoti dell'auto, sperando di vedere uno schermo illuminarsi. Grugnii quando il fianco fu punzecchiato dal bracciolo che ero solita usare per poggiare il gomito e ormai, senza speranze, mi tirai su un po' a fatica, ricominciando a piangere. Singhiozzai al pensiero di essere sola, spacciata e in un luogo del tutto sconosciuto, quando la suoneria del mio cellulare risuonò forte e chiara dove prima la mia mano destra non riuscì ad arrivare. Mi fiondai ancora una volta sul sedile del passeggero tastando e ogni singola parte quando finalmente riuscii a sentire sotto i polpastrelli la vibrazione del telefono. Lo afferrai e mi tirai su sbandando appena, riconoscendo che a chiamarmi era mio padre. Un sorriso crebbe sul mio viso e per un attimo mi sembrò tutto finire: avrei risposto al telefono e lui mi avrebbe chiesto dove fossi, se stessi bene e che mi sarebbe venuto a prendere sino in capo al mondo, ma il tempo delle favole con il lieto fine era concluso ormai da un pezzo, ed io non ero una principessa. Con le mani umide dalle lacrime non riuscì a picchiare il dito contro la cornetta verde per rispondere e nonostante ci provassi ripetutamente, non ci riuscivo. Persi così la completa attenzione sulla strada per concentrarmi sul telefono che non smetteva di vibrare, ritrovandomi subito dopo ad occupare completamente la corsia opposta. Luci accecanti mi portarono a strizzare gli occhi infastidita e rendermi conto che non era affatto una favola, bensì un terribile incubo. Non riuscii a definire quanto tempo impiegò quell'auto grigia che non smetteva di suonare il clacson nella speranza che mi spostassi prima di riprendere in mano la situazione e tirare il volante dalla parte opposta. Nonostante avessi evitato il peggio, le auto entrarono in contatto e quella colpì parte del cofano della mia Mercedes facendomi perdere le mani sul volante a causa della botta subita. Un tonfo e pezzi metallici che si accartocciavano fra loro furono gli unici suoni che sentii prima di perdere definitivamente il controllo dell'auto e schiantarmi contro il guardrail e sbattere talmente forte la testa contro il vetro dell'auto che per un attimo credei di essere morta. Non riuscivo a tenere gli occhi aperti e la testa mi scoppiava, era come se qualcuno esercitasse una forte pressione sulla stessa, le tempie mi bruciavano e sentivo il corpo abbandonarmi. L'ultima cosa che vidi furono delle luci blu e rosse e il rumore delle sirene spiegate che sì, si avvicinavano, ma si facevano sempre più ovattate e difficilmente distinguibili. Ben presto le forze mi abbandonarono e come ero solita fare ormai, chiusi gli occhi facendomi trasportare dalla tetra e fredda oscurità, staccando il cervello e lasciando che i muscoli si riposassero nonostante non smettessero di bruciare e di dolere
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Nuovo capitolo! Questa volta con ben due colpi di scena, anche se un po' in ritardo... .Cosa accadrà ora? Isabella starà bene? Per scoprirlo dovrete aspettare martedì prossimo, ma nel frattempo, se questo capitolo vi è piaciuto lasciate un commento o una stellina, mi farebbe molto piacere. A presto🫶🏻
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SEI SEMPRE STATA TU || Arthur Leclerc
FanfictionIsabella, a soli diciannove anni, si ritrova a fare i conti con una situazione difficile. Su di lei gravano il giudizio altrui, il peso delle aspettative e la consapevolezza di non essere ciò che gli altri desideravano che fosse. Al suo fianco un...