Capitolo 1

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Ansimi attutiti ammantati di ombre, mani febbrili su pelli accaldate, bocche affamate di labbra insaziabili, questo erano loro in quel momento. Due persone agli antipodi, due anime ugualmente sole e bisognose di contatto. Poco più che estranei e meno che amici, amanti fugaci per soffocare quel vuoto sordo che ognuno di loro sentiva ormai da anni nel proprio petto. Un buco, una voragine infinita e incolmabile.
L'Ombra aveva distrutto la fiducia che li legava alla Grande Madre e Lei li aveva abbandonati sfilando la propria mano dalla loro. Fu come perdere un genitore, un'amante, un'amica, come perdere tutto in un colpo solo. A stento erano ancora in grado di volare ma quanto sarebbe durato? Erano nati con l'incredibile capacità di ascoltare il mondo e i suoi respiri, di accoglierne le richieste e vivere in simbiosi.
Uno scambio reciproco di energie silenti.
Ma Lui aveva deciso di sovvertire gli equilibri, ergersi al di sopra di quella linea sottile che li univa al calore del sole e al freddo della pietra e possederla con arroganza.
La voce della Grande Madre era divenuta sempre più un sussurro, appena un refolo di vento nemmeno sufficiente a scuotere un capello o a far tremolare le loro orecchie. Il freddo non era più sulla pelle, ma dentro di loro dove l'oscurità viveva.
Le mani dell'uomo corsero alla candida chioma di lei per afferrarne una ciocca e portarla al volto.
«Odorano di neve appena caduta.» La fissò con intensità, rame nel viola, le loro iridi sparirono divorate dalla pupilla scura. Macchiate di lussuria le labbra si cercarono bramose mentre finalmente quel contatto tanto carnale e agognato avvenne. La giovane fata trattenne un gemito mentre la sua intimità lo accoglieva calda e umida, inarcandosi in preda alle scariche di piacere si tenne ai capelli biondi di lui, che incantato la osservava come un pittore fa con una tela vuota mentre un mugolio profondo usciva dalle labbra sottili.
Fu catartico, selvaggio e doloroso, le ali di lei premevano malamente contro la parete di legno della stanza in cui si erano rifugiati. Un misero sgabuzzino dove venivano conservate le scorte di cibo della corte. Ma il loro non era un incontro adatto a una camera da letto, era soltanto una fugace lotta di bisogno e tormento, un frammento di benessere fisico a lenire la solitudine di tutti i giorni.
Loro non avrebbero nemmeno potuto amarsi, lui era il Principe, il figlio maggiore dei reali e lei la sostituibile ancella della sorella minore. Era sbagliato, immorale.
«Per la Grande Madre! Eis, stare dentro di te è la fuga migliore da questo mondo marcio.» La voce profonda di lui, rotta appena dallo sforzo di possederla con rudezza, provenne da un punto indefinito lungo la clavicola e la raggiunse fino alle orecchie a punta, che tremarono beandosi del bisogno che sentiva in lui.
Avrebbero potuto strapparle le ali per colpa di quegli incontri, ognuno aveva il proprio ruolo nella corte e lei era il pedone dimenticabile, una delle tante fate e forse lo sarebbe stata anche per il Principe, ma lui l'aveva notata risplendere tra molte, luminosa nel suo candore alabastro prima che la scegliessero per il suo ruolo di ancella e la obbligassero a coprire volto e capelli; nessuna poteva distogliere l'attenzione dalla beltà della Principessa e lei, con quella la carnagione di madreperla e i capelli di neve, rischiava di essere un faro di luce tra le sue coetanee. I reali non potevano permetterlo.
Rischiava tutto, ma ne valeva la pena per sentirsi viva.
Le loro gerarchie erano nette e invalicabili, se nascevi verme, rimanevi a strisciare, se invece, la tua esistenza era graziata dalla Grande Madre e ti ritrovavi tra i nobili del regno il futuro che ti si diramava di fronte era solo beatitudine e agio.
Forse, essendo lei l'ultima tra gli ultimi, allontanata fin dalla più tenera età dai suoi simili per la sua mancanza di colori, additata con vergogna a causa di quelle strana caratteristica che la accomunava così tanto all'Ombra non riusciva del tutto a disprezzarlo. Sapeva cosa significava abbassare il capo difronte alle ingiustizie, stringere i denti per le occhiate piene di compianto, le voci crudeli che come braci corrodevano ogni sicurezza ed era a conoscenza che Lui, prima di divenire il sovrano oscuro seduto alla destra del re degli alti, non era altro che il consigliere personale del Re delle Fate e come tale costretto a servirlo in ogni suo capriccio e tutti erano a conoscenza di quanto fosse meschino e viziato il loro sovrano. Lei, in particolare, era a conoscenza di quanto fosse attratto dall'esotico e dal bello, non si era mai vista una fata dai capelli di ghiaccio come nemmeno una dalle iridi scure come pozzi in grado di creare vita dal semplice tocco, un dono da sempre appartenuto solo alla natura stessa. Il Re per capriccio desiderava possedere ogni errore fatto dalla Grande Madre e loro erano divenuti ben presto i pezzi più preziosi della sua collezione. Ma l'Ombra, stanca dei continui soprusi, aveva rotto le catene e questo nelle storie giunte fino a loro non era stato scritto.
Era stato lui stesso a dirglielo, durante un incontro per sancire una tregua tra Alti e fate, un accordo per smettere quella caccia inumana, quando, nonostante il velo che le copriva il volto da occhi indiscreti, lui l'aveva vista.
Le spinte del Principe si fecero sempre più veloci scavandole dentro e si ritrovò a boccheggiare mentre una ciocca di bianchi capelli le ricadeva sul viso offuscandole la visuale, ma non quello che la sua mente stava rievocando.
Lui, bello come pochi, il suo volto affilato e le iridi nere che la sondavano sorprese mentre le labbra piene si aprivano in un sorriso ricco di aspettative. L'aveva capito allora che non erano affatto diversi. Esseri privi di colori derubati della luce anche nell'anima.
La mano dell'uomo che la stava stringendo con tanto ardore raggiunse la sua bocca ad attutirne le urla, inconsapevole che la ragazza raggiunse il culmine del piacere al ricordo di come bruciavano di desiderio quegli occhi di pece.

***

«Il Re è malato.» La ragazza si bloccò sorpresa, le mani intente a stringere i sottili lacci del corpetto rimasero sospese in aria, come congelate nel tempo. Le orecchie a punta fremettero a quella notizia, specchio dell'irrequietezza che aleggiava nel suo animo. Nessun essere fatato era mai stato vittima di un malore di natura fisica, la terra stessa preservava la loro salute mantenendoli giovani, sani e immutabili per secoli, fin quando le loro forze semplicemente non si esaurivano e le restituivano alla Grande Madre, grati della sua infinita generosità. Il mondo stesso non era altro che un grande ciclo di energie scambiate, prese e donate. Per mantenere fede a questo sistema, i lori corpi venivano seppelliti su un terreno fertile o arido che fosse e dalle loro carni sarebbe cresciuta nuova vita, un albero, una siepe o un fiore. Avrebbero continuato a contribuire alla realtà, mentre le loro coscienze si ricongiungevano a Lei.
Non avrebbe mai potuto immaginare che gli equilibri si fossero spezzati fino a quel punto, che il gesto di un singolo avesse portato la natura a mettere in dubbio la loro stessa esistenza.
«In quanti lo sanno?» Le parole uscirono fredde, non provava pietà per quell'uomo o dolore per le sue condizioni. Una parte in profondità nel suo io godeva nel saperlo costretto in un' innaturale fragilità. Piegato e debole, come l'aveva resa molte volte.
«Solo i membri della famiglia, esclusa Kalika. Lei non sa nulla.» Il Principe aveva finito di rivestirsi, nonostante la camicia rimaneva impudicamente aperta a scoprire l'addome tonico e definito dagli estenuanti allenamenti che fin da bambino era stato costretto a seguire come futuro capo dell'esercito. Primo tra i Pekkian doveva essere in grado di guidare i propri uomini e proteggere la sua gente.
La mente della ragazza raggiunse la Principessa, che a quell'ora di sera, si stava di certo ritirando nelle proprie stanze per prepararsi alla notte che sarebbe giunta, inconsapevole sullo stato del padre; era una fanciulla troppo pura ed emotiva per reggere stoicamente una notizia di quella portata ed era risaputo nel regno che la sua solarità rallegrava gli animi del popolo. Il suo petto venne inondato da un'emozione calda al figurarsi il dolce volto della fanciulla reale, splendido nella sua semplice soavità. Avrebbe voluto odiarla, detestarla con tutto il suo essere anche solo perché condivideva il sangue del Re, ma sui figli non dovevano ricadere le colpe dei genitori e sospirò vergognandosi di quel fugace pensiero.
«Non deve saperlo, ti prego Liko.» Gli avvolse il viso mascolino tra le mani minute e lui ispirò beandosi di quel tocco fresco che cercò con le labbra per depositarvi un bacio. Era a conoscenza dell'ascendente che aveva iniziato ad avere su di lui, ma non era ciò che si erano ripromessi: la stoica distanza emotiva atta a rendere il loro incontro solo una momentanea fuga dal presente. Lui stava iniziando a provare dei sentimenti, emozioni che non avrebbe mai potuto ricambiare. Il gelo che si portava dentro aveva eretto muri invalicabili dove aveva concesso a pochi l'accesso. Liko rappresentava molto per lei, ma non sarebbe mai potuto nascere nulla al di là di quello che già condividevano.
«E così sarà, ti sono grato per tutto ciò che fai per mia sorella, davvero.» Sorrise appena mentre con una mano si scompigliava distratto i capelli biondi e riccioluti; fu lì che li notò, i profondi cerchi scuri sotto gli occhi che brillavano sulla pelle chiara e diafana mostrandole con chiarezza quanto fosse stanco.
«Ha colpito anche altri?»
«Io... io non lo so.» Ispirò con forza sfregandosi veloce il viso per poi passarsi i palmi dentro la chioma, afferrandosi alcune ciocche stremato. Eis gli si avvicinò per stringerlo in un forte abbraccio e poté distintamente udire il cuore del reale battere più veloce fino a calmarsi a un ritmo cullante. Se avesse alzato gli occhi avrebbe visto le punte delle orecchie dell'uomo divenire vermiglie all'averla stretta tra le braccia; senza farsi notare, egli abbassò il capo per ispirare il profumo di quei capelli di neve. L'unica cosa che davvero riusciva a fargli ritrovare la rotta della propria vita.
«Ora, devo andare.» La ragazza si scostò di colpo afferrando da terra il velo scuro che non avrebbe mai dovuto togliere e legandosi i lunghi capelli candidi in una treccia che prese ad avvolgere su sé stessa, indossò poi la cuffia scura che serviva a coprire quel colore che la rendeva così unica agli occhi dei suoi pari, alla quale agganciò o perlomeno tentò di agganciare la retina scura. In suo soccorso venne l'uomo che ammirandola estasiato la aiutò nel suo intento nonostante le proteste della fanciulla.
«Un nobile non dovrebbe aiutare un'ancella a vestirsi.» Ridacchiò divertita, ma lusingata da quella premura.
«In effetti preferisco strapparteli di dosso, ma la vita è piena di soprese.» Un bacio caldo venne depositato sul collo sottile della giovane che rabbrividì sorpresa mentre le orecchie a punta fremevano seguendo il ritmo di quei brividi.
«Devo andare dalla Principessa.» Eis si allontanò di qualche passo per poi fuggire via dal loro nascondiglio mentre l'uomo la ammirava andare via in silenzio, un pensiero fugace a scuotergli l'animo.

Mi manca già il tuo volto.

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