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Sono chiuso in camera da quando me l'hanno detto, sapere che tra una settimana dovrò iniziare scuola mi destabilizza a livello mentale e fisico.
Non sono abituato a stare in mezzo alla gente, ne tantomeno socializzare, non che io né abbia mai avuto l'opportunità.
«Daniel, posso entrare?»
'Cosa ci fa lei qui?' Il nostro appuntamento era fissato per domani mica per oggi.
«Entra Ellen» sistemo il letto velocemente prima di sentire il rumore della porta.
«Non sarai mica rimasto qui tutto il giorno»
Odio darle ragione. So di sbagliare ma non è così facile come sembra. Pensare di dover fare una cosa che non ho mai fatto, e per di più, in mezzo a persone che nemmeno conosco.
«So a cosa stai pensando Daniel. Ma ricominciare a vivere significa anche rischiare di perdere il controllo o trovarsi a terra per forze maggiori. Ma c'è una domanda che continua a girarmi per la testa.
Quanto sei disposto a rischiare per riavere la vita che vuoi?»
In questo momento vorrei solo chiudermi in una stanza, da solo, e piangere. Perché la verità è che non so nemmeno io il livello di rischio che voglio mettere in gioco.
Lei chiude la porta e si mette davanti a me, con quei pantaloni a palazzo che la fanno di almeno dieci centimetri più alta di quanto lei sia in realtà, abbassandosi alla mia altezza .
«Io voglio cominciare a vivere ma non so da dove iniziare.
Come si socializza con la gente?»
Un'altra domanda.
«Non c'è un manuale Daniel, le persone sono diverse tra di loro e tu questo lo sai. Io ti posso dire come approcciare con una determinata cerchia di persone ma questo consiglio ovviamente non varrà per chiunque incontrerai» Sicuramente la mia espressione mostra lo smarrimento che provo e per quanto io voglia sembrare forte in questo istante la mia mente va a finire dietro al quadro appeso in camera, più precisamente su quella lametta che è come se mi stesse chiamando. Come se fosse in grado di donarmi serenità. Mi sono ripromesso mille volte di smettere e poi l'ho promesso a Ellen che, povera crista, si è presa diversi infarti quando le infermiere la chiamavano perché, per l'ennesima volta, mi trovavano per terra in bagno o in camera mia ma non è una cosa immediata.
"Ellen! Non so cosa sto facendo, sono qui ma non so nemmeno quello che voglio, si, ok. Voglio ricominciare a vivere ma non è sufficiente volerlo. E lo so che devo rischiare" porto le mani tra i capelli e la frustrazione che provo mi porta all'esasperazione.
Lei è davanti a me con le braccia appoggiate sulle mie ginocchia. "Sai già la risposta Daniel, oltrepassa i tuoi limiti" mi accarezza la guancia e si alza avvicinandosi alla porta. "Non voglio essere chiamata perché sei in fin di vita Daniel, piuttosto fammi chiamare se pensi di fare qualcosa di stupido e non pensare nemmeno per un secondo di dirmi che non ci avevi nemmeno pensato."
È il tono di una persona che sicuramente tiene a me e io in risposta non posso fare a meno di abbassare la testa senza una risposta adeguata.
"Ci vediamo tra una settimana tesoro, tempo che ti abitui alla scuola e poi mi dirai com'è andata." La guardo uscire e ora sono molto più sereno anche se continuo ad avere ansia. Ma penso sia normale, soprattutto perché io al novanta per cento sono fatto di ansia quindi non è strano.
Dopo aver finito con Ellen mi dirigo verso il quadro. Oggi la mia mente ha vinto. Lo tiro giù e stacco la lametta che sono riuscito a procurarmi staccandola da un vecchio temperino.
Dopo cioè mi dirigo in bagno e mi siedo sul bordo della vasca. Alzandomi la manica della maglia inizio a fare segni longilinei e osservo il sangue scorrere lungo le braccia.
Mi accascio sul pavimento iniziando a piangere.
Come posso ricominciare se sono ancora legato al dolore che continuo a provare da anni a questa parte? Non posso semplicemente fare finta di nulla e l'unica idea che mi viene è questa: trasformare il dolore emotivo in un male fisico.
In una sofferenza che posso vedere, una di quelle che ti rimangono impresse sulla pelle, che mi ricorderà a vita questi momenti ma se un giorno arriverò a superare questo inferno saranno anche la dimostrazione che ce l'ho fatta. E che avrò vinto io.
Mi devo rialzare. Devo. Lo devo a lei e poi Ellen sarebbe molto delusa da me.
Mi costringo a pensare ad altro altrimenti ne esce pazzo.

Forse scendere sarebbe la scelta migliore, magari facciamo qualcosa insieme.
Cercando nel mobiletto trovo i cerotti grandi, in modo da coprire i tagli tutti insieme. Lo appoggio sopra il mobile lavandino il braccio mentre ignoro il dolore provocato dal contatto con le ferite.
Fatto cioè mi asciugo le lacrime e scendo le scale.
«Facciamo qualcosa?» chiedo a Megan che è seduta sul divano con dei figli sulle ginocchia.

Devo ammettere che mi costa ancora abbastanza stare in mezzo ad altri ma allo stesso tempo credo che stare da solo mi porterebbe a compiere cose ancora peggiori della precedente.
«So che non sei ancora pronto a uscire di casa quindi se ti va possiamo fare shopping online.» mi guarda cercando un cenno d'approvazione.
Prima o poi questa donna la dovrò ringraziare in qualche modo.
Non mi obbliga a fare qualcosa per cui sa che sono a disagio e non è cosa da tutti, molti mi avrebbero spinto a forza a uscire, lei invece sta rispettando i miei tempi.
«Se per te non è un problema»
La vedo aggrottare la fronte e capisco già cosa vuole dirmi: «Ma ti sembra Daniel. Non è assolutamente un problema, credevo di essere stata chiara»
Con lei il rapporto si sta consolidando.
Visto il tempo che passa a casa negli ultimi giorni abbiamo avuto modo di conoscerci un po' e la prima impressione che ho avuto di lei è giusta:È una persona molto dolce e pacata non credo di averla mai vista alterarsi o sbraitare.
«Adesso prendo il computer e ti dò carta bianca su cosa comprare. In fin dei conti è il tuo stile, no?» fa una piccola pausa per poi aggiungere «Ah, e non farti problemi.»
Seguo i suoi spostamenti con gli occhi e sparisce su per le scale per poi tornare qualche minuto dopo con il portatile in mano.

Approposito! Da quel giorno non ho visto più Nathan a casa nostra anche se Kenneth ci esce spesso.
Mi ha invitato diverse volte ma la mia stupida mente continua a dirmi 'no, non puoi farlo' e lui ha smesso di chiedere.
Passo sempre più tempo qui dentro, perso tra libri e parole. Forse è un modo per scappare da quello che mi spaventa ma non so affrontare le novità.
Mi guardo attorno mentre aspetto che Megan accenda il portatile.
La porta si apre e una figura entra in casa e mi giro verso essa, o meglio: esso.

«Daniel, ti devo pregare? Dai, esci almeno con me.»

'Parli del diavolo'

«Nathan, non..» non riesco a finire la frase.
«Facciamo così: non è un invito. Andiamo a fare un giro» Odio le persone che mi interrompono cazzo. Ma ok. OK.

«Va bene» faccio per andarmi a cambiare ma lui mi prende sotto braccio e mi trascina verso la porta  «Usciamo così angioletto. Se ti lascio altro tempo tu cambi idea e a me non va proprio.» Sbuffo. Se non accetto ora sarà la conferma che sto buttando l'opportunità che mi è stata concessa. "Va bene ma ad una condizione! Se dico che voglio tornare a casa, noi torniamo a casa." Lo guardo serio. "Non sto scherzando Nathan!" I miei muscoli si irrigidiscono. "Angioletto! Ho capito, rilassati" porta le mani sulle mie spalle. "Torneremo a casa se tu me lo chiederai e io non ribatterò" mi guarda con occhi di chi ha capito che qualcosa non va e io non voglio che le persone sappiano, ma allo stesso tempo non posso nascondere la mia paura.

Paura che lui mi trovi e finisca ciò che ha iniziato. Ma lo devo a lei.
"Andiamo" faccio gli ultimi passi verso la porta e quando sto per aprirla qualcuno parla. "Grazie Nathan, noi ci vediamo più tardi per lo shopping Daniel" mi giro verso di lei che si è alzata in piedi, PC in mano e un sorriso dipinto sul volto, il sorriso di chi non può fare a meno di essere fiero di qualcosa e io in tutta risposta le sorrido. "Ci vediamo dopo per finire ciò che abbiamo iniziato"

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 14 ⏰

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