Political Animals

1.6K 59 6
                                    

La sua ingessatura, se pur sartoriale e chirurgica fino all'ultimo dei centimetri che ne costituivano il tronco, pareva improvvisamente più stretta, come se il pallore di quelle luci, tanto bianche da lasciare che naufragasse nei lampi nascosti dalla superficie venosa delle sue palpebre, l'avessero riscaldato tanto da allargarlo, facendo sì che occupasse sempre più spazio, fino a fargli temere d'esplodere contro il velluto polveroso di quella sedia.

La lente davanti ai suoi occhi s'apriva e chiudeva nella parodia d'un occhio umano. Ne conservava la diffidenza, la sottigliezza, il modo scettico in cui gli elettori ne misuravano le parole, attendendo che scivolasse sulla sua stessa saliva, dimostrando l'inefficienza non delle sue idee, alle quali avevano scelto di votarsi, ma del suo stesso essere.

Nulla più che una scatola incapace ricolma della giusta merda, come un automa malfunzionante, bravo nella trascrizione delle parole di altri, ma che non riusciva mai a parlare per se.

"Onorevole?" la conduttrice sorrideva nella sua incertezza, esortandolo a rompere un silenzio che avrebbe finito con gettare tutti, lui per primo, nella sua stessa ombra, prima che fosse costretta a buttarcelo dentro, pur di salvare tutto il resto.

"Onorevole, è capace di rispondere alla domanda o no?"

Sentiva la stoffa pregiata dei pantaloni bagnarsi sotto il sudore colante dai palmi delle sue mani, che non riuscivano a non strofinarvici sopra, come stesse tentando di darsi conforto da solo, nel moto di una carezza che ardeva per ricevere da pelle altrui, della quale anche da lì riusciva a sentire l'odore.

"Io penso che- penso che lasciare alle aziende la libertà di autogestire le proprie risorse sia conferire loro quel minimo di dignità che dallo stato le spetta" le parole lasciavano la sua bocca accavallandosi su loro stesse, tentavano disperate di riuscire dove lui stesso aveva fallito, salvarlo da un'umiliazione mediatica senza precedenti, che non avrebbe fatto altro che rendere il suo già fragile ruolo all'interno del partito, ancora più precario.

"Dignità un cazzo!" l'onorevole Ferro s'alzò di scatto dalla sua poltrona, quasi volesse andargli incontro superando il posto a sedere della conduttrice, e lo fece con una sicurezza tale da rendere Simone, chiuso a riccio contro quel velluto, nulla più che uno dei tanti miseri parassiti che s'aggrappavano come ragni a idee tanto vecchie d'aver perso forma e posto.

Nessuna di quelle luci da studio pareva impallidire i colori che lo infestavano con fierezza, rosso nel corpo come lo era nelle idee. Sprezzante, sfacciato, terrificante nell'impossibilità di contenersi nei gesti come nelle parole, il fascino soffocante che doveva essere il flusso costante di pensieri che ne attanagliavano la mente rendeva a Simone difficile anche solo pensare di poter controbattere "E alla dignità dei lavoratori non ci pensiamo? No, vero? Stai troppo comodo nella tua poltroncina del cazzo, le tasche di sto bel vestito piene dei soldi che ti sborsano gli imprenditori anche solo per pensarle quest-"

"Onorevole Ferro, la prego" quasi ci provò a tirarlo per un braccio, quelle mani curate a malapena a sfiorarne la camicia di lino stropicciata, un po' bagnata dalle pezze di sudore che tanta rabbia gli stavano provocando, mentre Simone restava immobile, nulla più di quella donna a difenderne l'incolumità.

"Su quelle poltrone ci stai anche tu" neppure in quel caso fra lui e la sua bocca vi fu alcuna connessione.

"Su quelle poltrone mi ci ha voluto la gente, chiaro? Quelli come me, che sotto quelli come te si sono fatti il culo per tutta una vita, e mi ci hanno voluto perché sono stanchi dei pezzi di merda, dei figli dei figli, di quelli come te, che il posto se lo sono dovuti comprare" e quella mano che aveva bramato per sentire su di se, di cui il suo corpo ne richiedeva come un folle il conforto, arrivò sulla sua spalla, il tentativo maldestro di spintonarlo, che fu comunque abbastanza per lasciare che la sedia scivolasse di qualche centimetro, finendo con lo stridere contro il pavimento in vetro fino a graffiarlo. Simone ancora immobile, capace dunque di difendere idee innaturali che erano stampate nella sua testa e ricucite come l'abito che lo fasciava tanto stretto, ma non il suo corpo o qualunque cosa vi fosse in lui che ancora gli appartenesse.

Political Animals Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora