Prologo

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Il selciato era appena illuminato dal chiarore della luna. Si avvertiva, in lontananza, lo scalpiccio agitato di una giovane coppia, interrotto ogni tanto solo dal verso indistinto di qualche animale selvatico.
La donna stringeva al seno un neonato avvolto in innumerevoli strati di lana. Lo stringeva così forte da sentire il battito del suo cuoricino pulsare in sincronia con il suo. I due correvano, continuavano a farlo, rischiando più volte di inciampare sui ciottoli bianchi del sentiero e rompersi l'osso del collo. Sentivano, a vicenda, la loro anima urlare di dolore.
Lei si fermò dopo qualche metro, arrancando senza fiato verso un gruppo di case lì vicino.
"Non possiamo farlo. Ti prego, Jack. Ti prego, troviamo un'altra soluzione"
Lui la guardò, con gli occhi colmi di lacrime. Era bellissima. Lo era da sempre, da quando aveva posato gli occhi su di lei. E quello che stringeva tra le braccia, quello che avevano creato insieme, era il riflesso di quella labile bellezza di cui anni prima era rimasto stregato. Talmente labile da non aver nemmeno permesso loro di realizzare che cosa stesse succedendo. Due parole, soltanto, gli rimbombavano nei timpani e nella mente fino a martellargli le tempie: dovevano abbandonarlo. Ora. Subito, al più presto.
Le si avvicinò e le afferrò premuroso il viso tra le mani tiepide e sporche di terra. Nelle iridi ipnotizzanti di quegli occhi verde smeraldo vide il fuoco di un amore che bruciava.
"Gli stiamo salvando la vita" sussurrò sulle sue labbra. Il petto gli pizzicava come se fosse stato trafitto da mille aghi. Sentiva quella piccola creatura singhiozzare nel grembo di sua madre e, per un attimo, si chiese anche lui se quella fosse davvero l'unica opzione.
Scappare? Cambiare identità? Ma erano pensieri inconsistenti, che svanivano nel nulla.
Sapeva fosse tutto inutile. Li avrebbero trovati. Probabilmente li stavano già seguendo. Stavano perdendo tempo. E di tempo ne avevano ben poco. Si rimisero in marcia senza aggiungere una parola di troppo.
Raggiunsero un piccolo bosco in prossimità di una cittadina. Le mani di entrambi esitavano, incerte, nella vana speranza di poter cambiare le cose.
La donna adagiò il batuffolo di lana su un letto di muschio. Con le dita gelide e tremanti gli scoprì il viso.
Mai l'aveva sfiorata l'idea di poter essere in grado di amare così tanto qualcuno che conosceva da così poco. Ma come non avrebbe potuto? Era lei, quel qualcuno. Era il suo sangue insieme a quello dell'amore della sua vita. Era la cosa più preziosa che aveva. E volevano portarglielo via.
Chiuse gli occhi e appoggiò le labbra sulla fronte di suo figlio. Profumava di sole, mare e vita. Una vita che non avrebbero passato insieme. Una vita rubata, insieme a tutte quelle che loro si erano presi quella notte.
Quando si ritrasse fu come staccare un fiore dalle sue radici; la gola le si strette in una morsa affilata e dovette premere il palmo della mano sulla bocca per evitare di mettersi a gridare più forte che poteva. L'ultima cosa che volevano era attirare l'attenzione di qualcuno.
Jack le afferrò una mano. Da lì in poi non sarebbero tornati più indietro.
"Chiudi gli occhi" le intimò, ma lei lo aveva già fatto. Era scossa da spasmi che le scuotevano le viscere e da un senso di colpa letale che sapeva non l'avrebbe mai più abbandonata.
"Mamma e papà ti amano piccolo. Mamma e papà ti amano tanto e ti chiedono perdono per quello che ti stanno facendo" sussurrò con voce rotta, prima di scoppiare in un pianto isterico.
Si aggrappò al petto di Jack che a malapena si reggeva in piedi. Non aveva il coraggio di guardare suo figlio negli occhi. Quegli occhi così puri e innocenti che la osservavano da terra assolutamente ignari di quello che gli sarebbe successo. Perché non sarebbe dovuto succedere. Perché nessun genitore dovrebbe vedere suo figlio morire. E nessun genitore dovrebbe ucciderlo. Con le sue mani.
"Perdonaci" sentì sussurrare suo marito subito dopo, e il suo cuore sussultò quando con la coda degli occhi intravide la mano con il pugnale che si abbassava sul terreno.
Poi...silenzio. Sentiva ancora il respiro del bambino agitarsi  sotto di loro. Per un attimo Annabelle pensò che Jack avesse cambiato idea. Pensò avesse finalmente considerato l'opzione di scappare e vivere tutti insieme su qualche isola sperduta, come tanto avevano fantasticato qualche mese prima. Il suo cuore si alleggerì per qualche secondo, ma non ebbe il tempo di abbassare lo sguardo che lui affondò con un gesto deciso la lama dell'arma nel morbido petto della creatura. Un'arma esageratamente grande e affilata per un esserino così piccolo. Il suo petto si fermò mentre una pozza di sangue impregnava la stoffa con cui cui era stato coperto.
La madre si gettò a gattoni in un rantolo di dolore, talmente forte da non permetterle né di piangere né di gridare. Vedeva suo marito che gesticolava e cercava di sollevarla da terra, ma nessuno dei suoi sensi rispondeva in quel momento. Si abbandonò di schiena mentre l'immagine del suo bambino assassinato in un letto di muschio sfumava davanti ai suoi occhi.
Tutto intorno si fece buio e freddo.
Due braccia la presero di forza e la trascinarono via da quel luogo.
La mente di Annabelle divenne nera.
Non pensava a niente se non a quanto il colore dei capelli di suo figlio assomigliasse a quello del sangue che gli sgorgava dal petto.

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