CAPITOLO 37

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NICOLA

Un martedì qualunque stava inondando la mia giornata di buon umore. A dire la verità non era stato il martedì, ma semplicemente Bea la sera prima con la sua prestazione spettacolare di bocca. Sentivo ancora l'odore del miele ovunque. Quei minuti erano impressi nella mia mente con un fermo immagine perenne. Bea era la donna che aveva mandato in tilt tutta la mia vita. E sapete cosa? Mi piaceva che era stata lei a farlo perché gliel'avevo permesso io. Era l'unica cosa sulla quale avevo avuto il controllo fin dall'inizio e lo so che ero nu' cazz' e' buciardo. Stavo ingannando l'amore della mia vita. Sarei riuscito a dirle la verità prima o poi, ma non ora.

«Ue, guagliò! Vuoi stare attento?!» Un signore mi spinse facendomi andare a finire nella ringhiera delle scale del portone dello studio di Bea. Gli ero andato a finire addosso, è vero. C'era bisogno di fare tutta quella ammuina?

«Scusatemi eh. Nun v'e' aggio visto. Però v'a' pozzo ricere 'na cosa? Io non vi ho messo le mani addosso.» Ed ero stato anche fin troppo educato.

«A me no, ma ad altra gente si!» Urlò come se avessi ucciso qualcuno. Gli ero solo andato a finire addosso, che cazzo.

«Chi siete voi?» Cercai di esaminarlo e ora che ci penso, era lo stesso signore che vidi quel giorno nell'atrio mentre aspettavo di entrare nell'ufficio di Bea.

«Uno che si è rotto il cazzo di tutto chisto sistema che vi siete creati. Le vostre lotte, la vostra aria di supponenza e soprattutto tu che te ne vai in giro come se fossi uno qualunque. 'O saje o no ca' sì 'o figl r'o' boss? Non sei uno come noi!» Si appese al colletto della mia camicia e giuro che mi trattenni dallo scaraventare contro le scale solo perché eravamo troppo esposti.

«Tu sei figlio di Napoli no? E io pure. Quindi statte 'azitt e tuorn' nata vota dentro a chillo cazz' e' buco da dove sei venuto. E quanno vire a faccia mia per mezzo alla strada, cambia lato.» Lo incollai con le spalle al muro sbraitandogli il tutto a pochi centimetri dalla faccia.

«Famme capì na cosa. Io devo girare la faccia per quale motivo? Pecchè devo tenere rispetto di te che sei nu' muccusiello? Tu e tuo padre nun site nisciun. Nun valite niente!» Mi sputò letteralmente in faccia e a quel punto tutta la mia buona volontà andò a farsi fottere. Lo presi per il collo e stringendo lo incollai al muro, dove gli diedi una testata fino a farlo accasciare sulla rampa di scale. Il sangue cominciò a uscirci dalla fronte da un taglietto che gli avevo provocato.

«Vedi se in mezzo a tutto chisto sangue ci sta nu poco e' rispetto e se nun ce sta, 'mparatello pecchè a prossima volta che ti incontro potrebbe essere l'ultima» Continuai a salire le scale, lasciandolo inerme lì sui gradini. Nella gente ultimamente c'era qualcosa che non andava. Nessuno mai aveva fatto una scenata del genere, soprattutto dicendo quelle cose.

Quando arrivai al piano dello studio Ricciardi, feci una direzione nei bagni. Dovevo controllare com'era la situazione. Ma come prima cosa scrissi ad Antonio di indagare se nei rioni c'era qualcuno in protesta. Quell'incontro mi aveva spiazzato.

Poggiai le mani sul bancone del lavandino e mi guardai nello specchio. La fronte era apposto, a parte una leggera goccia di sangue di quell'uomo che pulii subito e un lieve rossore che presto avrebbe lasciato il posto a un bernoccolo. La camicia era sgualcita, ma pazienza. E io che speravo che quel martedì fosse stato un giorno positivo, mai meravigliarsi a primma matina!

Tornai nell'atrio dove c'era Enza, la solita segretaria da quando lo studio aveva aperto. C'era una signora prima di me che stava parlando animatamente con lei della ricetta degli struffoli. Chi faceva gli struffoli passato Natale? Napoli era una città unica. Quando capii che ne avrebbero avuto per molto e io di pazienza non ne avevo più in corpo, mi feci avanti, accanto alla signora.

Sotto il cielo di NapoliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora