L'isola delle anime sole

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Fu una navigata tremenda, quanto breve.

Il vento soffiava su Ponza, alle loro spalle, che s'era resa prima meta, poi abbandono, mentre l'acqua riscendeva laddove era nata, violenta, come il mondo conosceva solo nascite, che le morti, invece, non erano mai state che tranquilli abbandoni.

S'agitavano tanto forti le onde contro le lastre legnose della loro culla che Laura non vedeva che bianco, mentre stringeva forte al petto quel libro grigiastro che le era compagnia, cercando terrorizzata gli occhi di un marito insofferente, spento nel guardare la spuma risalire a veleno, che forse ricercava, e rivedeva riscendere alla sua gola fino a farsi inutile lotta per fiato che non avrebbe avuto, annegandone i polmoni per renderli salamoia, e morire la morte dei marinai, senza averne mai vissuto la vita.

Il timone di quello scafo era incerto, pareva guardarli come la loro scelta fosse aliena, ricercando dignità nello sguardo di quella donna che sembrava accorgersi di ciò che stavano facendo, quasi fosse estranea ed esterna a quella follia, ma tanto diligente nel suo ruolo, da non allontanarsene.

"Manca ancora molto?" parve al vecchio marinaio una supplica vecchia quanto il mondo, che quei mari avevano forse udito a tal tono risuonare solo dalle gole prigioniere al proprio esilio, o ai papaveri a partire per terre lontane, svenduti alla loro stessa.

"Qualche minuto, signò" di minuti, in quella mareggiata, ne mancavano molti, ma d'esserne figlio, egli lo sapeva, quanto quell'acqua fosse capace di sfibrare il tempo fino a sformarlo, vittimizzarlo quanto essa stessa lasciava fare solo alla luna e le sue più clementi sorelle.

A Simone non sembrava interessare, nessuna lotta tanto mortale alla quale l'umanità a fargli contorno si dedicava, non pareva aver nessun fascino per lui che ne portava in testa una variopinta copia, che forse, in quello stesso istante e solo a fomentarne la consorte rabbia, stava annegando davanti ai suoi occhi, o navigando invece sogni di gloria, gli uni stretti agli altri, in un mondo che fuori di lui era vuoto e che solo dentro pareva capace di riempire.

Simone fu il primo a lasciare lo scafo, che non aveva neppure fatto in tempo ad essere attraccato come doveva, e già era sceso, le ginocchia nel gelo di quel piccolo golfo, mentre la terra s'apriva sotto i suoi piedi e le rocce salutavano il suo cielo, un'unica, umile casa, sulla cima di quel promontorio, a far da meta al suo incerto cammino, ed un faro spento come lo era ogni cosa, a farne bussola.

"Simone! Simone aspetta!" urlava già, Laura, che di quella vita forse era più stanca dello smorto consorte, i cotonati capelli biondi a discendere umidi fra le braccia del marinaio che tentava di darne equilibrio.

"V'aiuto io, signò" ma la sua gentilezza non la salvò dal finire immersa nel torbido caos di quelle acque, la cui agitazione aveva riportato ogni melma in superficie, solo per riabbandonarla alla terra in una curda e severa spinta "Signò, ce sta la linea telefonica nella villa, se ve serve 'n passaggio sulla terra ferma basta che me chiamate, si?"

Le labbra un tempo rosee e carnose, adesso stizzite e paonazze dal salato gelo di cui erano sacrificio, mimarono un timido grazie, prima d'afferrare a riva le valige abbandonate dal marito, già volto a percorrere sentieri d'un infanzia felice, che nel delirio di quell'istituzione a legarli, Laura si disse capace di reinscenare, anche a costo della sua ormai perduta vita.

***

Erano settimane che si ritrovava insofferente a riscaldare la stessa brodaglia dello stesso insipido pesce, ed il movimento circolare dell'acqua, il turbine che dalla terracotta s'apriva ad affogarne i pochi ortaggi, era ormai divenuto il suo unico amico, seguito solo dall'insofferente silenzio di una casa vuota, s'un'isola ancor più vuota, accompagnata talvolta dal cigolare severo delle finestre i cui infissi arrugginiti dalla salsedine parevano rifiutarsi di chiudersi, talvolta dal sordo rumore dei tasti meccanici di quella olivetti, il cui rumore penetrava dal tufo a tre piani sopra la sua testa, per raggiungerla, quasi a farne dispetto, assieme alla violenze delle onde a mangiarsi gli scogli.

L'infelicità cresceva violenta, mentre il suo ventre arido non faceva che svuotarsi, accogliere rabbia laddove era abituata a costituirne fronzoli a nasconderne la sofferenza, fra questo o quel circolo artistico, o i salotti dei più abbienti amici di suo padre, che vaneggiavano l'assenza dei suoi talenti in intelligenza, dei suoi figli in emancipazione, di suo marito in efficienza, ed allora privata delle loro parole cariche d'unguento e lasciata ad assaporare sola le sue stesse fatiche, Laura temeva sarebbe esplosa, i lembi della sua pelle strappati alle pareti, il pavimento lago del suo sangue a coprirne le intricate maioliche, e di peggio c'era solo il temere che Simone non se ne sarebbe mai accorto.

Il primo urlo fu naturale nel suo liberarsi, per quanto venne fuori strozzato, che tanto lo sentiva, tanto più pareva non averne voce per lasciarlo andare, finendo a mantenersi lo stomaco fra le mani, accovacciata assieme ai tarli di quel mobilio, le ginocchio fredde contro il pavimento, mentre urlava ed urlava ed urlava ancora, fino a sentirsi, fino a farsi sentire, spaventando forse anche i canti delle sirene, che forzò a riconoscere nella sua voce quell'umano terrore.

Urlò per ore, forse giorni, prima di lasciare che la sua rabbia si facesse distruttrice fuori da se, trinando le ceramiche contro quei vetri stanchi fino a tagliarsi, le sedie contro l'instabile rampa di scale, le tende contro se stessa fino a strapparle.

Fu quel delirio ad esserne liberazione, e per la prima volta comprese la gioia dell'infliggere senza infliggersi, di non essere onerosa tormenta chiusa in una scatola grigia, ma tempesta fuori a spazzare tutto via, inghiottire assieme alla marea quell'isola stessa ed ogni pomposa idea di suo marito, colpevole forse d'avere più gioia dentro di quanta ne concedesse fuori.

"T'ho detto che mentre scrivo non mi devi disturbare, ma che cazzo fai!?" le sue urla la raggiunsero scomposta prima del caos dei suoi passi pesanti, prima ancora delle sue mani, strette adesso agli avambracci gracili fino a scuoterla al muro, come se quella follia potesse sfibrare da lei, gocciolarne fuori per restituirgli l'asservimento d'una moglie silente e timorata di dio, il cui unico compito era esistere senza dare fastidio.

"Io mi sono rotta il cazzo" lo disse ridendo, ma le lacrime già vaneggiavano via dai suoi occhi stanchi, mentre Simone la teneva ancor più salda, tentando disperato di rinsavirne la follia.

"Laura te devi calmà"

"Mi sono rotta il cazzo di te, di quest'Isola del cazzo, del niente, del niente, niente a cui mi hai ridotta" avrebbe voluto avere un coltello fra le mani, mentre lievi come la forza che le era stata concessa colpivano il marito a volerlo lontano, avrebbe voluto saperlo morente e sporco di sangue, affogarlo forse a quel mare a cui l'aveva forzata, per poi rigettare dal cubicolo della sua finestra ogni singolo manoscritto, e lasciarlo morire con lui.

"Io devo finire sto cazzo de libro! A me sto niente serve, quindi o ti adatti o-"

"Torniamo sulla terra ferma, almeno il fine settimana, ce sta la mostra di una amica mia poco fuori Ostia sabato, vedi che te viene pure l'ispirazione" non seppe rendersi conto dell'esatto momento in cui la rabbia si fece pietà, le urla preghiere, la morte rinascita, ma si trovò premuta sul petto del marito, quasi volesse offrirne in corpo ad uno scenario che già sapeva non sarebbe mai arrivato.

"No, non posso smettere di-"

"Non ce la faccio, Simone, io non ce la faccio più, non ce la faccio più"

Ed era evidente, ad ogni suo pianto, quanto per suo marito consolarla, sorreggerla, non fosse che un peso, quanto il suo primario istinto fosse di lasciarla ricadere al pavimento, tornare ad un mondo che per lui era più gentile, forse più vivibile, senza curarsi impacciato d'ogni suo tormento, eppure se vi era ancora una luce in lui, fu quella a posarne una mano sui capelli impregnati dagli odori nauseabondi di quella cucina, sporchi, forse al solo sapere che non ci sarebbe stato nessuno a guardarli.

"Perchè non- perchè non inviti quella tua amica, la pittrice - hai capito, no?- a passare qualche settimana qui da noi, a farti compagnia, sono sicuro che l'isola farà bene al suo lavoro come fa bene al mio"

"Dici davvero?"

"E' anche casa tua questa, Laura."

Fu un tentativo goffo, quello della donna, di prendere il viso del marito fra le mani per lasciarne un bacio viscido, freddo quanto i loro corpi, sulle labbra serrate, che subito ne presero distanza.

"Ma nessuno deve disturbarmi, io sarò sulla torretta, e potrai venire da me solo per lasciarmi il pranzo o la cena, tu e nessun altro, non devo neppure accorgermi che esistete, chiaro?"

L'isola di GaviDove le storie prendono vita. Scoprilo ora