Non farmi andare - Fellow
Il tabellone delle partenze e degli arrivi davanti a lui era grande abbastanza da sovrastarlo e mettergli quasi timore. In realtà non era la dimensione dello schermo che gli metteva paura ma quello che, guardando quei nomi di città e quegli orari cambiare in continuazione, lui era intento a controllare davanti ad esso.
Simone si trovava all’aeroporto di Fiumicino, immerso in quello strano mix di calma e caos che si svolgeva ormai da più di mezz’ora intorno a lui. Era mattina e forse era veramente troppo presto. Troppo presto per essere li, per lui, ad aspettare un aereo che il suo cuore continuava a dirgli di non prendere.
Circa alle 7.45 era arrivato là, da solo, e ben quattro ore prima del volo che lo avrebbe portato a Manchester. Un andata senza garanzia di ritorno. Infatti il biglietto era di sola andata e il solo pensiero di non tornare a Roma dopo una settimana, un mese o qualche giorno lo stava divorando da dentro.
Guardò per l’ennesima volta il tabellone delle partenze, vedendo il suo volo ancora lontano e sperando, forse, che non si avvicinasse mai l’ora della partenza. Sospirò distogliendo poi lo sguardo, girandosi ad osservare cosa e chi lo circondava.
Gli erano sempre piaciuti gli aeroporti: il clima che si respirava, quel continuo movimento e le migliaia di persone pronte a partire per un avventura o in procinto di finirne una. Chissà quante persone, quanti milioni di occhi, labbra, personalità e storie diverse si potrebbero incontrare ogni giorno in questo luogo, pensò Simone guardando una famiglia passare davanti a lui.
E tu sei qui per iniziare un avventura o per mettere un punto a un’altra? Lui non lo sapeva bene cosa era a fare li. Cioè, lo sapeva e sapeva benissimo come ci era arrivato a quella decisione ma, se si fermava a pensarci meglio, non sapeva perché fosse lì.
Inizierai una nuova avventura a Manchester o stai solo scappando da Roma e da qualcosa che ti sta lacerando il cuore?
Il tempo si sarebbe preso tutto
Anche se noi eravamo lì
La tua mansarda e i dischi sul letto
A parlarci nel buio
Simone sospirò ripensando a quando, solo qualche settimana fa, era steso sul prato di Villa Balestra, vicino alla piscina, con Manuel al suo fianco che fumava la canna che aveva rollato poco prima.
«Se io partissi, te cosa ne penseresti?» sussurrò lui prendendo un tiro appena gli passò la canna tra le dita. Manuel rimase per qualche secondo in silenzio, tanto da fargli pensare che non lo avesse sentito.
«Partì pe’ dove?» chiese il più grande girando la testa verso di lui e deglutendo a vuoto. «Non lo so, magari qualche posto in Inghilterra. O potrei tornare a Glasgow, sicuramente per mia madre non ci sarebbero problemi.»
«Ma se sei tornato qualche giorno fa da visita’ tu madre! Poi nun capisco che ce trovi de così interessante in quel Paese pe’ volerlo visita’ tut-»
«No, io intendevo a viverci. Trasferirmi lì.» pronunciò lui con tutta la calma del mondo.
E non se ne accorse del cuore dell’altro che aveva saltato un battito a quelle parole, che la faccia di Manuel era diventata una maschera di ferro per nascondere la sua paura più grande: perdere Simone.
«Ah. – si fece sfuggire – e perché ne dovrei pensa’ qualcosa?» prese la canna tra le mani del corvino, evitando il contatto visivo che il più piccolo stava cercando di creare.
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Siamo come musica
FanfictionQuante canzoni possono essere trasformate in momenti simuel? (Os in continuo aggiornamento)