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Se chiudo gli occhi vedo la curva soave del suo sorriso, l'arco elegante delle sue lunghe dita, la coppa del suo palmo teso a offrirmi conforto, protezione, sicurezza. Cornelia. La sua pelle di porcellana, il profumo di latte e acqua di rose che emana dalla sua pelle.

Cornelia.

Il fruscio della veste di lino che le accarezza i fianchi a ogni passo. Cornelia. Elegante. Bellissima. Tanto generosa con chi le è caro quanto spietata con i suoi nemici. Mutevole come il mare d'inverno. Potente. Sangue di Roma.

Cornelia.

Nelle mie ore più buie, la sua voce è il mio unico conforto. Cornelia, mea domina.

Mi chiamo Antonia. Soltanto Antonia.

La mia rovina è cominciata con un uomo. Scaltro, ambizioso, erede di una gens antica. La migliore unione a cui la secondogenita di un mercante delle provincie africane possa aspirare. Il suo sangue e i soldi di mio padre ci avrebbero garantito una vita senza preoccupazioni, in una bella villa sul Palatino. La vita che meritavo. I nostri figli sarebbero diventati generali, consoli, artisti dediti a celebrare la gloria dell'Impero.

Ma mio marito amava le corse delle bighe. E i duelli tra gladiatori. E il vino. E quando l'oro viene a mancare, e ci s'indebita con chi ha troppo potere, non c'è purezza di sangue che tenga. Roma è un campo di battaglia.

Luciano ha indossato un'armatura polverosa ed è andato al fronte, dove spera di riacquistare col sangue il favore dell'Imperatore. A me e a nostro figlio Marco, invece, la fuga è preclusa. A malapena siamo cittadini di diritto. Ci resta la vergogna, la fame, gli sguardi pietosi della gente, e una cameretta umida in una pensione squallida della suburra in cui il colore della nostra pelle non desta troppo scompiglio.

Marco ha quattro anni. Ai suoi occhi innocenti, tutto è un'avventura. Ha già così tanti amici tra i ragazzini del quartiere, ride, gioca, scherza con una serenità che gli invidio. Ogni giorno prego gli déi che non cresca, non cresca, ancora non cresca: non prima che sua madre sia riuscita a recuperare la dignitas, un po' d'oro, il rispetto di quelli che un tempo erano suoi pari.

Ho scritto a Luciano un'unica volta, a due settimane dalla sua partenza. Non ho ricevuto risposta, e ho giurato che non sarò più così debole. Quando chiude il mercato, elemosino mele marce e pane raffermo che Marco consuma controvoglia.

Mi resta soltanto un anellino, pochi grammi d'oro, regalo di mia madre: il suo peso vale poco, i ricordi che genera ancor meno, e non è sufficiente a pagare il passaggio in nave attraverso il Mare Nostrum, per tornare da quel che resta dei miei cari. Il capitano della nave di carico in partenza domani per Leptis Magna mi squadra dall'alto in basso e nei suoi occhi neri neri vedo la stessa proposta che mi fa da giorni, ogni volta che vengo a implorare la sua pietà.

Sono stanca. La testa è leggera e ancor più leggera è la borsa in cui ho raccolto quel poco cibo che sono riuscita a trovare per oggi. Stanca. Sola.

Sto per acconsentire.

Il capitano ghigna, solleva una mano ruvida per stringermi i fianchi. È altissimo, mi sovrasta, le sue spalle oscurano il sole che tramonta all'orizzonte.

Poi, una voce divina:

"Antonia?"

Una portantina si è arrestata a pochi passi da noi. Il velo ricamato, appena scostato, rivela un volto meraviglioso, che appartiene alla mia vita di prima e che per un istante addirittura fatico a riconoscere. La pressione delle dita invadenti sul mio fianco morbido rende ancora più urgente il riaffiorare dei ricordi.

"Cornelia."

"Mia cara. Che piacere vederti, è passato tanto tempo... vieni, ti accompagno a casa. Ho tante cose da raccontarti."

Prima ancora di rendermene conto, sono seduta accanto a lei nella portantina. Il capitano urla qualcosa, ma è una presenza lontana, lontanissima. Sono protetta da Cornelia, dai privilegi della sua rispettabilità, dalla scintilla curiosa nel suo sguardo.

"Io... vi ringrazio. Siete... un'apparizione."

Le parole lasciano con fatica la mia lingua. Sono stanca. Quanto sa, Cornelia, della mia condizione derelitta?

"Mia cara. Hai bisogno di un pasto caldo, te lo si legge in viso."

"Sto bene."

"Non era un invito, e comunque non avrei accettato un rifiuto."

"Mio figlio..."

"Manderò qualcuno a prenderlo."

"Non voglio impormi così..."

"Ssh. Mia cara. Parliamo d'altro."

Non so cosa dire. Di cosa potrei parlare a Minerva in persona?

Cornelia sorride, il delicato profumo di acqua di rose che emana dalla sua pelle parla di un mondo che ormai ritenevo perduto per sempre e che invece torna a spalancarmi i suoi cancelli quando arriviamo alla sua villa, enorme, elegante, proprio sul fianco del Palatino.

Anche nella mia vita precedente non potevo che guardare con ammirazione allo splendido giardino profumato, punteggiato di fontane di marmo e alberi esotici, curato in ogni minimo dettaglio. Ho sempre amato la raffinatezza degli affreschi alle pareti, la collezione di anfore greche di straordinaria fattura che suo marito acquista per soddisfare il bisogno di bellezza della moglie.

Tutto ciò che circonda Cornelia è meraviglioso, perfetto, elegante, aggraziato. Io e la mia veste lisa, l'acconciatura tenuta insieme da una spilla di bronzo, i miei polsi nudi e il viso smunto, cosa ci faccio qui?

Cornelia mi prende per mano e mi conduce nella camera da bagno. I suoi servi si muovono veloci, silenziosi, invisibili: nemmeno quando ne avevo il potere sono mai stata in grado di governarli così. Il bagno è già pronto, l'acqua calda sprigiona vapore nell'aria carica di profumi floreali, raffinati, preziosi.

Mi gira la testa.

"Non fare complimenti, mia cara."

Cornelia accenna a un tavolino poco distante: un vassoio di frutta, pane fragrante e miele dorato mi chiama cantando. È il banchetto più ricco del mondo. Vorrei divorare tutto in un boccone, ma la vergogna mi frena. Spilucco dell'uva, una fetta di pane.

"Mia cara. Vieni, l'acqua non è troppo calda."

Mi volto e, per la seconda volta, Cornelia mi si presenta come una visione che riempie gli occhi e il cuore.

Il suo corpo è stato disegnato da Fidia, baciato da Venere, ne sono certa. I seni sono due frutti languidi, i fianchi morbidi e pieni, tra le cosce un'ombra di peluria ordinata che sembra promettere tutte le delizie del mondo. Non dovrei guardarla eppure non riesco a smettere.

Discende nell'acqua, elegante come una ninfa, e m'invita a raggiungerla.

Mi spoglio in fretta, con un brivido freddo sulla pelle m'immergo. Tra me e lei una distanza incolmabile che solo il calore dell'acqua rende sopportabile.

Avevo dimenticato il sollievo di un bagno. Il privilegio di un pasto caldo in attesa nella stanza accanto.

Cornelia mi osserva per un tempo lunghissimo, il suo bel viso inclinato leggermente di lato, mi studia, riflette. Non riesco a interpretare la sua espressione, so solo che è morbida, decisa, mi trapassa come una lancia.

Abbandonare l'abbraccio di questi occhi sarà un dolore insopportabile. Tornare allo squallore della stanzetta e della povertà in cui costringo mio figlio a vivere sarà ancora più difficile.

Per il momento è meglio non pensarci.

Poi:

"Mia cara. Cosa ne diresti di restare qui?"

DOMINADove le storie prendono vita. Scoprilo ora