Solivagante- Capitolo 1

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Solivagante
(agg.) Vagabondo solitario

Omnia causa fiunt, tutto accade per una ragione è questo che greci e latini hanno continuato a dirci, ma ancora non riesco a comprendere come quello che è accaduto nel 1985 fosse volontà del fato; passo giornate intere e notti insonni a pensare a ciò che è successo e come avrei potuto evitare una fine così tragica, ma so che comunque non potrei fare niente, il filo del destino è stato tagliato anni fa e ora non mi resta che raccontarvi come.
                            •••
Mi chiamo Spencer Morrow; ho 27 anni, sono cresciuto a New Bern, una cittadina nello Stato del North Carolina, e ci ho vissuto fino ai 19 anni, quando mi sono trasferito a Charlotte per svolgere degli studi classici.
Quando ero piccolo decisi di donare non solo la mia adolescenza, ma la mia intera vita alla conoscenza: mi affascinava il passato e ciò che il futuro doveva essere, amavo interrogare la scienza di Freud e leggere i testi antichi, spendevo ore e ore a tradurre Platone e Tacito ed ero elettrizzato all'idea di lasciare la mia patetica vita per svolgere ciò che mi ha sempre attratto.
Non ho fratelli né sorelle. Mio padre era un meccanico ma ha lasciato me e mia madre prima che i miei sentimenti si potessero legare a lui, mia madre ha fatto la casalinga finché lui non se n'è andato; è andata poi a lavorare come operaia in una delle grosse fabbriche che si iniziavano a stanziare pian piano in periferia.
La mia infanzia è segnata da gite sulla spiaggia, urla da parte di mio padre e rifugi nella biblioteca locale, gli anni trascorsi in quella casa rappresentano un oscuro passato da buttare via come un bicchiere di plastica.
Credevo che se fossi rimasto a casa sarei diventato un assassino, o come minimo un individuo che le madri temono si avvicini ai propri figli.
Finì invece quasi dall'altra parte dello Stato, ma il mio destino non fu tanto diverso.
Mia madre non mi negò mai niente, ma entrambi sapevamo che il college non era assolutamente un opzione, non almeno per i nostri fondi bancari dell'epoca; ma il mio desiderio di apprendimento, questo desiderio era troppo grande, volevo tuffarmi nell'antichità, nello sconosciuto, nel sublime, ma la cosa che volevo più di tutte era tradurre i testi dei grandi filosofi e grammatici greci e latini.
Avevo già le basi di entrambe le lingue, durante il liceo alcuni anni prima, mentre arrancavo tra l'aritmetica e il francese (lingua obbligatoria nel mio istituito), eccellevo nei corsi extrascolastici di greco e latino, a volte, quando gli esercizi facoltativi assegnati erano troppo pochi, andavo nella vecchia biblioteca e richiedevo i testi più magnifici e complicati di queste fantastiche lingue antiche e poi iniziavo a tradurli, li traducevo con un vecchio dizionario preso in prestito e li traducevo finché la mia testa non iniziava a girare e a trasformare le lambda e le epsilon in segni sconosciuti, ma non riuscivo comunque a fermarmi, e quando uscì da scuola con voti nelle materie principali scarsissimi rimasi solo.
Non avevo nessun testo da tradurre, passavo le mie giornate a guardare il soffitto, capì che l'antichità mi possedeva, era l'unica cosa che mi interessava veramente, e ora se n'era come andata...proprio come aveva fatto mio padre.
Capitai a Charlotte per puro caso, i miei insegnanti del corso di lingue antiche erano rimasti stupefatti dalle mie capacità, avevano scritto alle più influenti scuole specializzate in materie umanistiche parlando di me come un prodigio e dicendo che non avevano mai visto uno studente con queste capacità; arrivarono opuscoli e opuscoli perfino dal Vermont, ma io non lo seppi dato che a mia madre non andava a genio l'idea che frequentassi il college... fino a una sera.
Durante le vacanze di pasqua io e mia madre litigammo dato che lei era sotto l'effetto di psicofarmaci, mi chiusi in bagno, avevo intenzioni di buttare tutti quegli odiosi farmaci che le portavano il malumore, quando trovai un opuscolo:
era vecchio di due anni, non so perché mia madre non l'avesse buttato come tutti gli altri. Immagino perché si trattava del college di Charlotte, che è relativamente vicino a New Bern.
Citava:
Charlotte College; Charlotte North Carolina. Fondato nel 1888. Corpo studentesco, settecento. Maschi e femmine. Progressista. Specializzato in materie umanistiche. Altamente selettivo.
A lungo osservai una foto dell'edificio chiamato Commons; emanava una luce diversa, soffusa, una luce che mi faceva pensare a lunghe ore in biblioteca, e a vecchi libri, e silenzio.
Mia madre bussò alla porta, sapeva cosa volevo fare con i suoi farmaci. Non risposi. Ritagliai il modulo da compilare dal retro dell'opuscolo e cominciai a riempirlo.
                             •••
Dopo aver affrontato il viaggio più lungo della mia vita (non viaggio molto io), arrivai al Charlotte collage.
A tutt'oggi non comprendo a pieno gli eventi che mi hanno condotto lì. Professori che si erano presi a cuore la mia disperata causa, scrissero lettere e fecero raccomandazioni di vario genere per favorirmi, e meno di un anno dopo mi trovai nella mia stanza bianca e sgombra nel dormitorio nord pronto a immergermi in ciò che amavo di più.
Mia madre, anche se non considerava questa la migliore azione dal punto di vista economico, mi aiutò per tutto il tempo, fece gli straordinari e trovò un secondo lavoro, era dispiaciuta per avermi mentito e penso si sentisse anche leggermente in colpa ma dopotutto conosceva la mia passione e come un uccello lascia andare il suo piccolo dal nido anche lei mi lasciò andare.
•••
Ho passato i giorni prima dell'inizio delle lezioni da solo nella mia cameretta e nei luminosi prati del campus. Ero felice. Tutta la negatività che avevo portato con me fin da quando ero bambino era scomparsa, come se fosse stata lavata magicamente via dall'atmosfera del College.
Ragazzi che rincorevano un frisbee, rossi in faccia mentre gridavano, anche loro felici; un gruppo di ragazze che parlava delle tendenze di questo autunno, felici; gli hippy che si appostavano nel parcheggio vicino al campus, un pò fatti magari ma anche loro felici.
Questo posto, con la sua aura mistica, con la sua luce divina, con i caldi colori autunnali, rendeva tutti felici.
Anche le notti erano felici, più grandi di quanto si possa immaginare: nere, immense, spazzate dal vento; caotiche e pazze di stelle.

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