Le strade della contea di New Haven non erano mai state più deserte e silenziose di notte. Ogni tanto si sentiva il chiacchiericcio allegro di qualche passante che s'incamminava verso casa dopo una bella pinta di birra al chiosco del centro. Due occhi color ghiaccio fissavano la notte trascorrere lentamente, inesorabile. Non aveva mai pensato che il mondo degli esseri umani potesse essere così dannatamente affascinante. Il dì aveva un paesaggio quasi sempre soleggiato, a volte vi era qualche batuffolo di cotone nell'aria oppure un liquido trasparente cadeva da esse di goccia in goccia; veniva chiamata pioggia dai terrestri. Gli piaceva sentire il fresco della pioggia sulla pelle calda, era una cosa totalmente nuova per lui. La notte, invece, era quella che più lo faceva sentire a proprio agio. Essa gli apparteneva. Si poteva dire quasi che lui fosse la notte, il buio, le tenebre. L'oscurità. Gli occhi chiari del ragazzo scrutarono la strada acciottolata che dava sul numero sette di Kensington Street, era completamente addormentata ed era solamente scoccata la mezzanotte da - più o meno - un quarto d'ora. Si stupì dei terrestri che abitavano quel pezzo di terra: l'ultima volta che aveva messo piede in questa dimensione aveva visto cose che avrebbero fatto venire l'orticaria all'Alto dei Cieli. Il suo volto si trasformò in un ghigno. Oh, eccome se aveva visto. Camminò verso il palo della luce che illuminava la via schiacciando con le scarpe le pietre incastonate nel freddo asfalto ed alzò lo sguardo sulla villa modesta davanti a sé. Non era questo granché vista da fuori, si aspettava di meglio visto che il continente americano aveva la bella fama di essere all'avanguardia. Eppure, quella casetta a due piani fatta con mattoni di pietra marroncini, non gli diceva assolutamente nulla. Anzi, era piuttosto bruttina, come del resto tutte le villette di quel quartiere. Il ragazzo arricciò il naso, nessuno poteva essere più sfigato di lui quella sera. Solitamente le ragazze belle e disponibili stavano in villoni da favola e, secondo la sua opinione, lì non vi era nulla che potesse dargli qualche piacere. Non era poi così sicuro di voler entrare e vedere l'orrore che lo aspettava. Quasi preferiva ritornarsene a vedere gli orrori di sempre nella sua dimensione originaria, nonostante il suo capo gli avesse esplicitamente detto che se non fosse tornato con la ragazza, non avrebbe visto altro che donne brutte e poco appetitose. Meglio di no. Forse era il caso di prendere quella stupida ragazzina e consegnargliela, ci teneva a fare la bella vita lui. Soprattutto il suo amichetto nelle parti basse. La pelle bollente della sua mano toccò il freddo ferro del lampione e la portò avanti a sé allungando il braccio e, avvinghiando in una morsa ben salda le gambe attorno ad esso, si cominciò a tirare sù; un braccio dopo l'altro. Odiava arrampicarsi come una scimmia, ma per uno come lui era meglio se nelle case consigliate dal capo ci entrasse cautamente. Non si fidava particolarmente di lei, almeno non in situazioni in cui avrebbe rischiato di morire bruciato da oggetti santificati. Ci teneva alla sua non-vita. Decisamente. Dall'alto del lampione i suoi occhi si posarono sull'elevatezza del cancello nero: se avesse saltato da lì a dentro la villetta, probabilmente avrebbe svegliato il can che dorme e non era il caso di farlo, a meno che non avesse voluto far compagnia alla polvere. Staccò la mano destra dal lampione, tenendosi forte con la mancina, ed infilò la mano in tasca, tirando fuori un semplice legnetto. Se lo portò davanti agli occhi e lo rigirò tra le dita, sogghignando sommessamente. Picchiettò l'indice tre volte sulla punta tondeggiante del ramoscello e questo, immediatamente, con uno scatto si aprì: la punta divenne stretta ma rimase abbastanza rotonda, aumentò in lunghezza di almeno un metro e mezzo, mentre qualche secondo più tardi cominciarono ad apparire strani simboli e parole; quello che caratterizzava meglio il bastone era una stella a cinque punte circondata da un cerchio perfetto. Era di un bel rosso fuoco e più luminosa delle altre scritte, quest'ultime sembravano più intagliate nel legno e basta. Lo mise in posizione orizzontale con la punta del bastone che mirava verso il cancello di metallo, da dove si poteva vedere particolarmente bene l'interno del giardinetto della villa. Aveva la sommità del primo pezzo diritto, ben delineato e spesso, dopodiché vi era una specie di torretta larga circa una trentina di centimetri dello stesso materiale di cui era fatta l'abitazione e ve ne erano tre, intervallate dalle due porte che aprivano e chiudevano il cancello. Notò con dispiacere che non era automatico. Avrebbe potuto far saltare tutta quella tecnologia in meno di quattro secondi con uno schiocco di dita. Puntò meglio il bastone e cominciò a disegnare la stella a cinque punte, che gli avrebbe aperto un portale per attraversare quel cancello il più silenziosamente possibile. Esteriormente si poteva dire che il ragazzo non avesse disegnato alcunché, non vi era nessuna traccia di ciò che aveva fatto con l'oggetto, ma sapeva benissimo che quel portale era più che attivo. Saltò all'internò di esso e venne inghiottito per qualche secondo dal buio pesto, pensò al luogo in cui avrebbe voluto ritrovarsi e vi atterrò senza rovinarsi a terra. Dopo un po' ci si faceva pratica. Dovette ricordarsi più volte di non toccare nulla in quella casa; nemmeno il buffo gnomo da giardino, che lo guardava con un sorrisone da davanti la porta, poté prendere a calci. Secondo il ragazzo era quel sorriso e quel cappello rosso a punta che lo istigavano a far botte con l'oggetto inanimato in questione. Sospirò. Con passo sicuro ed attento si avvicinò verso l'entrata della villetta, notando quanto fosse disgustosamente sciatta. Il pomello era l'unica cosa carina ed appetibile agli occhi del giovane, poiché fatto interamente d'oro. Distese il palmo della mano sinistra, tenendo con la destra il bastone, e da esso scaturì una forza invisibile che riuscì ad aprire la porta senza nessun segno di infrazione. Ci mancava che lo arrestassero. Bè, sarebbero morti prima che ci riuscissero, ma questo è un altro discorso. L'uscio si spalancò da solo permettendogli di entrare in totale tranquillità nel silenzio assordante di quell'abitazione. Si guardò un po' intorno e dovette ammettere che l'interno era arredato piuttosto bene, nonostante al di fuori fosse un edificio molto modesto e umile. Ciò che lo colpì maggiormente era la pavimentazione lucida in linoleum, famoso per avere una composizione di materie naturali. Fortunatamente non faceva alcun tipo di rumore molesto. I mobili, invece, dovevano essere antiquariati. L'ampio ingresso presentava un cassettone di legno marrone scuro - quasi nero - con la doratura in foglia d'oro sulla lunga estremità sporgente poggiata contro il muro beigiolino, ed andando avanti la situazione non cambiava poi di molto: non vi era l'oro incastonato nelle dispense e negli armadietti in basso della cucina, ma tutto somato, l'aspetto esterno non differiva molto. Le iridi del giovane non faticarono molto ad abituarsi all'oscurità dell'abitazione, anzi cominciava a vedere meglio lì di come vedeva fuori. Percorse uno dei tanti ingressi, alcuni ampi ed alcuni stretti, fino a trovarsi praticamente davanti alla gradinata della scala a chiocciola. Si trattenne dallo sbuffare come un bambino capriccioso. Odiava salire le scale fatte in quel modo, poi cominciava a vorticargli la testa e lui non vi era abituato. Preferiva quelle normali che andavano diritto, senza curve. Nonostante la sua avversione per esse, le salì, maledicendo in tutte le lingue a lui conosciute la sua bellissima e demoniaca boss. Dal dolore acuto che sentì alla testa capì che le dovevano essere arrivate tutte. Ghignò. Non appena fu arrivato al secondo piano si trovò davanti la camera della ragazzina che stava cercando, la quale fortunatamente era già aperta per far circolare l'aria. Prima di entrare però, cercò di guardare all'interno: se vi fosse stato qualche divieto scritto sul muro o qualche protezione attorno alla fanciulla, sarebbe stato spacciato. Letteralmente. Non vi era nulla che potesse fermarlo, quindi entrò nella stanza e ciò che vide fu una bellissima ragazza addormentata con il lenzuolo che la copriva solamente sulle gambe. Si avvicinò a quella che doveva essere Faye Adler e le scostò una ciocca di capelli mori dal viso, percorrendo poi con l'indice della mano destra i lineamenti del suo corpo. Qualcosa si accese in lui. La voglia di farla sua e farla bruciare di piacere nel basso ventre lo investì come avrebbe fatto una folata di vento. Il giovane si protese verso di lei e le sfiorò le labbra con le proprie, accarezzandole nel frattempo la pancia piatta ed i fianchi leggermente appuntiti. La mano di Faye Adler s'insinuò tra i suoi capelli corvini e li strinse con dolcezza, senza tirarglieli, muovendo le labbra con quelle del ragazzo in una danza che non sembrava aver fine. Dopodiché la magia finì e l'incantesimo si ruppe. Faye trasalì una volta svegliata ed il ragazzo le fece un sorriso sghembo, premendole il dito sulla bocca. ― Ssh, piccola ― sussurrò il ragazzo sedendosi sul bordo del suo letto. Faye lo guardò sbattacchiando le ciglia, ancora rimbambita dal sonno, ed obbedì. ― Chi sei? ― chiese infine lei, appoggiando la schiena allo schienale del letto. ― Prima di pomiciare con qualcuno dovresti almeno chiedergli il nome, ragazzina. ― rispose lui facendola avvampare sulle gote. Si alzò dal letto della ragazza ed andò a chiudere la porta, non voleva che i suoi genitori si svegliassero dal loro sonno angelico. ― A mia discolpa posso dire che stavo sognando.. E poi non è che tu sia un grande baciatore, ecco. ― brontolò lei mettendo le braccia conserte strette al petto. ― Se stavi sognando come facevi a sapere che non sono un grande baciatore, SignorinaSoTuttoIo? ― Il ragazzo si avvicinò maggiormente a Faye e le posò un bacio casto sulle labbra, ma quando la sentì schiacciarsi maggiormente contro lo schienale, si allontanò. ― Il mio nome è Faye. ― disse lei con un tono di voce pacato, quasi melodioso per le orecchie del giovane. ― Il mio, Eyan. ― e la signorinasotuttoio sorrise. Non aveva mai visto un sorriso così bello ed eccitante al tempo stesso. Un sorriso capace di sciogliere anche il cuore più duro. Peccato, però, che lui non provava alcun genere di sentimento e quindi rimase semplicemente un risolino, nulla più. Faye continuò a fissarlo per un paio di minuti buoni, percepiva il suo stato d'animo lottare. Eyan non disse nulla, sapeva quando dover star zitto e quando invece poteva parlare quanto volesse. ― Hai la febbre ― disse la ragazza socchiudendo gli occhi per il sonno facendolo ridacchiare di gusto. ― È la mia temperatura corporea normale.. Sono un demone, è ovvio. ― aggiunse poi lui coprendola meglio con il lenzuolo ed osservandola mentre s'impegnava con tutta se stessa a non cadere tra le braccia invitanti di Morfeo. ― Se tu sei un demone, allora io sono un angelo ― borbottò Faye, cedendo al sonno pochi istanti dopo. "E non sai quanto hai ragione, ragazzina" pensò Eyan accucciandosi nell'ombra della stanza ed aspettando che l'alba sorgesse.
STAI LEGGENDO
Luxuria.||D.G.
ParanormalStoria già pubblicata con un account diverso, ma modificata quasi completamente in questo. Spero vi piaccia! :) || A breve la trama..