4 Punizione

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La punizione più grande è starti lontano,

perché il non vederti mi fa soffrire come se fossi colpevole.

Lucy

Luce.

Apparecchio per il pranzo e mi siedo come al solito a capotavola; sento un buon profumino di cipolla e carne macinata provenire dalla cucina. Che fame! Non ho fatto colazione per colpa di quel dannato rosmarino.

Mia madre ha preparato la pasta al ragù e io non vedo l'ora di mangiare. Per via della fame tremenda mi sono dimenticata della questione dello psicologo; o meglio, ho deciso di vederla sotto un'altra ottica.

Forse è meglio così, avremo la sicurezza che non è un problema psicologico, e magari si convinceranno anche loro.

Mio padre si siede alla mia destra, come ogni giorno; abbiamo i nostri posti fissi come in tutte le normali famiglie. Ci scambiamo uno sguardo affabile, poi lui mi chiede: «Com'è andata oggi a scuola?», e mi sorride con dolcezza, probabilmente perché si sente ancora in colpa per poco prima.

«Come sempre, ma al compito di letteratura francese del mese scorso ho preso una A» gli sorrido di rimando, compiaciuta.

«Congratulazioni!» È felice per me e gli occhi gli si illuminano d'orgoglio.

Mia madre si avvicina con la pentola e serve un po' di pasta a mio padre, poi viene da me. Con il mestolo ne prende una bella porzione e, posandola nel piatto, uno schizzo di pomodoro finisce sui miei pantaloni. La chiazza di sugo rosso e olio si spande sul tessuto con estrema velocità.

Buio.

Moon

Luce.

«Cazzo, mamma!»

«Lucy Moon Laiden! Non si parla così a tua madre!» mi urla contro mio padre, furioso.

«Cazzo, ma fai attenzione!»

Lui mi guarda torvo.

«Ecco perché devi andare dallo psicologo, Lucy» afferma lei dolcemente, come se non le avessi detto niente di cattivo.

Non ci faccio più caso a quel "Lucy"; è da quando sono piccola che tutti mi chiamano con il mio secondo nome... come se Moon non esistesse, e forse è davvero così. Forse io, Moon, non esisto.

«Stasera sei in punizione!» Mio padre è arrabbiato e deluso del mio comportamento.

«Che giorno è oggi?» domando con cipiglio, guardandomi attorno per cercare una risposta. Con le innumerevoli amnesie, ho perso la percezione del tempo.

«Sabato, e tu starai a casa.»

Lo guardo, ammutolita; non so come replicare. In casa comanda mio padre; io e mia madre siamo succubi di un patriarcato. «Non è giusto, papà» mi oppongo.

«Invece sì, sei maleducata e te lo meriti. Starai a casa, Lucy.»

Ho l'appuntamento con il ragazzo biondo! Dannazione! «No, stasera no...» il mio tono suona come una supplica.

«Farai come ti dico, se non vuoi rimanerci per tutto il resto del mese.»

«Cazzo!» impreco ad alta voce, mentre mio padre mi fulmina con lo sguardo. «Ok, come ti pare» alzo gli occhi al cielo.

«Faresti meglio a studiare matematica stasera, dal momento che in quella materia scarseggi.»

«Vado in camera mia...» dico, innervosita e con tono stanco; prendo il mio piatto e faccio per dirigermi nella mia stanza.

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